Il “miracolo” di Matteo Salvini

Non era facile far risorgere il Pd di Letta e azzeccare un cappotto del genere. Errore adesso rifarsi sul governo. Ecco cosa mi aspetto

Enrico Letta e Matteo Salvini insieme sul palco del Meeting di Rimini 2021 (foto Ansa)

L’analisi del voto è presto fatta: Matteo Salvini ha compiuto il miracolo di far risorgere il Pd e illuminare il mesto Enrico Letta d’immenso “riformismo”. Non parliamo neanche di Beppe Sala, al quale il Capitone – come anticipavo già il mese scorso – ha recapitato sul piatto la testa di Luca Bernardo decapitata come quella del più famoso Giovanni.

Al sottoscritto hanno fatto la ghirba – cosa che non ha alcuna rilevanza politica – ma quei 605 che mi han dato la preferenza posso dire che li conosco a uno a uno perché conosco il pugno di amici che, non essendo noi profeti in patria, sono la mia patria. Paola, Alberto, Antonio, Marco, Ida, Pietro, Giorgino, Paolo, Barbara, Luisa, Laura, Danilo, Simone, Daniele, Mario, Sandro, il Madda e il Brocca, eccetera, che senza spendere un euro hanno dato tempo e stima all’avventura in solitaria di un povero cristiano.

Lo stato del centrodestra

Per il resto, complessivamente Forza Italia resiste solo a Milano (7,1 per cento) e Napoli (6,6), mentre è ridotta al lumicino in tutte le grandi città e specialmente a Roma dove è ormai poco sopra al 3 per cento.

Lega e Fratelli d’Italia sembrano destinati a farsi competizione sul medesimo gruppo di popolazione massimalista e quindi a indietreggiare o ad avanzare a fisarmonica, facendosi reciprocamente concorrenza. Certo la condizione di Giorgia Meloni è diversa da quella di Salvini. Perciò mi sembra alquanto patetica la sua tattica di alzare la posta e la minaccia a uscire dal governo Draghi. Tanto più che la minaccia della Meloni va in senso contrario, ovvero la leader di Fdi si dichiara pronta a entrare al governo a determinate condizioni.

Ma quali candidati “civici”

Insomma, il segretario della Lega potrebbe avere le settimane contate: difficile azzeccare un cappotto del genere, subirlo invece che arrecarlo. E per distintissimo merito di non aver voluto scegliere i candidati, né per tempo, né per merito, né per selezione democratica. E ciliegina sulla torta tossica: giocare al politico che per illudersi di piacere alla gente impone che il candidato sia “civico”, qualunque cosa “civico” significhi. Tradotto: “civico” non significa assolutamente niente quando, come in questo caso, il “civico” è imposto da un comando ultrapolitico.

La via Draghi e le alternative

Infine dovremo aspettarci per Roma l’ovvia vittoria della sinistra, riunita e galvanizzata dagli autogol del centrodestra. Ciò non toglie che i Renzi e i Calenda non possono più tornare in un partito, il Pd, che ad oggi rimane il puro e semplice guardiano di un sistema statalista fallimentare e garante dell’asservimento del Sud e del Nord a un sottobosco romano che si manifesta nello stato da fine Bisanzio in cui versa la capitale, cinghialopoli o monnezzopoli che dir si voglia. Con Draghi si è aperta una via d’uscita. Via Draghi, o si aprirà un’altra via (necessariamente di ripresa della politica attraverso il rimescolamento di destra e sinistra), oppure, come è giusto che sia, largo agli Unni.

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