I medici inglesi vogliono abbandonare i pazienti all’eutanasia

La British Medical Association non si opporrà all'Assisted Dying Bill. Un disegno di legge per legalizzare una morte "assistita" tutt'altro che indolore o dignitosa

La British Medical Association benedice il suicidio assistito. Dopo essersi opposta fin dal 2006 ai tentativi di legalizzare qualunque forma di eutanasia, la più grande associazione di medici del Regno Unito dichiara che d’ora in poi adotterà una posizione “neutra” sul fine vita. L’ufficialità è arrivata il 14 settembre in seguito alla votazione che si è svolta nel corso della riunione annuale dei suoi rappresentanti: è qui che il 49 per cento dei medici si è dichiarato a favore della neutralità, il 48 per cento si è opposto, il 3 per cento si è astenuto.

Neutralità pilatesca: niente sostegno a campagne politiche a favore o contro ma nemmeno niente silenzio, «rappresenteremo le opinioni, gli interessi e le preoccupazioni espresse dai nostri membri». Secondo un sondaggio interno condotto nell’ottobre 2020 il 40 per cento dei membri vuole che la Bma sostenga «attivamente i tentativi di cambiare la legge» (nel Regno Unito “eutanasia”, “suicidio assistito” e “morte assistita” sono illegali), il 21 per cento è a favore della neutralità e solo un terzo dei medici mantiene una posizione di ferma contrarietà. Di più, secondo la metà degli intervistati il Regno Unito dovrebbe permettere ai medici di prescrivere farmaci letali.

Ma i medici in trincea sono contro l’eutanasia

La Bma si accoda dunque alle posizioni analoghe già espresse da Royal College of Nursing e Royal College of Physicians, e lo fa nel momento in cui l’ennesimo tentativo di cambiare la legge (l’ultimo è fallito nel 2015) e legalizzare il suicidio assistito approda alla Camera dei Lord. Il disegno di legge Assisted Dying Bill 2021 presentato come «una polizza assicurativa contro le sofferenze intollerabili» dalla baronessa Molly Meacher, presidente della lobby pro eutanasia Dignity in Dying, verrà dibattuto il 22 ottobre e ha già spaccato il paese. Ferma la contrarietà della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, nella Chiesa anglicana è scontro tra le posizioni sostenute dagli ex arcivescovi di Canterbury Rowan Williams (durissimo il suo attacco sul British Medical Journal contro una legge che porterebbe famiglie e medici sovraccarichi a disfarsi dei propri cari e dei propri pazienti) e Lord Carey di Clifton (che sempre sul Bmj aveva difeso l’opzione “meno costosa” della morte assistita rispetto alle cure palliative argomentando che «non c’è nulla di santo nell’agonia»).

Ma è all’interno della stessa comunità medica che si registra un vero e laico dissenso alla “posizione ufficiale” della Bma: c’è un abisso «tra i medici che si prendono cura dei pazienti in fin di vita negli ospedali e negli hospice, che si oppongono al suicidio assistito e all’eutanasia, e quei medici che lavorano in discipline non correlate come la psichiatria infantile e adolescenziale e la salute sul lavoro», ha denunciato il dottor Gordon Macdonald, amministratore delegato di Care Not Killing. «Lo stesso sondaggio della Bma ha rilevato che i medici in trincea, che forniscono assistenza agli anziani e ai malati terminali, che lavorano nell’ambito delle cure palliative, in medicina geriatrica e medicina generale continuano a opporsi al suicidio assistito e all’eutanasia».

Nessuno si è chiesto perché siano soprattutto i giovani impegnati nelle università a sostenere la morte assistita, studenti e dottorandi che spesso non hanno che fare con i malati terminali, i cronici e le loro famiglie, nessuno prende in considerazione le pericolose derive denunciate da chi lavora con anziani e disabili in Paesi Bassi, Oregon o Canada dove nessuno dei “paletti” assicurati dalla legge ha frenato l’estensione selvaggia del diritto-dovere di morire a pazienti fragili, depressi, malati di mente. Una deriva dalla quale la World Medical Association ha preso chiare distanze: «Nessun medico dovrebbe essere costretto a partecipare all’eutanasia, o al suicidio assistito, né alcun medico dovrebbe essere obbligato a prendere decisioni di rinvio a tal fine».

La morte assistita «non è indolore né dignitosa»

Nella sua campagna «ben finanziata» per legalizzare il suicidio assistito, scrive sul Times Danny Kruger, a capo dei parlamentari che si oppongono all’Assisted Dying Bill, «Dignity in Dying indica l’Oregon come l’esempio da seguire per il Regno Unito. Non menzionano mai Canada, Belgio o Paesi Bassi, con buone ragioni. Lì lo stato regolarmente uccide i fragili, i depressi. Anche in Oregon, il business della morte su appuntamento è orribile (…). Dei pazienti che hanno ricevuto farmaci letali nel 2020, il 53 per cento ha affermato di sentirsi un peso per la famiglia e gli amici. In altre parole, chiedono l’aiuto dei medici a morire per non recare disturbo agli altri». Il deputato invita il paese a non cadere nei giochi di prestigio lessicali, “morte assistita” non è garanzia di alcun controllo, dignità e assenza di dolore.

Sullo stesso tema lo Spectator ha pubblicato la spietata testimonianza del dottor Joel Zivot, professore associato di anestesiologia e chirurgia presso la Emory School of Medicine di Atlanta, Georgia. Che sulla presa di posizione della Bma e l’utopia di sostituire una morte lenta e penosa con una rapida e indolore chiarisce: «Come medico e perito contro l’uso dell’iniezione letale per l’esecuzione in America, sono abbastanza certo che il suicidio assistito non sia indolore, pacifico o dignitoso. Infatti, nella maggior parte dei casi, è una morte molto dolorosa». Zivot conosce la trappola dei farmaci paralizzanti utilizzati per la pena di morte così come nella morte assistita: «Somministrandoli in dosi sufficientemente elevate, un paziente non può muovere un muscolo, non può esprimere alcun segno esterno o visibile di dolore. Ma questo non significa che sia libero dalla sofferenza».

Morire annegando

Le sue peggiori paure (nate assistendo o leggendo i rapporti sull’esecuzione capitale con iniezione letale di alcuni detenuti) hanno trovato conferma nel 2017: «L’autopsia di Wellons ha rivelato che i suoi polmoni erano profondamente congestionati di liquido, il che significa che erano circa il doppio del peso normale dei polmoni sani. Aveva sofferto quello che è noto come edema polmonare, che potrebbe essersi verificato solo mentre giaceva morente. Wellons era annegato nelle sue secrezioni. Eppure perfino il mio occhio medico non aveva rilevato alcun segno di angoscia durante la sua esecuzione».

Wellons era stata giustiziato con il pentobarbital, causa del suo edema polmonare. «In Oregon, per quattro su cinque suicidi assistiti è stato impiegato il pentobarbital o suoi parenti stretti (l’Assisted Dying Bill si basa sul sistema dell’Oregon). Se si dovesse eseguire un esame post mortem su un corpo dopo il suicidio assistito, è molto probabile che si trovi un edema polmonare simile». Secondo Zivot chi chiede la morte assistita merita di sapere che potrebbe «finire per annegare, non solo per addormentarsi».

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