È da come si usa il tempo libero che si giudica un uomo. Il Comune dei Giovani di don Didimo

Dall'esperienza di don Didimo Mantiero alla fede che si fa cultura, politica, vita di comunità. Intervista a Andrea Mariotto, attuale presidente della Scuola Cultura Cattolica

Durante una cena fra amici. Così è nato il “Premio internazionale Medaglia d’oro al merito della Cultura Cattolica”, nel 1983. Il primo a riceverlo fu il professor Gianfranco Morra, e da quell’anno in poi, è stato tutto un susseguirsi di grandi nomi, laici e religiosi, che sono riusciti a fare testimonianza autentica della fede nelle loro vite e nel loro lavoro. Ma la storia del Premio parte da ben più lontano del 1983. Esisteva già dal 1981 la Scuola di Cultura Cattolica, nata a sua volta dall’esperienza del Comune dei giovani, opera del sacerdote di Bassano del Grappa, don Didimo Mantiero. Racconta a tempi.it questa esperienza bassanese Andrea Mariotto, attuale presidente della Scuola Cultura Cattolica.

Il premio di quest’anno, consegnato il 14 ottobre a Bassano del Grappa, è andato a padre Samir Khalil Samir, noto islamologo. Come mai questa scelta?
Senz’altro ha influito il contesto particolare che sta vivendo l’Occidente in questo momento storico. Anche se, in linea di massima, abbiamo negli anni cercato di non legare strettamente il Premio all’attualità. Abbiamo sempre nominato personalità che sono state importanti per la fede a prescindere dal momento in cui sono state nominate. Il nome di padre Samir era già circolato tra i giurati negli anni precedenti, ma per vari motivi era stata data la precedenza ad altri personaggi. Nel 2014 abbiamo voluto conferire il Premio a padre Romano Scalfi, fondatore di Russia Cristiana, e nel 2015 abbiamo premiato la studiosa Emanuela Marinelli, esperta sindonologa, proprio nell’anno della Ostensione. Nel 2016 ci sembrava giusto premiare padre Samir. In un momento in cui si parla quotidianamente di islam.

Come nasce il Premio internazionale Medaglia d’oro al merito della Cultura Cattolica?
Nasce da un’idea dei partecipanti alla Scuola di Cultura cattolica, una naturale estensione dell’esperienza del Comune dei Giovani di Bassano del Grappa, che don Didimo aveva pensato per i ragazzi tra i 15 e i 30 anni. Quei ragazzi cresciuti volevano continuare a riunirsi e portare avanti un messaggio di fede e esperienza cristiana, così è nata la Scuola. Una sera a cena, è venuta voglia di premiare il professor Gianfranco Morra, sociologo dell’Università di Bologna, legato alla storia di Bassano e a don Didimo. Era davvero una premiazione tra amici, solo dopo ci si è resi conto che poteva diventare una tradizione annuale, per riconoscere pubblicamente il merito di alcune personalità, in grado di “far della fede cultura”, come ha detto Giovanni Paolo II. Dal 1981 in avanti si sono susseguiti tanti nomi eccellenti, come l’allora cardinale Joseph Ratzinger, nel 1992, monsignor Luigi Giussani nel 1995, o ancora lo scrittore Eugenio Corti nel 2000, solo per citarne alcuni.

Ma se don Didimo Mantiero non avesse fondato il Comune dei Giovani tutto questo non sarebbe successo. Può raccontarci come si è sviluppata questa esperienza?
A don Didimo stava particolarmente a cuore il tempo libero dei ragazzi. Diceva che è nel tempo libero che si può intravedere il tipo di esperienza cristiana che ognuno sta portando avanti dentro di sé. Al tempo stesso il modo in cui si impiega il tempo libero è particolarmente determinante nella fascia di età tra i 15 e i 30 anni. È il periodo in cui si diventa adulti, il periodo in cui nascono le grandi amicizie, quelle che durano anni, il periodo in cui si comincia a intravedere cosa si potrà diventare nella vita e ci si comincia a sganciare dal contesto famigliare per fondare una famiglia propria. Per questo ha deciso di dare il via al Comune dei Giovani nell’oratorio di Santa Croce, a Bassano del Grappa, nel 1962. In questa esperienza, viva tutt’oggi come lui l’aveva immaginata, i ragazzi devono autoamministrarsi, facendo riferimento ovviamente al sacerdote, ma eleggere, come in un comune vero, un sindaco e una giunta di ministri. Don Didimo li ha voluti chiamare “ministri” e non “assessori”, perché nella radice della parola “ministro” c’è il termine latino “minus”, che significa “meno”, e voleva che tutti i partecipanti partissero da lì, dall’umiltà. Molti dei giovani che negli anni hanno svolto questi ruoli organizzativi nell’oratorio di Santa Croce hanno poi davvero avuto un ruolo nella vita politica locale di Bassano, come se il Comune dei Giovani fosse servito da esercizio per il futuro impegno politico. Un risvolto a cui don Didimo aveva pensato e sperato.

Quanto è strettamente legata al territorio l’esperienza del Comune dei Giovani?
Immaginiamo il contesto in cui è nato. Era il dopoguerra, non tutti i giovani ancora andavano all’università, perciò don Didimo aveva pensato che servisse una proposta concreta per i ragazzi di Bassano del Grappa. Pensava che la linfa vitale di una parrocchia passasse dal catechismo, perciò proponeva sempre a tutti l’impegno di diventare catechista. Nel periodo d’oro del Comune dei Giovani, intorno agli anni Settanta, in parrocchia si contavano 90 catechisti. Uno scenario ben diverso da quello che vivono le parrocchie italiane oggi, con numeri di educatori davvero risicato. Ma la proposta che don Didimo faceva era talmente coinvolgente, che tutti vi volevano aderire. In breve tempo il Comune dei Giovani è diventato il centro culturale e vitale di Bassano, visto che il tempo libero dei figli di tutti si svolgeva lì. È stato tutto un susseguirsi di partite di calcio, di pallavolo, di gite fuori porta, di iniziative belle in cui far comunque passare il messaggio cristiano. La canonica di don Didimo è rimasta sempre aperta a tutti, fino a quando il morbo di Parkinson lo ha colpito duramente.

Che tipo di formazione aveva don Didimo?
Ha scoperto la vocazione grazie a un suo zio vescovo di Treviso, monsignor Antonio Mantiero, ma la fede aveva sempre attraversato la sua vita famigliare. Quinto di dieci figli, aveva altri due fratelli sacerdoti, e due sorelle suore missionarie. La vera svolta della sua vita di fede e sacerdozio la ha nel 1941, durante la Seconda Guerra Mondiale, quando ha fondato “la Dieci”, una proposta spirituale aperta a chiunque. Don Didimo stava rileggendo l’Antico Testamento, quando è rimasto colpito dal passo della Genesi (18, 16-33) in cui Abramo promette a Dio che troverà dieci giusti nelle città di Sodoma e Gomorra. Così ha cominciato a pensare che chiunque potesse offrire la propria vita a Dio, con la costanza nella preghiera e nella continua offerta della fatica quotidiana. In particolare gli aderenti a “La Dieci” avrebbero dovuto dedicare tutto il bene possibile di un giorno alla settimana scelto liberamente, avvalendosi della recita del Santo Rosario, del digiuno e della penitenza.

La Dieci è una proposta viva ancora oggi, come il Comune dei Giovani?
È un progetto di preghiera e offerta al Signore a cui ognuno può decidere di aderire liberamente, senza dover prendere pubblicamente impegno. Nessuno degli aderenti alla Dieci conosce il sacrificio personale degli altri, né i nomi. Solo inizialmente don Didimo teneva un registro di chi decideva di prendere parte alla sua proposta, un registro che però in breve tempo decise di non tenere più. Tutti quei primi giovani erano morti in circostanze misteriose, come fossero predestinati al sacrificio, per questo don Didimo li chiamava i “martiri”. Tra loro c’era anche don Mario Ghibaudo, trucidato durante l’eccidio di Boves, in provincia di Cuneo, per mano dei soldati nazisti. Il sacerdote perse la vita per difendere la vita dei suoi parrocchiani, che aveva aiutato a rifugiarsi nelle campagne, mentre i soldati bruciavano le case. Nella fretta si era però dimenticato il Santissimo in chiesa, e decise di tornare indietro per metterlo al riparo dalla furia dei soldati. Fu quel gesto di amore per Dio a costargli la vita, un gesto oggi sotto analisi del processo di canonizzazione. Un gesto drammatico, ma reale sintesi di quello che don Didimo pensava quando parlava di “offerta al Signore”.

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