Guardare il male negli occhi. Don Di Noto racconta la sua guerra alla pedofilia

«Gli abusi sui bambini dimostrano che, tolto Cristo, tutto è possibile. La Chiesa? Si è vergognosamente mondanizzata, ma non è lei la multinazionale degli abusi». La testimonianza (e le grida) di don Fortunato Di Noto, da trent’anni incubo dei predatori di minori

Articolo tratto dal numero di Tempi di maggio 2019.

«Grazie, sono libero. Ora ti prego di gridare, gridare, gridare, per me e per tanti altri bambini schiavi dei pedofili». È il 1999 quando Carlos, uno scricciolo brasiliano di appena otto anni, da poco liberato dalla polizia di San Paolo, scrive a don Fortunato Di Noto. Ha saputo che è stato quel sacerdote della lontana Sicilia a salvarlo dalle fauci degli orchi che per oltre due anni ne hanno sbranato, abusato, stuprato il corpicino, con ogni mezzo e animale a disposizione, il suo e quello di decine di bambini di quattro, cinque, sei anni, vendendo le foto di ogni singola brutalizzazione su internet. «Sono passati vent’anni dalla maxi operazione che portò in galera quattro noti e altolocati personaggi di San Paolo, e nei primi tre mesi del 2019 la nostra associazione Meter ha già denunciato 4.937.622 foto analoghe a quelle del fascicolo brasiliano, 83.117 video, 2.575 link. I video erano suddivisi in cartelle, denominate CP (Child Porn), mostrano bambini e infanti oggetto di perversioni inenarrabili e il viso aperto degli aguzzini che sogghignando infliggono loro torture di ogni sorta. Cosa dobbiamo aspettare ancora?».

Per chi scrive riprodurre a parole i contenuti di foto e video di cui parla don Di Noto, fondatore della battagliera Meter che ha dato vita all’Osservatorio nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia online della presidenza del Consiglio dei ministri, pare impossibile. Bambini, cioè prepuberi: vuol dire asilo, elementari, vuol dire piccini sotto i 12 anni. E infanti, cioè neonati: bimbi in culla. Prostrati nudi, appesi come polli, ammanettati, legati al guinzaglio col collare o con fascette di plastica su cartoni da imballaggio, abusati da bestie umane e animali o con oggetti di ogni tipo. Sono loro la merce e il pasto prelibato nell’immondo mercato dei pedofili che don Di Noto va denunciando da trent’anni. Dapprima sentendosi dare del pazzo, poi del salvatore, infine dell’utopista, perché anche la procura più attrezzata spesso non riesce a scardinare la privacy garantita da host e server agli utenti: il turpe ghigno dei mostri e lo sguardo straziato delle loro piccolissime vittime il più delle volte vengono solo oscurati, scompaiono inghiottiti nel buio del deep web.

«Solo in Europa ci sono 20 milioni di bambini abusati, ed è una stima al ribasso: se il rapporto di abuso fosse 1 a 1 avremmo 20 milioni di predatori di bambini. Internet sta moltiplicando il materiale pedopornografico, ci sono siti che offrono pacchetti completi per comprare bambini in ogni parte del mondo, c’è un giro d’affari mostruoso: la foto di un neonato brutalizzato vale più di mille euro. Ma questa società, così solerte nel sorvegliare, condannare e trovare un nome per ogni tipo di violenza, nel fare spettacolo della propria critica e indignazione, si chiude in un silenzio tombale davanti al male assoluto, la violenza inflitta alla creatura umana più radicalmente innocente, radicalmente pura. Perché cosa dimostra la pedofilia? Dimostra che tolto Dio, tutto è possibile», spiega don Di Noto. Da “parroco di periferia” assicura a Tempi che da trent’anni aspettava parole come quelle usate dal papa emerito Benedetto XVI nel documento “Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali” apparso sul mensile bavarese Klerusblatt e diffuso dal Corriere della sera prima di Pasqua.

La piccola cotta nel pentolone

«Quelli — prosegue don Di Noto — sono appunti come pietre dure: a differenza di tutti i testi in materia di protezione dei minori che parlano “abusi”, Ratzinger non ha paura di usare la parola “pedofilia”, diagnosticata nella “fisionomia della rivoluzione del Sessantotto” come “permessa e conveniente”. E la usa per centrare il punto, che non è la pedofilia nella Chiesa, bensì il collasso della teologia morale cattolica davanti alla liberazione morale (che fu anche sessuale) di quegli anni: svuotata da Cristo la morale, tutto è permesso. L’esperienza umana diventa un esercizio di libera scelta dove tutto è a disposizione, tutto è un diritto, tutto è relativo, niente è assoluto. Ed è qui che nasce l’abuso: dall’io senza Dio. Dall’uomo che senza il Bene non sa riconoscere il Male. Dal cristiano che invece di gridare sui tetti sussurra nel sottoscala. Dalla Chiesa che invece di essere lume diventa complice dell’oscurità delle genti — e, va da sé, la strega da bruciare sui giornali. Ma quando a novembre abbiano inoltrato la 1.596esima segnalazione di un sito infantofilo allocato su una piattaforma europea, rimasto online per giorni documentando orridi abusi in corso su sessanta neonate, dove erano i grandi giornalisti indignati? Ogni giorno mando una segnalazione in procura e una alla stampa: dove sono gli editoriali, i red carpet, i tweet, le manifestazioni?».

Per capire chi è don Fortunato Di Noto e come accadde che il pianto di quei bambini arrivò a rompergli i timpani, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo di circa quarant’anni, e parlare di un pomeriggio in Sicilia. Quel giorno il sedicenne Fortunato non sta occupando il Municipio per protestare contro l’abolizione della stenografia nell’istituto di ragioneria che frequenta, né si trova a Messa come papà Salvatore e mamma Salvatrice, gli hanno bene insegnato: «Cattolico sei e devi morire cattolico», è l’eterno ritornello del padre carabiniere ogni volta che deve trasferire la famiglia da una città all’altra del sud Italia. Quel giorno Fortunato sta facendo una delle cose che da studente scavezzacollo, brillante e cattolico, ama di più: mettere in pratica la Lettera di Giacomo («la fede senza le opere è morta!», tuonava il suo vecchio parroco insegnandola ai ragazzini), cioè fare volontariato tra i bambini di un orfanotrofio. Fa molto caldo, eppure quella piccola che gioca tra gli altri bimbi è coperta dalla testa ai piedi: quel giorno Fortunato scopre che il papà della bambina, dopo averla ripetutamente violentata, ha provato a cuocerla in un pentolone di acqua calda. È solo la prima delle confidenze che raccoglie dai piccoli orfani.

Il cappio, Tanuzzo e una bara bianca

Una notte, a Ragusa, Fortunato non riesce a dormire, prende il suo quadernetto, scrive «è finito il tempo d’aggrapparmi agli specchi», apre poi il Vangelo, capita su Marco, versetto 10,44, «chi vuol essere primo tra voi, si farà servo», e decide di entrare in seminario. Prima della consacrazione il vescovo pensava di fargli studiare Psicologia e invece lo spedisce alla Pontificia Università Gregoriana di Roma per studiare Storia della Chiesa e archeologia. Fortunato a Roma, in quella Università, fa amicizia con alcuni colleghi americani che gli parlano di internet, qualcosa che nell’Italia del 1989 era ancora allo stato pioneristico, e si imbatte con orrore nel primo sito pedopornografico. «Un conto è “ascoltare”, un conto è “vedere”, il verbo più importante del Vangelo. Ancora non lo sapevo ma misteriosamente “vedere, guardare” il male in faccia sarebbe diventato la mia missione, e il web la mia terra di evangelizzazione andando in aiuto alle periferie digitali, esistenziali nella rete». Ma allora chi non vedeva non credeva: quelle segnalazioni arrivate via fax in procure ancora sprovviste di collegamento internet lasciavano stordite le forze dell’ordine che non capivano il funzionamento del mondo digitale di lì a venire, i pericoli che quel prete “mezzo matto” aveva visto prima di tutti.

Nel 1995 il vescovo di Noto propone a don Fortunato di occuparsi della parrocchia della Madonna del Carmine di Avola, la più povera, periferica e disagiata della diocesi, dove non vuole mettere piede nessuno. Don Fortunato accetta e di nuovo si imbatte in bambini che gli confidano vicende terribili. La prima storiaccia finisce bene, don Fortunato riesce a irrompere con i carabinieri nella casa della dodicenne che gli aveva parlato pochi giorni prima: la piccola è ancora appesa paonazza al cappio con il quale la madre ha cercato di impiccarla quando il prete riesce a salvarla dal soffocamento. Ma la Provvidenza ha tempi imperscrutabili e il giovanissimo Tanuzzo, uscito al pomeriggio felice dall’oratorio, viene ritrovato morto impiccato la mattina successiva. E il giorno del funerale di un’altra piccola parrocchiana, trascurata e lasciata morire di fame dai suoi, la chiesa è vuota, «c’ero solo io, accanto alla piccola bara bianca. E ho capito che quello era il mio posto, stare dalla parte dei bambini».

Il santo e la bimba con i capelli rossi

Nel 1996 la neonata Meter fondata da don Di Noto scopre che esiste un Fronte per la liberazione dei pedofili con sezione italiana, e che gira una lettera indirizzata ai bambini: i passaggi sono chiari, «se puoi dire di no puoi dire anche di sì», «hai il diritto di scegliere», «se la gente lo scopre il tuo amico adulto può andare in prigione e tu in terapia», «ti daranno delle medicine e tu diventerai una persona malata». Durante un processo, in mancanza di una legge ad hoc, un provider che diffonde contenuti pedofili viene condannato per “atti osceni in luogo pubblico”. Nel 1997 il parlamento italiano è il primo al mondo ad approvare all’unanimità una mozione che impegna lo Stato a varare una legge ad hoc sulla pedofilia: quella mozione porta il nome di don Di Noto. Nel 1998 viene promulgata la legge 269 “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, contro la quale il Partito Radicale firma un documento chiamando la pedofilia una «preferenza sessuale», per cui sostenerne la legittimità «non può essere considerato reato».

Don Di Noto inizia a ricevere le prime minacce, intimidazioni, viene perfino indagato, viene messo sotto scorta, ancora oggi è strettamente tutelato dalle forze dell’ordine. Ma è già un riferimento mondiale, partecipa a commissioni istituzionali, gruppi interministeriali, tavoli di lavoro, presenta una petizione al Parlamento europeo contro l’ammissione alle elezioni politiche olandesi di una lista in difesa dei pedofili, un’altra per contrastare la Giornata dell’Orgoglio Pedofilo. Nel 1999 si conclude in Brasile la maxi operazione scattata tre anni prima grazie a una segnalazione giunta da Avola, quando il prete si imbatte nelle foto pedopornografiche di 158 minuscoli favelados: «Un giovane capitano di San Paolo si prese a cuore il caso e finalmente, dopo tre anni riuscì a liberare Carlos e gli altri bambini che quattro illustri personaggi della capitale avevano rinchiuso e sfruttato sessualmente: le foto degli abusi venivano scattate per il mercato europeo. Fu un terremoto». Negli ultimi 15 anni Meter ha fatto sviluppare 23 operazioni nazionali e internazionali contro la pedofilia e la pedopornografia, migliaia di indagati, più di 300 arresti (solo nel 2018, 40 indagati e 5 arresti in Italia). Un impegno concreto, oltre i salotti e i talk show.

Qualche anno fa, in una regione del Nord Italia, un gruppo di carabinieri è alle prese con la più orribile delle inchieste: sanno che tra le famiglie bene e le ville lussuose di una ignota comunità è molto accreditato un baby sitter, un orco dedito a stuprare e fotografare gli abusi sui figli piccoli dei suoi ricchi datori di lavoro; hanno in mano un catalogo, ma non riescono a rintracciare i bambini o individuare il luogo in cui si stanno consumando le violenze. Chiesto e ottenuto il permesso di farsi aiutare da Meter, scendono in Sicilia: «Quando sfogliai il catalogo la foto di una bambina con i capelli rossi catturò subito il mio sguardo. Doveva avere otto anni, accanto alla sua c’era la foto di un bimbo che scoprimmo dopo essere il suo fratellino, ma a colpirmi fu, alle spalle della bimba, un dettaglio. Nella foto spuntava l’angolo di un quadro, si notava un piede e l’estremità di un bastone. Grazie agli studi alla Gregoriana sapevo perfettamente che si trattava del piede di un santo molto venerato in un luogo preciso d’Italia. Ringraziai Dio per quel prezioso indizio, ma una volta raggiunta la zona, e setacciate le scuole, non c’era traccia di questi bambini. Fu allora che la Provvidenza ci diede un’altra mano».

Don Di Noto riesce a mostrare il catalogo a una maestra anziana prossima alla pensione, e tra tutte la donna riconosce proprio la bambina con i capelli rossi: «È stata una mia alunna, si chiama così ed ecco dove abita». Quando il prete, insieme ai carabinieri e agli psicologi suona alla porta, ad aprirgli è una giovane donna, i lunghi capelli rossi. «Ti aspettavo — gli dice la ragazza —. Erano quindici anni che ti stavo aspettando».

Il lupo clericale

Guardare in faccia il male e vedere anche i segni del bene. «Martin Buber diceva “chiedi alla tua amata come ti vede”: gli innamorati dovrebbero guardarsi e rispondere ogni giorno a questa domanda, cosa vedono l’uno nell’altra, cosa vivono le anime che il loro corpo esprime. Ma la digitalizzazione della carne, l’esposizione libera e continua del corpo ridotto a pixel oppure a materia indistinta dal punto di vista sessuale, hanno reso ciechi e muti uomo e donna, incapaci di riconoscere e dare un nome all’umanissima complementarità che li vuole insieme. La pornografia è infatti disumanizzante, il gender è disumanizzante. Gli abusi sono figli di questo voyeurismo e dell’ideologia off-limits. Solo il mistero cristiano dell’Incarnazione, che afferma un destino, una trascendenza che al contempo ci ricorda che esiste un limite, si oppone allo svilimento del corpo ridotto a scocca, permette all’uomo di restare umano». Eppure la Chiesa ha tirato i remi in barca davanti a Cristo, non solo «è prevalsa l’idea che i panni sporchi si dovessero lavare in famiglia offrendo garantismo a chi al suo interno si è macchiato di tante e tali nefandezze», ma nel suo aprirsi al mondo ha finito per mondanizzarsi: «Benedetto ha ricordato come dagli anni Sessanta agli anni Ottanta si siano costituiti dei club omosessuali, nei seminari e nei poli culturali teologici che, diciamolo pure, hanno offerto modelli nella formazione che oggi più di ieri sono di imbarazzo e di non facile soluzione. Mi riferisco alla lobby gay, come la chiama anche papa Francesco, e alle tante, forse ormai troppe dichiarazioni di esponenti del clero, prelati, vescovi e cardinali. Non si tratta di spaccare il capello in più parti, l’abuso è sempre un abuso (non è l’orientamento sessuale, etero o omo il problema degli abusi), gli insabbiamenti della Chiesa sono una vergogna che grida vendetta al cospetto di Dio, ma dalle decine e decine di rapporti indipendenti emerge un dato: fra quanti prelati si sono macchiati di abusi è altissima la percentuale di sacerdoti con tendenze omosessuali, e di abusati sopra i 14 anni. La percentuale dei pedofili, cioè attratti dai bambini prepuberi, acerbi sessualmente, è bassissima. Queste cose vanno dette perché la caccia al lupo cardinale – quante pagine abbiamo letto sul cardinal Pell — non ci faccia cascare nella logica menzognera e diabolica di creare noi stessi una chiesa nuova e migliore, “anche oggi la chiesa non consiste solo di pesci cattivi e di zizzania” ha detto Benedetto. Ma vanno dette anche perché esiste una multinazionale di pedofili e non è la Chiesa».

L’oscurantista di Verona

Anche quest’anno, dal 25 aprile al 5 maggio, Meter ha celebrato la Giornata bambini Vittime contro la pedofilia, la 23esima dalla prima voluta da don di Noto nel 1995, e anche quest’anno don Di Noto ha gridato, come gli aveva chiesto Carlos. Denunciando le lobby che vogliono normalizzare la pedofilia attraverso il linguaggio, che lavorano per far passare l’idea che “l’amore è amore”, che è possibile abbassare l’età del consenso dei ragazzi a relazioni con adulti. E la criminalità organizzata, le fittissime reti di copertura di un mercato di immagini e video secondo solo al volume d’affari generato dal traffico di armi: «Siamo davvero tutti d’accordo sul fatto che la pedofilia sia un crimine contro l’umanità?». Se lo è chiesto quando, parlando al Congresso mondiale delle Famiglie di Verona, è entrato d’ufficio nel novero dei bigotti, omofobi, oscurantisti, stigmatizzati da tutti i giornali. Lui, cavaliere al merito della Repubblica italiana e primo vicario episcopale per il disagio sociale e la fragilità, che accoglie prostitute, omosessuali, transessuali, uomini e donne ferite, bambini, adolescenti e anziani, che ha presentato alla Festa del cinema di Roma il cortometraggio Coco contro la pedofilia, storia di una donna transessuale interpretata da Antonia San Juan (portata alla ribalta internazionale da Pedro Almodovar con il film Tutto su mia madre, nel ruolo di Agrado).

Lui che da trent’anni battaglia perché il flebile lamento di ogni piccolo abusato possa irrompere nel fracasso quotidiano, nel guazzabuglio quotidiano di questa società così demenzialmente, indifferentemente adulta e dimentica di essere stata un giorno bambina. Bambina come Carlos, Tanuzzo, come una ragazzina con i capelli rossi, salvata dal piede di un santo e da un uomo che ha saputo riconoscerlo.

Foto KYNA STUDIO/Shutterstock

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