«La pace è un valore che chiede un’educazione»

A Roma l'incontro sulla "profezia per la pace" di Papa Francesco con monsignor Paul Richard Gallagher, Marco Tarquinio e Davide Prosperi

I relatori dell’incontro su “La profezia della pace”. Da sinistra, Marco Tarquinio, don Andrea D’Auria, mons. Gallagher, Davide Prosperi

È stato il primo di una serie di incontri che si terranno in Italia e nel mondo su “La profezia della pace”, quello di ieri alla Pontificia Università Urbaniana a Roma, organizzato dal Centro internazionale di Comunione e liberazione. Ospiti monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, e Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Cl. Si è parlato di guerra in Ucraina ma non solo. «La pace è un valore che chiede un’educazione», ha detto sintetizzando i tre interventi il moderatore, don Andrea D’Auria.

La «profezia per la pace» di Papa Francesco

Lo spunto dell’incontro sono state le parole pronunciate da Papa Francesco ai membri di Comunione e Liberazione lo scorso 15 ottobre in Piazza San Pietro: «Vi invito ad accompagnarmi nella profezia per la pace – Cristo, Signore della pace! Il mondo sempre più violento e guerriero mi spaventa davvero, lo dico davvero: mi spaventa». Che cosa è questa “profezia per la pace”? Un sogno o una speranza concreta? Mons. Gallagher si è rifatto alla Gaudium et Spes parlando di «pace come un edificio da costruirsi continuamente e come “opera della giustizia”, realizzato mediante la pratica della fiducia e della fratellanza umana».

Una definizione che «“stride” con quello che sta accadendo in questo preoccupante periodo storico e che sta erodendo le fondamenta dell’erigendo edificio della pace; non solo la guerra nella “martoriata” Ucraina che il 24 febbraio prossimo compirà un anno e per la quale non dobbiamo cadere nel rischio di assuefazione e di indifferenza di fronte ai numerosi morti civili e ambienti urbani e naturali devastati. Ma anche i tanti conflitti in corso, i molteplici teatri di tensioni, che hanno portato Papa Francesco a parlare di una “terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti”».

L’importanza dell’aspetto educativo

Sono ben 168, ricorderà poco dopo Tarquinio, i conflitti in atto in tutto il mondo oggi. A preoccupare, ha sottolineato Gallagher, è la corsa al riarmo, con spese sempre più alte, «risorse inevitabilmente tolte ad investimenti volti a promuovere il lavoro, le cure mediche, la lotta alla fame, lo sviluppo». Da qui il suo appello a una «collaborazione internazionale, capace quindi di rispondere alla sfida della pace, i cui ingredienti principali devono essere giustizia, sviluppo, solidarietà». In questa prospettiva, ha aggiunto il segretario per il Rapporti con gli Stati, «sembra opportuno soffermarsi non solo sulla questione della pace, ma anche su un ambito che spesso viene associato ad essa: quello della sicurezza. Per questo è importante chiederci: che tipo di sicurezza vogliamo e quali sono i mezzi più efficaci per garantirla?»

«La pace e la sicurezza internazionale non possono basarsi sulla minaccia della reciproca distruzione o del totale annientamento, né sul mantenimento di un equilibrio di potere o sul regolare i rapporti sostituendo “la forza della legge” con “la legge della forza”», ha detto Gallagher. Come costruire tutto ciò? «Costruire insieme presuppone anche impegnarsi nel perseguire un dialogo costruttivo, anche interdisciplinare, che sia sinceramente orientato verso il bene comune universale».

Ecco che allora «diviene essenziale anche un altro aspetto: quello educativo. Dobbiamo impegnarci nel complesso ma indispensabile processo di educazione alla pace, intesa come un edificio da costruirsi continuamente attraverso opere di giustizia, sviluppo e solidarietà, fondata sulla sicurezza integrale e sull’interdipendenza. Educare alla pace vuole dire anche educare al dialogo. Un dialogo il più possibile aperto e costruttivo, capace di condurre a intese realmente sostenibili nel tempo».

«Il giudizio è parte essenziale del percorso verso la pace»

E di educazione ha parlato anche Davide Prosperi, che si è chiesto: «Come si può fare a uscire da questa logica di morte? Dove possiamo guardare? Una strada in effetti esiste, anche se richiede pazienza, richiede di non perdersi d’animo davanti agli insuccessi e alle contraddizioni. Don Giussani dopo la strage di Nassirya del 2003, fece questo commento citato anche nel volantino di CL: “Se ci fosse un’educazione del popolo, tutti starebbero meglio”. Questo giudizio, a nostro avviso, è tutt’altro che astratto, è la cosa più concreta, talmente concreta che sta già avvenendo: l’insistente, universale richiamo del Papa rappresenta questo tentativo».

Non si può parlare di pace in modo astratto, «il giudizio è parte essenziale del percorso verso la pace. Una relazione in cui lo sguardo sull’altro è comprensivo di ciò che egli è, russo o ucraino che sia, genera un giudizio comune capace di superare lo schema dettato dal potere o dall’ideologia. È un lavoro educativo. Nel suo recente discorso al corpo diplomatico, il Papa ha infatti sottolineato che “le paure trovano alimento nell’ignoranza e nel pregiudizio per degenerare facilmente in conflitti. L’educazione è il loro antidoto”», ha detto Prosperi.

«Il nostro compito»

Ecco quindi quale è «il nostro compito», ha detto il presidente della Fraternità di Cl, dopo avere ricordato le opere nate dalla storia di Cl «che con la loro presenza sul campo, restituiscono e generano occasioni per essere “in azione” per la pace»: «Il compito che sentiamo come cristiani è testimoniare in questo lavoro quotidiano che solo la speranza costruisce. La speranza, ci ha insegnato don Giussani, “è certezza nel futuro in forza di una realtà presente”, che è Cristo». E ha concluso citando l’arcivescovo di Mosca, mons. Pezzi, che «ha pubblicamente ribadito la posizione del Papa, sostenendo che “l’unico modo per vivere è essere umili costruttori di pace e difensori della giustizia, nella misura in cui i nostri talenti e le circostanze della nostra vita ce lo permettono”. Questa umiltà può cambiare il nostro modo di stare di fronte al male della guerra fino a fare esperienza di una vera misericordia».

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