Erdogan sta per invadere la Siria, e Biden non sa che fare

Mentre ricatta la Nato su Svezia e Finlandia, la Turchia prepara la quarta incursione militare nel nord del paese in poco più di cinque anni

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (foto Ansa)

La Turchia sta preparando la quarta incursione militare turca nel nord della Siria in poco più di cinque anni, e gli americani non sanno esattamente cosa fare, considerato che Erdogan ricatta la Nato annunciando il suo veto all’ingresso di Finlandia e Svezia nell’organizzazione se i paesi dell’Alleanza Atlantica non smetteranno di ostacolare i suoi sforzi nella lotta al terrorismo, dove i terroristi agli occhi del presidente sono i curdi siriani del Pyd/Ypg. È quanto si desume dalle notizie della settimana che si sta concludendo.

Gli obiettivi delle forze armate di Erdogan

Lunedì 23 maggio, dopo una riunione del Consiglio dei ministri ad Ankara, Erdogan ha annunciato che presto le forze armate turche riprenderanno l’iniziativa per creare una fascia di sicurezza in territorio siriano lungo la frontiera con la Turchia. «Intraprenderemo nuovi passi relativi alle parti incomplete del progetto che abbiamo iniziato di una fascia di sicurezza profonda 30 km che abbiamo deciso lungo il nostro confine meridionale », ha dichiarato il presidente. E ha aggiunto: «Il principale obiettivo di queste operazioni saranno le aree che coincidono coi centri da cui partono attacchi contro il nostro paese e contro le aree di sicurezza (territorio siriano già ora controllato dalle forze turche e dai loro alleati siriani – ndt)».

Erdogan ha aggiunto che il giorno giovedì 26 maggio sarebbero state prese decisioni operative nel corso di un summit con alti gradi delle forze armate turche: «Non appena le forze armate turche avranno completato la preparazioni relative all’intelligence e alle misure di sicurezza, queste operazioni avranno inizio». Ma già mercoledì 25 maggio il quotidiano filo-governativo Yeni Safak rivelava che «fra i probabili obiettivi delle forze armate turche e dell’Esercito nazionale siriano (una coalizione di ribelli siriani filo-turchi – ndt) ci sono Tal Rifaat, Ain Al Arab (cioè Kobane – ndt), Ain Issa e Manbij».

Si tratta di località tutte controllate dalle Fds, la coalizione fra i gruppi armati del Pyd/Ypg curdo e milizie arabe, siriache ed assire. Il giornale sottolinea giustamente che se le rivelazioni sono credibili, l’obiettivo critico dell’operazione sarebbe rappresentato dalla cittadina di Tal Rifaat, distante 15 km dalla frontiera turca, e che secondo i servizi segreti di Ankara sarebbe il trampolino degli attacchi curdi contro le aree di sicurezza di Afrin, Azaz e Jarablus controllate dalla Turchia e dai combattenti siriani filo-turchi. Tal Rifaat si trova a nord di Aleppo e a sud di Azaz. Un’operazione che la portasse sotto il controllo turco non rappresenterebbe un semplice allargamento delle preesistenti “safe zones”, ma una penetrazione in profondità del territorio siriano.

Le preoccupazioni degli Stati Uniti

Fra le dichiarazioni di Erdogan e l’articolo di Yeni Safak si sono inseriti i commenti di un portavoce del Dipartimento di Stato americano martedì 24 maggio, che ha espresso preoccupazione per le parole di Erdogan, motivandola col fatto che una nuova offensiva nella Siria settentrionale metterebbe a rischio la stabilità regionale e metterebbe in pericolo le truppe americane presenti nella zona (dovrebbe trattarsi di 900 unità).

«Siamo profondamente preoccupati per i rapporti che giungono e per le discussioni in corso circa un potenziale aumento delle attività militari nel nord della Siria, e in particolare per il loro impatto sulla popolazione civile locale», ha affermato il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price. «Riconosciamo le legittime preoccupazioni della Turchia in materia di sicurezza lungo il suo confine meridionale, ma qualsiasi nuova offensiva minerebbe ulteriormente la stabilità regionale e metterebbe a rischio le forze statunitensi e la campagna della coalizione contro l’Isis».

Erdogan ancora contro Svezia e Finlandia

L’unica parziale risposta turca alle preoccupazioni americane è venuta il 26 maggio, allorché il Consiglio nazionale per la sicurezza turco al termine di una sua riunione ha rilasciato una dichiarazione nella quale si sottolinea che «è stato affermato che le operazioni in corso per ripulire i nostri confini meridionali dalla minaccia del terrorismo, così come quelle che verranno effettuate, non prendono di mira in alcun modo l’integrità territoriale o la sovranità dei nostri vicini e sono un requisito delle nostre esigenze di sicurezza nazionale».

Il Consiglio ha anche esortato i paesi che violano il diritto internazionale sostenendo il terrorismo a “porre fine” a questo atteggiamento, sottolineando che la Turchia rispetta sempre lo spirito e le norme delle alleanze internazionali di cui fa parte, e si aspetta la stessa responsabilità e sincerità dai suoi alleati. Il riferimento è evidentemente alla domanda di Svezia e Finlandia di entrare a far parte della Nato: «Ankara», scrive l’agenzia di stampa governativa Anadolu, «ha ripetutamente chiesto ai due paesi di interrompere in modo deciso i loro (presunti, ndt) legami con i gruppi terroristici».

La difficile posizione degli Stati Uniti

Un altro tassello che spiega la difficile posizione degli Stati Uniti nei rapporti con la Turchia in questo delicatissimo momento arriva da un’intervista del portavoce del Dipartimento di Stato per il Medio Oriente Samuel Werberg rilasciata il 26 maggio a Syria Tv. Questa emittente televisiva ha lo stesso nome della tivù ufficiale siriana, ma è di proprietà della qatariota Fadaat Media, ha la sua sede in Turchia e la sua linea editoriale è favorevole all’opposizione al regime del presidente Assad (Syria Tv si considera espressione degli ideali della “rivoluzione” del 2011 pur senza essere allineata a nessun partito o coalizione ribelle).

Una domanda dell’intervista chiedeva a Werberg di giustificare la decisione americana di autorizzare scambi commerciali e investimenti nelle regioni siriane che si trovano attualmente sotto il controllo delle Fds, in deroga a quanto prevede il Caesar Act, che impone vaste sanzioni economiche a tutto il territorio siriano.

L’angoscia dei curdi di Siria

Werberg ha spiegato che le esenzioni mirano a «migliorare le condizioni economiche nelle aree fuori dal controllo del regime siriano nel nord-est e nel nord-ovest della Siria incoraggiando gli investimenti del settore privato. Le autorizzazioni intendono prevenire la recrudescenza dell’Isis alleviando la crescente insicurezza economica e ripristinando i servizi di base nelle aree liberate dal gruppo terroristico. Hanno un significato puramente economico e non politico. Hanno lo scopo di sostenere gli sforzi di stabilizzazione, compreso il ripristino dei servizi di base e il miglioramento delle opportunità di sostentamento per aiutare i siriani a tornare alla vita normale. Forniscono supporto agli sfollati che tornano nelle regioni di origine e alle comunità in cui fanno ritorno». Werberg ha sottolineato che questa politica «non promuove né sostiene l’autonomia in nessuna parte della Siria».

Queste parole dovrebbero tranquillizzare la Turchia sul fatto che gli Usa non appoggiano il consolidamento della Rojava, la regione amministrativa che il Pyd/Ypg ha creato in territorio siriano in questi ultimi anni e che Ankara considera il trampolino di lancio di attacchi del Pkk in territorio turco; suscitano certamente angoscia nei curdi di Siria, che a suo tempo hanno rappresentato le truppe di terra dell’offensiva Usa contro l’Isis fatta di bombardamenti aerei. E sicuramente non basteranno a Erdogan.

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