Fontana prosciolto. Quanto tempo perso a indagare sul nulla

Non luogo a procedere per il governatore lombardo per lo “scandalo camici”. Una vicenda che fu usata per tentare di colpire il sistema sanitario lombardo

Attilio Fontana, presidente di Regione Lombardia (foto Ansa)

È successo di nuovo. È successo di nuovo che, dopo mesi di baraonda sui giornali, accuse un tanto al chilo, gogna e richieste di dimissioni e commissariamenti, alla fine è finito tutto nel nulla. Anzi, più che nel nulla: il nulla non è nemmeno iniziato.

Attilio Fontana, presidente di Regione Lombardia, non dovrà andare a processo. «Non luogo a procedere», ha deciso il gup Chiara Valori nell’ultima udienza per le indagini preliminari. La faccenda, per la quale i pm milanesi Luigi Furno, Paolo Filippini e Carlo Scalas avevano ipotizzato il reato di concorso in «frode in pubbliche forniture», era quella divenuta famosa come lo “scandalo camici” e che vedeva coinvolto, assieme al governatore, suo cognato Andrea Dini, titolare della Dama Spa. Anche per lui, come per Pier Attilio Superti, Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, vale il non luogo a procedere.

Dini si era aggiudicato un contratto con la Regione da 513 mila euro per 75 mila camici e 7 mila set di calzari e cuffie e, secondo i pm, era stata simulata una donazione. Ora il gup Valori dice: tutto regolare, nessun magheggio, nessuna magagna, non perdiamo nemmeno tempo a fare un processo. Tempo, però, se ne è perso assai per indagare un politico che, come scrisse con buona ironia Maurizio Belpietro, «voleva pagare e non rubare».

Truffa no, dolo no

Quando la giustizia torna sui suoi passi ed ammette l’errore è sempre una buona notizia. L’innocente tira un sospiro di sollievo, gli avvocati gongolano soddisfatti e si volta pagina. Quel che passa sempre sotto silenzio è però il contesto in cui lo scandalo era montato. Eppure non andrebbe taciuto che è stato proprio il “clima” in cui il presunto reato si era verificato a “tenere” la notizia sulle pagine dei giornali e a darle sempre nuova linfa.

Ricorderete: quelli erano i mesi immediatamente successivi allo scoppio dell’emergenza Covid. Accantonate le lacrime per i morti, silenziati i video della gente che cantava sui balconi, ritirati gli striscioni #andràtuttobene, s’iniziava ad andare a caccia di colpevoli. Uno era stato individuato in Attilio Fontana, il governatore lombardo che siti e giornali si divertivano a sbeffeggiare perché indossava la mascherina, mentre i sindaci Beppe Sala e Giorgio Gori facevano gli splendidi con “Milano non si ferma” e “Bergamo non si ferma”. Fontana era uno che, mentre il nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio regalava due tonnellate di materiale sanitario alla Cina (sì, è successo anche questo), cercava di arrangiarsi come poteva, sebbene si fosse di fronte a un virus sconosciuto su cui neppure l’Oms sapeva raccapezzarsi. Pasticci nella concitazione? Può darsi. Ma truffe no, dolo no.

Modello misto

Così, in quei giorni, i toni del melodramma lasciavano spazio a quelli del dramma e i giornali erano partiti alla ricerca del capro espiatorio. Perdonati i Sala e i Gori, i media avevano cominciato a cannoneggiare su Fontana e sul “modello Lombardia”. Una dopo l’altra erano partite la campagne stampa sulla zona rossa, le rsa, l’ospedale in Fiera, le “mascherine mutanda”.

In quel contesto era emersa la vicenda camici. Si puntava ai bersagli grossi, il governatore e la Regione, tirati in ballo ogni dì per una faccenda diversa, anche quelle più astruse, come il Pio Albergo Trivulzio (che faceva tanto “Mani Pulite mon amour”). Tutte vicende, come questa dei camici, finite nel nulla e però, intanto, il “colpo” (cioè lo sputtanamento della Regione per il ribaltone politico) avevano provato a farlo.

Ovvio che il sistema avesse traballato e che la pandemia avesse mostrato quali fossero le falle della sanità migliore d’Italia. Ma lo scopo di chi attaccava a testa bassa Regione e governatore era un altro: mandare al macero quel modello misto pubblico privato che la sinistra s’incaponisce a demonizzare da trent’anni. Anche stavolta non ce l’hanno fatta. Saremo facili profeti nello scrivere che non sarà questa l’ultima volta che ci provano.

 

Exit mobile version