Embrioni al macello

Dopo quelli orfani, sintetici, stoccati, usati come pezzi di ricambio e laboratorio arrivano gli embrioni da scaffale. Il primo sì dell'Ue al regolamento che li equipara a sangue e tessuti è solo l'ultimo passo verso il mercato della vita e dei figli di qualità

Eppure eravamo preparati. Quando, a più riprese, tra giugno e settembre, è stato annunciato l’arrivo tra noi dei primi embrioni umani artificiali «completi», coltivati riprogrammando cellule staminali senza impiego di ovuli e spermatozoi, la premessa di stampa ed esperti era una: nessuno sta creando bambini in laboratorio. Gli embrioni sintetici, coltivati oltre uno stadio leggermente superiore ai 14 giorni (limite legale in molti paesi per la coltivazione in laboratorio di embrioni umani) erano lì a dimostrare che la strada per decifrare i segreti delle prime fasi dello sviluppo embrionale umano e quelle cruciali che seguono al suo impianto nell’utero, è oggi aperta e percorribile.

Il resto sarà da oggi solo questione di procedura: fino a che punto applicare le linee guida stabilite per gli embrioni umani dalla Società Internazionale per la Ricerca sulle Cellule Staminali (Isscr), che ne vieta innanzitutto l’impianto in utero, umano o meno? La regola dei “14 giorni” deve essere applicata anche a questi “modelli” sintetici? Sarà una apposita commissione di scienziati, giuristi e bioeticisti, la Governance of Stem Cell-Based Embryo Models a rispondere, saranno loro a stabilire come procedere “responsabilmente” su questa strada. La posta in gioco, ci è stato ripetuto, è alta: questi “embrioni” diventeranno strumenti fondamentali per lo studio delle cause d’infertilità, di patologie genetiche e di aborti ricorrenti. Il fatto che la loro esistenza comporti – come ha ben scritto Roberto Colombo su Avvenire – «sia la distruzione di embrioni umani “naturali” per ottenere le h-Esc necessarie per generale quelli “sintetici”, sia la distruzione finale di questi ultimi» non è un tema.

Maiali con reni umani, bambini con tre dna, uteri artificiali

La posta in gioco è alta: per ovviare alla scarsità dei donatori di organi umani alcuni ricercatori hanno iniziato a battere la strada dell’ibrido. Se all’Università del Texas Southwestern Medical Center hanno puntato a creare topi con cervelli di ratto da embrioni ibridi (che sono diventati 417 cuccioli), presso gli Istituti di Biomedicina e Salute di Guangzhou sono riusciti a crescere reni umani in una scrofa a partire da embrioni misti di cellule umane e di maiale (il loro sviluppo è stato arrestato a 28 settimane per timore che potessero dare origini a «cervelli simili a quelli umani»). L’obiettivo dei pionieri, ci è stato spiegato poche settimane fa, è «utilizzare i maiali come incubatrici per la crescita e la coltivazione di organi umani». Del resto non è la prima volta che gli scienziati creano una chimera-maiale umano.

La posta in gioco è alta, aiutare le madri portatrici di disfunzioni mitocondriali a concepire figli sani: per questo sono stati creati i bambini con il dna di tre genitori, l’ultimo è venuto al mondo a maggio. Ridurre i decessi e le disabilità dei bambini nati estremamente pretermine: per questo dopo anni di sperimentazioni sono pronte ai trials umani le prime “biobag”, sacche riempite con un liquido carico di elettroliti altrimenti chiamate “utero artificiale” (la Fda ha bloccato la sperimentazione sull’uomo pochi giorni).

L’Ue apre al mercato della vita e della fertilità

La posta in gioco è alta: all’origine di ogni manipolazione genetica e balzo in avanti sulla strada della riproducibilità tecnica c’è sempre una grande premura. E così, quando il 12 settembre scorso, il Parlamento europeo ha approvato con larghissima maggioranza di socialisti, verdi e liberali la bozza del “regolamento SoHO – Substance of Human Origin”, è stato ribadito che l’obiettivo è proteggere donatori e pazienti, regolare le procedure e costruire un ambiente efficiente e sicuro per le trasfusioni di sangue e i trapianti di organi in tutta l’Unione. Fine lodevolissimo, non fosse per la sconcertante equiparazione di feti e embrioni a «sostanze di origine umana» al pari di plasma, cute, cellule e ovviamente gameti contemplata dal regolamento. Non è una sottigliezza: è la chiave per sdoganare in Europa il mercato della vita umana e della fertilità.

Di “mercato” ha parlato esplicitamente la relatrice del Ppe Nathalie Colin-Oesterlé sottolineando il sostegno del suo partito al «mercato della fertilità per giustificare gli scambi transfrontalieri di gameti, embrioni e feti in caso di carenza in uno Stato membro». Di “mercato” parla la stessa bozza del provvedimento che mira a garantire «l’approvvigionamento» di queste «sostanze» che potranno viaggiare attraverso l’Ue per essere «donate con compensazione».

La truffa del dono, l’eugenetica, il business

“Donate” in Europa significa tutto quello che Tempi ha documentato alla fiera Wish for a baby di Milano (la tariffa per un donatore esclusivo di sperma arriva a 100 mila euro, alla faccia dei rimborsi). Significa screening genetici (articolo 58 della bozza) e compravendita. «Questo regolamento – hanno accusato i vescovi della Comece, Conferenza degli episcopati dei Paesi membri dell’Ue – potrebbe influire nella rimozione e nell’uso degli embrioni morti o uccisi e dei feti, come anche nell’uso alternativo degli embrioni prodotti in vitro eccedenti e che non sono stati deliberatamente impiantati nell’utero. A causa dell’ampia definizione, c’è il timore che perfino i bambini concepiti naturalmente che non sono ancora autonomamente vitali nelle fasi di sviluppo prenatale possano rientrare nel termine SoHO».

«Certo, gli Stati membri restano responsabili delle decisioni su questioni etiche come la fecondazione in vitro – ricorda il Feministpost -, ma allo stesso tempo, affidando alla Commissione la responsabilità dell’attuazione del regolamento, c’è il rischio concreto che Bruxelles aggiri i divieti presenti nelle legislazioni dei singoli Paesi». Si prevede che il testo finale torni in parlamento dopo le prossime elezioni e che Italia, Ungheria e Polonia siano i primi paesi a respingerlo.

Embrioni venduti, stoccati, orfani

Fino ad allora la posta in gioco è alta, torneranno a spiegare ogni volta si tratti di far girare il business della produzione artificiale e vagamente eugenetica di figli “di qualità”, raccontare la favola delle donatrici e scartare embrioni per arrivare a quello perfetto. Questa settimana diverse testate sono tornate a porsi il problema dei circa 40 mila embrioni-orfani stoccati nei bidoni di azoto di 320 centri per la fertilità in Italia: avanzi di gravidanze, fallimenti e sogni infranti di genitorialità. Non si possono distruggere, donare alla ricerca, né adottare.

Non è un problema solo italiano, dall’Europa agli Stati Uniti (dove gli embrioni stoccati sono milioni) nessuno vuole aprire il coperchio di quei depositi per non porsi la domanda decisiva su cosa o chi sono quegli embrioni: figli, fratelli, sorelle o solo tessuti? Una domanda che emerge solo quando qualcosa va storto e vengono perduti. Finché restano tappati in quei vasi di Pandora nessuno vuole chiedersi qual è davvero la posta in gioco e cosa stiamo perdendo per guadagnare il traguardo della superproduzione, selezione e consumazione dell’essere umano.

Foto Ansa

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