Cari miliziani dell’Isis, ma almeno l’avete visto il gol di Yaser Kasim? Non potete vederlo su uno schermo? Ok, ve lo racconto io. Minuto 77, difesa schierata. Lui che fa? Triangolo, controllo da manuale, poi uno, due, tre dribbling (l’ultimo da fuoriclasse) e palla in rete, non senza la fortunata deviazione di un avversario (il divino aiuta sempre le grandi cose: è per ricordarci che non le facciamo da soli).
Si può morire per quella piccola gioia, come è accaduto a loro, uccisi dai miliziani dello Stato islamico perché il dio vero odierebbe il calcio, secondo la sharia. Fucilati per questo.
Si poteva anche vivere senza quella gioia piccola, dirà qualcuno. No. Se c’è un motivo per vivere è godere di ciò che è bello. Tutto il resto (lavoro, doveri, impegni, missioni, e pure le religioni) è un mezzo: il fine è godere. Gaudium, dice la Chiesa.
Non sono morti per una cosa piccola. Sono morti, “martiri” direi, per il motivo più sacro, divino, religioso. Più sacro di tutte le vignette del mondo, più di tutte le grani battaglie civili: un istante di bellezza. È per difendere questo, in fondo, che le battaglie civili si fanno. Non sono morti per un’idea, ma per un gusto.
Je suis football allora. Come prima, oggi più di prima.
Cari miliziani dell’Isis, sappiatelo: Dio è certamente un grande appassionato di calcio. E non è neppure neutrale. Il 12 gennaio ha tifato per l’Iraq, con loro. Che li abbia in gloria, e che vi perdoni.
“Je suis footbal, je suis l’Iraq”.