La tassa sul carbonio dell’Ue può danneggiare l’economia e l’ambiente

La bozza della proposta sul Cbam, che Bruxelles presenterà il 14 luglio, viola le regole del Wto. Intanto le compagnie aeree protestano contro il Green Deal: «Così ci affossate»

Il portale Euractiv ha ottenuto in anteprima la proposta della Commissione Europea per applicare una tassa sul carbonio alle frontiere (Cbam). L’acronimo è complesso ma è bene cominciare a conoscerlo perché potrebbe cambiare la vita dei cittadini europei. Il meccanismo è fondamentale per portare avanti i benefici ambientali del Green Deal senza distruggere l’economia europea, ma il testo conferma i dubbi sollevati da molti esperti: potrebbe violare le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e quindi scatenare dispute legali e disastrose ritorsioni commerciali per l’Ue.

Le esorbitanti promesse dell’Ue

Bruxelles nel 2019 si è impegnata unilateralmente, senza aspettare le altre potenze mondiali, a diventare il primo continente climaticamente neutro entro il 2050. Ha anche assicurato che ridurrà del 55 per cento le proprie emissioni di gas serra entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990.

Il Cbam, come spiegato in un’approfondita inchiesta che uscirà sul prossimo numero di Tempi, è fondamentale sia per evitare che le aziende europee, costrette a sopportare maggiori costi per la transizione ecologica, vengano surclassate dai competitor internazionali sia per impedire che delocalizzino la produzione in Asia. Entrambe le ipotesi, infatti, annullerebbero i benefici ambientali del Green Deal, scatenando però una crisi occupazionale in Europa.

La tassa europea sul carbonio

In base al contenuto della bozza di proposta, l’Ue stabilirà un prezzo al carbonio utilizzato per produrre un bene all’estero e richiederà agli importatori europei di pagarlo. A maggio di ogni anno, gli importatori dovranno comunicare quanto carbonio è stato utilizzato per produrre la merce importata nell’anno precedente. Il prezzo sarà agganciato a quello dei permessi inquinanti rilasciati dall’Ue alle proprie aziende in base al meccanismo Ets, entrato in vigore nel 2005 e giunto alla sua fase 4.

Già oggi, 11 mila aziende devono acquistare dei “carbon credit” in base alle emissioni di Co2 prodotte. Ogni tonnellata di Co2 costa all’incirca 50 euro. Al momento, le aziende dei settori più a rischio di subire la competizione internazionale (acciaio, alluminio, ferro) ricevono quote gratuite e non è ancora chiaro se in futuro continueranno a godere di questo vantaggio.

Il Cbam può violare le regole Wto

La Commissione Europea introdurrà nel 2023 il Cbam, che diventerà pienamente operativo nel 2026. Il dazio verrà applicato a: acciaio, ferro, cemento, fertilizzanti, alluminio ed elettricità. Verranno tassate sia «le emissioni di Co2 dirette derivanti dai processi di riscaldamento e raffreddamento consumate durante il processo produttivo sia quelle indirette derivanti dall’elettricità consumata durante la produzione».

Il successo del meccanismo dipende da alcuni fattori. Il primo riguarda la sua compatibilità con le regole Wto: se infatti l’Ue continuerà a elargire quote di emissioni gratuite alle sue aziende, tassando contemporaneamente le importazioni, applicherà di fatto un dazio doganale illegittimo, che potrà essere impugnato. Non è un caso che ad aprile, in una telefonata con il presidente francese Emmanuel Macron, il suo omologo cinese Xi Jinping abbia alzato la voce: «La lotta al cambiamento climatico non può diventare una scusa per condurre una guerra commerciale contro altri paesi».

Chi verrà esentato dalla tassa?

C’è anche un altro problema: come verranno utilizzati i fondi raccolti con la tassa sul carbonio? Se non verranno destinati alla transizione ecologica e al miglioramento dell’ambiente, la violazione del Wto è davvero dietro l’angolo. Ma di questo non si fa menzione nel documento svelato da Euractiv.

Dalla bozza della Commissione Europea (scaricabile qui sotto) non è neanche chiaro chi verrà esonerato dal pagare la tassa. È probabile che chi ha un regime ambientale simile a quello europeo sfuggirà al balzello green. Anche i paesi in via di sviluppo potrebbe essere esentati, ma il diavolo si nasconde nei dettagli: anche Cina o India saranno considerati paesi in via di sviluppo? L’autogol ambientale ed economico sarebbe devastante.

CBAM-Regulation-DraftDownload

La ribellione delle compagnie aeree

Far pagare a caro prezzo le emissioni inquinanti per obbligare le aziende a diventare green può apparire come un’idea intelligente, ma se la misura viene applicata solo da una potenza economica, e non dalle altre, può avere conseguenze devastanti.

Lo hanno ribadito a Bruxelles anche le compagnie aeree europee, come testimoniato da documenti ottenuti da Influence Map e citati dal Financial Times. Nel pacchetto che verrà presentato a luglio, infatti, è previsto l’obbligo per le compagnie aeree dell’Ue di utilizzare una certa quantità di costosissimo carburante sostenibile. Inoltre, è probabile che alle compagnie verrà anche richiesto di comprare sempre più quote di emissioni del sistema Ets. La conseguenza è evidente: i costi dei voli europei aumenteranno e quelli dei rivali extra-Ue diventeranno più economici.

Migliaia di lavoratori a rischio

I costi maggiori non solo «ci metteranno in una posizione di svantaggio rispetto ai rivali internazionali», protestano le compagnie capeggiate dal colosso tedesco Lufthansa, ma diminuiranno le risorse disponibili per cercare «alternative innovative» ai combustibili fossili. Un doppio autogol, insomma, imposto in un momento in cui l’aviazione europea a causa del Covid «affronta la crisi più grave della sua storia».

La tempesta perfetta (pandemia più rivoluzione ambientale) potrebbe lasciare a terra gli aerei europei e far perdere il lavoro a decine di migliaia di persone. Ecco perché le compagnie hanno scritto alla Commissione Europea: «L’impatto dell’aviazione sul cambiamento climatico ha bisogno di una soluzione globale, dobbiamo opporci a soluzioni regionali che potrebbero fare più male che bene». Anche all’ambiente: se infatti i passeggeri europei sceglieranno sempre di più i rivali delle compagnie Ue per viaggiare, le emissioni risparmiate dalla transizione ecologica di Bruxelles verranno immesse nell’atmosfera ugualmente. A rimetterci saranno solo i lavoratori licenziati dalle compagnie in fallimento.

È chiaro dunque che il Green Deal può avere successo solo se anche le altre grandi potenze seguiranno la stessa strada. La Cina, come scritto più volte, sta procedendo in tutt’altra direzione e continua ad aumentare le sue emissioni di Co2 e a costruire nuove inquinanti centrali a carbone in spregio alle promesse ambientali ribadite a ogni consesso internazionale.

Il dietrofront degli Usa di Biden

Anche gli Stati Uniti, però, non si stanno comportando meglio. Come scrive il New York Times, Joe Biden si è reso conto che per far passare al Congresso le misure green sbandierate in campagna elettorale dovrà per forza raggiungere un compromesso con i repubblicani. Che, inevitabilmente, ne ridurrà l’impatto climatico. La legge sulle infrastrutture attualmente discussa al Congresso contiene un costosissimo piano per riempire l’America di stazioni di ricarica per i veicoli elettrici, incentivi per aumentare la costruzione di impianti eolici e fotovoltaici, oltre a incentivi per migliorare l’efficienza energetica delle case. Tutto è propedeutico all’approvazione del nuovo Standard sull’elettricità pulita, che richiederà ai colossi energetici di aumentare la quota di produzione di elettricità pulita nel tempo fino a eliminare l’utilizzo dei combustibili fossili.

Dopo settimane di trattative con i repubblicani, Biden ha capito che «le possibilità di approvare leggi climatiche nel Congresso sono sempre più incerte». E tra poco ci saranno le elezioni di midterm, che potrebbero ridurre a zero quelle poche possibilità. Ecco perché Biden ha bisogno di «trovare un compromesso», che renderà impossibile il mantenimento delle promesse fatte.

«Obiettivi di Biden? Impossibili»

Steven Koonin, fisico, membro della National Academy of Sciences, professore della New York University ed ex sottosegretario per la Scienza al dipartimento dell’Energia dell’amministrazione Obama, ha dichiarato in un’intervista che uscirà sul prossimo numero di Tempi:

«Gli obiettivi che l’amministrazione Biden ha stabilito, per esempio zero emissioni da generazione di energia elettrica entro il 2035, sono impossibili. Anzi distruttivi. Si calcola che per arrivare a zero emissioni entro il 2035 dovremmo chiudere da qui ad allora 11 impianti a combustibili fossili al mese. Undici al mese: uno ogni tre giorni. Va tenuto presente che il settore oil & gas vale l’8 per cento del Pil americano e impiega circa 10,5 milioni di persone. Come si intende fare i conti con tutto questo per arrivare a zero emissioni in 15 anni? Che distruzione, che terribile distruzione…».

L’Ue corre un grande pericolo

Quello che si prospetta è uno scenario pericolosissimo per l’Ue: aumento dei costi per le proprie aziende, perdita di competitività e posti di lavoro, dispute legali davanti al Wto, ritorsioni commerciali da parte di tutte le potenze straniere e pochi benefici ambientali a causa del “carbon leakage”. La Commissione Europea farebbe bene a pensarci su due volte prima di agire da sola.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Exit mobile version