In questa Europa senza sostanza non ci si può stupire di un Qatargate

Discussione al Parlamento europeo su Qatargate e possibili misure anticorruzione, Strasburgo, 13 dicembre 2022 (foto Ansa)

Su Huffington Post Italia Antonella Borelevi scrive: «L’Europa è l’unico luogo dove adesso, 2022, ancora credevamo abitasse l’ideale più alto. E vederlo sporco di mazzette, ci mette in crisi profonda. I deputati europei sono pagati benissimo, hanno 3 assistenti ciascuno, lavorano a Bruxelles due giorni alla settimana, sono reputati, stimati. Sono persone, certo, e “le persone possono sbagliare”. Ne siamo sicuri? Quando una persona incarna non solo un ruolo istituzionale, ma un ideale, se si fa corrompere, non mette in crisi l’ideale che incarna? E allora mi viene in mente Va, pensiero, «o mia patria sì bella e perduta». Perché l’Europa, secondo me, è Patria di noi tutti europei e forse serve, ora brutalmente lo abbiamo saputo, un Risorgimento anche a Bruxelles».

Tanto sono apprezzabili i sentimenti della Boralevi, tanto è pericoloso questo approccio tutto emotivo alla vita delle istituzioni dell’Unione. In tempi così difficili, con la crescita di un diffuso nichilismo nelle società europee le emozioni sono importanti, ma alla fine solo una ventata di razionalità potrà salvare il sogno dell’integrazione europea. Un’istituzione democratica senza una vera base popolare, protetta da una Costituzione che la definisca, non può funzionare che in modo burocratico aprendosi così a tutti i rischi e tradendo insieme tutti i sentimenti delle nostre anime più belle.

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Su Strisciarossa Pier Virgilio Dastoli scrive: «Il disallineamento del governo Meloni dall’Unione Europea non nasce certo dalla dichiarazione di Procaccini ma dal fatto ben più grave del voto dei parlamentari europei di Fratelli d’Italia (insieme con quelli del partito Diritto e Giustizia al governo in Polonia) e della Lega (insieme a quelli del Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia) contro la risoluzione del Parlamento europeo che chiede il congelamento di quei fondi. Il disallineamento è provocato ancora di più dal fatto che il governo italiano si prepara ad impedire questa decisione nel Consiglio dei ministri dell’Economia e delle Finanze in programma oggi, a cui parteciperà Giancarlo Giorgetti, contribuendo alla formazione di una futura minoranza di blocco con Polonia, Ungheria e Svezia. Questo con la complicità della presidenza ceca del Consiglio che – così pare – sarebbe orientata a non mettere ai voti la decisione. Il disallineamento del governo Meloni dall’Unione Europea rappresenta un grave danno per l’Italia e contribuisce al rallentamento del processo decisionale europeo nel momento in cui le vecchie e nuove emergenze esigono maggiore efficacia e determinazione».

Anche Dastoli è ammirevole nella sua convinzione che basta non disturbare il manovratore perché l’Unione Europea possa rifulgere in tutto il suo splendore. In realtà il mondo che il nostro commentatore descrive è molto più disgregato di come lui lo raffigura: per esempio il conflitto tra Consiglio europeo del macroniano Charles Michel e la Commissione europea della orfanella di Angela Merkel Ursula von der Leyen è di fronte agli occhi di tutti, così l’iniziativa di Manfred Weber per preparare una futura convergenza popolari-conservatori. L’idea dastoliana che tutti gli Stati debbano stare “in linea”, non disallinearsi, è utopistica prima che sbagliata. La difficoltà strutturale di un parlamento senza una costituzione è stata ben svelata dal Qatar e dai suoi amici. L’isolamento di Giorgia Meloni andrebbe meglio analizzato: i suoi più fidi alleati sono i polacchi, cioè l’asse della resistenza all’aggressione russa all’Ucraina. I paesi baltici (non solo la Svezia guidata dalla destra) sono sempre più spesso sulle posizioni di Roma che su quella dell’asse franco-tedesco. Così i Balcani e il fronte mediterraneo-orientale dell’Unione. In Spagna l’asse popolari-Vox probabilmente presto governerà. In Francia l’elezione di Éric Ciotti alla testa dei gollisti prepara tempi difficili per Emmanuel Macron. Così in Germania l’atlantista Friedrich Merz della Cdu guadagna consensi ogni giorno che passa, mentre Olaf Scholz ha problemi con i Verdi molto più atlantisti di lui e con i liberali che si stanno disperdendo. Dastoli ha ragione a invocare pazienza e mediazione, ma dovrebbe rendersi conto che il 2011 degli ukase ad Atene e Roma è lontano. Probabilmente non si ricorda quanto fu decisiva allora Washington nel sostenere Berlino e Parigi nella scelta di punire Grecia e Italia. E dunque quanto sia cambiata la situazione oggi.

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Il Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «Se il petrolio russo non sarà più quotato con il sistema di fissazione dei prezzi in vigore, ossia sulla base attuale del Brent, ma, invece, sulla base della borsa di Dubai, che lo spostamento dei flussi commerciali rendono più profittevole e praticabile, tale borsa diverrebbe uno dei centri decisivi della fissazione di prezzi, via via portando alla decadenza la borsa londinese, creata, com’è noto, dall’attivismo nazionalistico della signora Thatcher nel 1978, e che costituisce un polo di riferimento nel sistema di relazioni internazionali e non solo dei prezzi petroliferi. Uno dei centri del potere mondiale si sposterebbe nel cuore mediorientale dell’Heartland, con una radicale modificazione dei rapporti di potenza, avvantaggiando la stessa Russia – che si vuole colpire – e la Cina, che troverebbe in questa rotazione del sistema di potenza un forte incentivo alla sua penetrazione revisionistica e aggressiva nei confronti dell’Occidente. Le contraddizioni interne alla stessa Europa e alla stessa Ue non potrebbero che esacerbarsi drammaticamente. Il viaggio di Scholz in Cina è lì a dimostrarlo».

Il mio storico preferito, analizzando una delle questioni centrali della politica europea (quella energetica), mette in evidenza come un soggetto privo di costituzione e di adeguata legittimità politica vada incontro, in una fase tempestosa, a ostacoli crescenti.

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Su Dagospia si riprende un articolo di Lucio Caracciolo per La Stampa dove si scrive: «Primo. Come ogni grandioso disegno umano indifferente allo spaziotempo, l’europeismo s’è fatto religione. Culto di Coudenhove: la forza di ogni utopia sta nel restar tale. Non mettendosi alla prova o rifiutandone gli esiti, resta articolo di fede. Trasumanato, l’europeismo ideale è indifferente alle miserie dell’europeismo reale. Inscalfibile dalle dure repliche della storia. Le deludenti aporie della realizzazione confermano nei suoi fedeli la bontà dello scopo ultimo. Il fascino dell’incompiuto supera quello di qualsiasi progetto “realizzato” – le virgolette indicano l’inevitabile iato fra idea e prassi. L’imperfezione esalta l’assoluta astratta perfezione, non compromessa dall’impatto con luoghi e calendari umani. Teologia, vestita da laica filosofia della storia. Credo quia absurdum».

Ogni grande progetto umano nasce con al fondo istanze utopistiche, ci spiega Caracciolo, poi però deve incontrare la realtà, deve risolvere concretamente e istituzionalmente le difficoltà che la storia gli propone. Secondo un analista della qualità di Caracciolo, questo processo di passaggio dall’utopia alla realtà per l’Unione Europea è particolarmente tormentato.

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