I milanesi devono sapere chi sono i musulmani con cui tratta Pisapia per la moschea

L'accusa del consigliere Matteo Forte: il Comune legittima e copre sotto una coltre di pratiche clientelari un islamismo di matrice politica. «Mi riferisco al Caim»

Matteo Forte, autore di questo articolo, è consigliere comunale di minoranza a Milano

Nella lettura semplicistica dei media, che si limitano a contrapporre favorevoli e contrari alla moschea di Milano in vista di un futuro (quanto improbabile) referendum, non si riesce mai a capire cosa stia avvenendo e quali interlocutori la giunta Pisapia abbia legittimato finora. Mi riferisco in particolare al Coordinamento associazioni islamiche di Milano (Caim), a cui ogni anno il Comune concede uno spazio per le celebrazioni di fine Ramadan.

Nel ruolo di coordinatore c’è Davide Piccardo, candidato alle ultime amministrative con Sel, nonché figlio di Hamza, già segretario dell’Ucoii, realtà controversa perché ritenuta in continuità ideologica con i Fratelli Musulmani, oggi messi fuori legge in quasi tutto il mondo arabo. L’uomo si è distinto per aver invitato a predicare all’Arena nell’estate del 2013 il siriano Al Bustanji, visibile su YouTube mentre in tv incoraggia i minori al martirio contro Israele. L’episodio ha provocato la forte reazione della Comunità ebraica che ha interrotto i rapporti con il Caim e rimbrottato il Comune, presente per l’occasione all’Arena con un assessore.

A occuparsi del fundraising del Coordinamento, poi, è Yassine Baradai, responsabile per l’Italia dell’Islamic Relief, onlus internazionale accusata da Israele di finanziare Hamas. L’ufficio stampa, invece, è affidato a Rassmea Salah, consigliera comunale del Pd a Bresso (Mi) che conduce un’opposizione radicale contro i colleghi democratici non proprio filo-islamisti. Il 2 agosto, reagendo all’appello di Renzi per il rilascio di un soldato israeliano rapito, ha scritto su Facebook «sono schifata»; mentre il 21 ha definito «vergogna!» un servizio Rai in cui veniva riferito «che Hamas ha violato la tregua». Cura l’attività culturale del Caim Sumaya Abdel Qader, che collabora dal 2011 con l’assessorato alle Politiche sociali ed è tra i promotori dell’associazione G2, a cui il Comune ha concesso in uso gli uffici in via Dogana per uno sportello dedicato alle seconde generazioni di stranieri.

Sta proprio qui una delle responsabilità della giunta Pisapia: nell’aver legittimato e coperto sotto una coltre di pratiche clientelari un islamismo di matrice politica. Un islamismo che non si trova poi così male a nuotare nelle acque di una sinistra per certi versi ancora affezionata alla lettura ideologica delle vicende internazionali. Un esempio su tutti: per quanto riguarda l’accoglienza dei profughi in Stazione centrale l’assessore Pierfrancesco Majorino ha dichiarato in aula che il più delle volte le informazioni circa i nuovi arrivi giungono dai volontari dei Giovani musulmani d’Italia (sigla aderente al Caim) e che il Comune ha inviato 60 siriani presso centri islamici. Il sito del Caim ci informa che si tratta di due realtà affiliate: la moschea Mariam di Cascina Gobba e il ben noto centro di viale Jenner.

Simili scelte politiche dovrebbero spingere tanti osservatori illuminati nostrani a pretendere dalla sinistra meneghina spiegazioni esaustive. Soprattutto alla luce di quanto discusso proprio a Milano l’8 luglio scorso dai ministri degli Interni dell’Unione Europea e dal capo dell’antiterrorismo Ue, Gilles de Kerchove, in relazione al fenomeno di proselitismo che ha spinto circa duemila persone a partire dal Vecchio Continente per combattere il jihad.

Altri episodi accaduti sotto la Madonnina inquietano ed esigono prese di posizione. Lorenzo Vidino, ricercatore esperto di terrorismo islamico dell’Ispi (prestigioso istituto di studi internazionali), ha scritto su Panorama del 30 aprile che Musa Cerantonio, un 29enne australiano di origini italiane convertitosi all’islam radicale, «predica su internet e in tv, ispirando centinaia di occidentali ad andare a combattere in Siria». E che «proprio nel capoluogo lombardo è stato ospite di una delle moschee del Caim, l’organizzazione che sta per ottenere il permesso di costruire la moschea in vista dell’Expo».

L’appello delle donne musulmane
Si comprende meglio, allora, l’appello al sindaco reso noto a febbraio dal sito Lettera 22 e sottoscritto da alcune donne islamiche preoccupate per la possibile «strumentalizzazione della nostra religione da parte non solo di laici e cristiani, ma anche soprattutto musulmani». Le firmatarie auspicano per Milano una moschea «neutra che rispecchi tutti i musulmani senza fazioni o interessi politici», un luogo di confronto «sull’etica, la morale e la religione, non sul partito di appartenenza».

La disputa dunque non è tra la posizione per la moschea e quella contraria, ma riguarda quale islam si intenda legittimare. In un frangente storico segnato da una guerra di sopraffazione che interessa innanzitutto il mondo musulmano al suo interno, l’Occidente ha la responsabilità di far emergere la parte compatibile con il dialogo e la convivenza umana. È il tentativo che segna la Carta sottoscritta nel 2007 presso il Viminale, con la quale governi di centrodestra e centrosinistra hanno impegnato le associazioni islamiche che vi aderiscono a offrire certe garanzie alla comunità nazionale. Un tracciato che la giunta Pisapia si è guardata bene dal seguire, commettendo un errore a cui nemmeno quattro aree messe a bando per la realizzazione di generici luoghi di culto – previste per la fine di settembre – potranno rimediare.

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