In certe università americane sembra di essere nella Germania Est

La denuncia dell'associazione Speech First: il 56 per cento dei campus ha adottato un sistema di denunce anonime per individuare chi si comporta in modo "inaccettabile". È la dittatura dei burocrati della Diversity, Equity e Inclusion

Secondo uno studio recentemente aggiornato di Speech First, associazione formata da studenti, professori, laureati, genitori e cittadini preoccupati per la libertà di parola, il 56 per cento delle università americane ha adottato sistemi che incoraggiano gli studenti a denunciarsi l’un l’altro in modo anonimo per “pregiudizi” o “danni all’identità protetta”.

I danni alla vita nei campus del sistema Brs

Su 824 istituzioni universitarie esaminate, dice il report, ben 456 si sono dotate dei cosiddetti Bias Reporting System (Brs), sistemi che spingono gli studenti a denunciare comportamenti o espressioni che loro sentono inaccettabili. Nella maggior parte dei casi queste denunce vengono fatte pervenire agli uffici che si occupano di fare rispettare i criteri di Diversità, Uguaglianza e Inclusione (i cosiddetti Dei) nelle università. A Stanford recentemente uno studente è stato denunciato perché visto con una copia del Mein Kampf di Hitler in mano. Stessa sorte per chi non rispetta l’ortodossia dei campus su pronomi, transgenderismo, microaggressioni e linguaggio proibito.

Il dato più inquietante è che, secondo la ricerca, il numero di università che hanno istituzionalizzato questo tipo di spionaggio interno è raddoppiato dal 2017. Facile immaginare, scrive la direttrice esecutiva di Speech First Cherise Trump (nessuna parentela), il danno che questo sistema causa alla vita del campus: libera espressione raffreddata dall’autocensura sia dentro che fuori dalle aule; classi protette di studenti sempre più infantilizzati, cultura del vittimismo e ortodossia radicale rafforzate.

Sul Wall Street Journal Iván Marinovic, professore a Stanford, e John Ellis, professore emerito presso l’Università della California, Santa Cruz, parlano di «comportamenti da Germania est» imposti dai Dei, sottolineando come «gli informatori anonimi sono sempre stati un segno distintivo dei regimi totalitari. Amici, vicini e persino familiari sono incoraggiati a denunciare coloro che parlano contro il regime. Questo è un efficace controllo sociale: nessun luogo è sicuro per discutere di politica e la vita di tutti i giorni è sottomessa».

Burocrazia intasata di denunce anonime?

Poiché la segnalazione anonima ha una componente di autoselezione – «le persone perbene non lo faranno perché lo considerano moralmente ripugnante» – un sistema che premia lo spionaggio di amici e vicini «attirerà in modo sproporzionato persone codarde motivate dal peggio della natura umana: risentimento, gelosia, rancore e intolleranza dogmatica. Le spie saranno persone che non capiscono il danno che un comportamento da polizia segreta arrecherà alle nostre università».

Non solo: l’aumento delle le segnalazioni anonime contribuirà sempre di più alla mole burocratica delle università: servirà personale amministrativo per indagare su chi usa i pronomi sbagliati o ha idee troppo politicamente scorrette, con un inevitabile corollario, aggiungono i due professori sul Wall Street Journal: «È prevedibile che molte di queste denunce anonime saranno banali, ma il personale investigativo sarà motivato a prendere tutto sul serio, per quanto assurdo».

La paura della stigmatizzazione e la scelta del silenzio

Il circuito vizioso innescato da tutto ciò è che i funzionari che si occupano di diversità, uguaglianza e inclusione avranno sempre più potere: oltre a controllare il linguaggio di docenti e studenti, e imporre loro l’addestramento ideologico progressista ora amministrano il sistema di informatori, ostacolando il lavoro di chi crede che «la missione di un’università sia quella di favorire il libero scambio di idee».

Molti Brs, si legge nel documento, possono avviare azioni disciplinari contro gli studenti, ma anche quando non fanno nulla o dicono di non potere fare nulla, la mera presenza di responsabili del monitoraggio delle espressioni degli studenti inevitabilmente raffredda il discorso: bastano il timore di una stigmatizzazione pubblica e la semplice paura di essere denunciati in modo anonimo alle autorità universitarie e sottoposti a indagini che portano a una sorta di processo e a una punizione che consiste nell’invito a seguire corsi di formazione contro i pregiudizi. Ecco perché, intimiditi dalla paura di ritorsioni e “processi” amministrativi, gli studenti non allineati nelle università dove già esistono i Bias Reporting System stanno imparando a stare zitti.

Foto di Ryan Jacobson su Unsplash

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