Il Tempo delle bulle del Corriere della Sera

La sintesi della maratona delle donne di via Solferino? Sta tutta nell'acrobazia di Letta: «Meglio un uomo premier con politiche femministe». Dall'arcipelago "fluidità" a Peppa Pig

La cantante Giorgia alla nona edizione del Tempo delle donne del Corriere della sera

È finita la maratona del Tempo delle donne del Corriere della sera, che mica significava roba da donne, «tra donne, sulle donne, per le donne», ha ben scritto la vicedirettrice Barbara Stefanelli, ma «rompere le righe», «allearsi con altri movimenti e mondi in attesa agli incroci di diseguaglianze persistenti e ora anche crescenti», «tracciare le diagonali che attraversano gli schieramenti frontali, in stallo da troppo tempo sotto le mura della città assediata e lacerata al suo interno».

Il Vangelo della fluidità

Capito? No? Fa niente. Tanto il Corriere ci aveva fatto una paginata l’8 settembre per spiegare a noialtri a casa a fare le torte in cosa consistesse la nona edizione della quattro giorni organizzata dal 9 all’11 in Triennale Milano e il 12 settembre in Università Statale (con Saviano).

In primis – ci hanno aperto così al Corriere, mica all’Agit-Prop di quei fissati di Provita – la “fluidità”, o meglio il Vangelo della fluidità perché «siamo tutti pezzi unici. Dio ci vede così», ha predicato al Corsera la gran visir della teologia queer suor Teresa Forcades i Vila, benedettina di origine catalana e dottorata in Medicina e Teologia a New York e Harvard, «nota per il suo impegno di attivista a favore del femminismo, per l’autodeterminazione delle donne che decidono di abortire e per le unioni omosessuali»: e che dovevano fare al Corriere, con un cv del genere, se non issarla in cattedra?

Michielin, un Tempo delle donne 1922

Al confronto Francesca Michielin coi suoi shampoo solidi e i suoi «ancora oggi si pensa che gli uomini siano più affidabili. Che poi, chissà perché, neanche i piatti sanno lavare!» pare uscita dal Tempo delle Donne edizione 1922 (citofonare a Elodie per approfondire).

La cantautrice – che quando non lotta per l’ambiente «convinta che il luogo dove si può essere in assoluto più sostenibili sia il bagno di casa», lotta contro le discriminazioni col podcast Maschiacchi (primo ospite della seconda stagione naturalmente Alessandro Zan) – è stata ospite della prima serata, ops, del primo “ImpAtto” – parola chiave del Tempo delle donne 2022 «declinata cinque volte su cinque isole che insieme disegnano un arcipelago da esplorare al largo dei porti più battuti», “chiarisce” sempre Stefanelli – con Andrea Delogu, Virginia Raffaele, il primo ballerino del Bolshoi fuggito da Mosca Jacopo Tissi e Chadia Rodriguez, trapper dell’”inno alla libertà” della GenZ Tutt* stran* e animatrice di Sex, Lies and Chadia”, programma sul sesso senza ipocrisie. Evviv*.

La suora queer, Jonathan Bazzi, Cathy La Torre

Si capisce perché suor Forcades invece, dopo aver discusso del suo saggio Siamo tutti diversi! Per una teologia queer, abbia bissato nel panel “Liberi di esserci. La fluidità di genere e la costruzione dell’identità”, che, naturalmente, annoverava Jonathan Bazzi (scrittore che di fluidità scrive e parla un giorno sì e l’altro pure su tutti i giornali di Cairo, Gruppo Gedi e De Benedetti e quindi al Tempo delle donne è una specie di Richard Gere che arriva in Tibet o salta a bordo della Open Arms ma meno boomer), l’attivista Lgbtqia+ “genderqueen” Majid Capovani, Elisabetta Ferrari, presidentessa dell’Associazione GenderLens e, naturalmente, l’avvocata Cathy La Torre, specializzata in diritto antidiscriminatorio con particolare riferimento a orientamento sessuale e identità di genere.

Di fluidità, quando non si è parlato di body positivity, endometriosi, terza età gaudente, fecondazione assistita, perfino di spot alla surrogata con Filomena Gallo, insomma di roba nel bene e nel male (e malissimo) da donne, si è parlato un po’ ovunque grazie alle quote Lgbtqia infilate, naturalmente, ovunque stile nuove regole dell’Academy: nel mazzo dei corpi fluidi, non conformi e che cambiano sono rientrate anche disabilità, malformazioni, voglie sul viso.

Il femminismo come Trump

Cose che con l’idea dell’identità di genere e i corpi da comporre e scomporre a piacimento c’entrano come le influencer con la salute mentale o “l’attivista e attore” Pietro Turano col dibattito “Né zoccoli né artigli, le colpe (e il potere) che il femminismo non ha”. Scena: ci sono Antonio Polito, la filosofa Francesca Rigotti, la cantautrice Levante, ma soprattutto c’è Turano che denuncia il «picco di regressività» a proposito del ddl Zan, segno «che c’è paura che i diritti possano sempre più prendere piede». Spiega il Corriere che «l’esplosione della questione di genere» è stata

«vissuta in positivo nell’ultimo ventennio. Almeno fino a quando l’affermazione di questi diritti emergenti, attraverso la loro definizione in termini di legge, non ha prodotto i primi conflitti. L’esempio più evidente è stata la battaglia sul disegno di legge Zan contro l’omotransfobia, che ha visto molte femministe per la prima volta sottrarre il proprio appoggio alle battaglie di omosessuali e transgender nell’intento di difendere i diritti delle donne. La conflittualità che ne è seguita, nel segnalare l’esistenza di un problema, ha avuto un impatto negativo sulla progressione dei diritti in un’epoca, come l’attuale, in cui questi sono già sotto attacco dall’esterno. Il caso recente più eclatante è stato il venir meno della copertura costituzionale del diritto all’aborto negli Stati Uniti, che, a sua volta, sta avendo un impatto negativo sul cammino dei diritti».

Hai capito? Per colpa delle donne che affermano l’esistenza della realtà biologica e della differenza sessuale, ora in America non si può più abortire.

Meglio un uomo (o Peppa Pig) di Giorgia Meloni

Dopo di che, tornando all’incontro, tutto il panel interrogato sul dilemma “Giorgia Meloni presidente del Consiglio” conclude che essere donna non significa essere femminista e tutti applaudono. In pratica hanno applaudito Letta e il suo «meglio un uomo premier con politiche femministe».

Ma cos’è, il tempo delle bulle? Che hanno fatto le donne al Corriere della Sera? Non chiediamo che ha fatto Emma Marcegaglia per beccarsi su crisi e gas la stessa copertura degli influencer del disprezzo della differenza sotteso al cantico del corpo che cambia, come se queer fosse “gay friendly”, ma la copertina misogina dell’uomo incinto non era dell’Espresso?

Nel mondo del Tempo delle donne forse non è successo niente nel resto del mondo a proposito di fluidità – lotta all’autodichiarazione di genere (vedi Regno Unito), lotta alla somministrazione del bloccanti della pubertà, retromarcia sulla surrogata –, ma il sospetto che, tracciando «diagonali che attraversano gli schieramenti frontali», «sotto le mura della città assediata e lacerata al suo interno», di «arcipelago» in arcipelago, si arrivi a equiparare la donna bio e non made in Corsera al satana repubblicano Trump e l’orizzonte auspicabile a quello dell’ineguagliabile porcello liberista Peppa Pig, un po’ resta.

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