Con la caduta di Draghi fallisce l’autocommissariamento della politica italiana

Dopo lo strappo di Conte e l’assist al centrodestra per tornare al voto, finisce una legislatura caotica e piena di eccezioni. Il sistema politico è sottosopra, servirebbe un patto costituente (ma nessuno è pronto a farlo)

Il premier Mario Draghi (in piedi) mercoledì in Senato durante il voto di fiducia al governo. Seduto, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (foto Ansa)

Il tentativo di autocommissariamento è fallito. Un anno e mezzo fa i partiti avevano fatto di Mario Draghi un sorta di podestà: pacificatore del conflitto politico, gestore dell’emergenza, amministratore efficiente del Next Generation Eu, garanzia internazionale agli occhi del mondo e dei mercati. Dalla rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica il quadro ha iniziato a scomporsi, con le forze più sofferenti sul piano del consenso – Lega e Movimento 5 stelle – che hanno assunto un atteggiamento più duro verso il premier e in Parlamento. La guerra ha aggiunto un ulteriore stato di tensione tra pacifisti interessati e sostenitori della difesa ucraina.

Nemmeno il Quirinale ha potuto salvare Draghi

Tutte le differenze tra le forze politiche sono esplose sia sul piano interno che internazionale. Il meccanismo di riforma avviato da Draghi è stato fatto prigioniero dai partiti che reclamavano rappresentanza e difesa degli interessi elettorali. Il sistema è andato verso un bipolarismo nel governo, draghiani contro scettici, contrapposto a uno fuori dal governo, centrodestra contro centrosinistra. Questo disallineamento ha innescato la tempesta perfetta. Giuseppe Conte, con imprudenza, apre una crisi al buio: vuole portare il Movimento 5 stelle all’opposizione ma senza votare. Distrugge il campo largo con il Pd e i centristi, ma soprattutto fornisce un assist al centrodestra che era pronto per tornare al voto.

Draghi rifiuta il compromesso, il suo è un discorso alle Camere durissimo che colpisce Conte, ma anche Salvini e Berlusconi. L’inflessibilità del premier sul programma, scelta legittima ed esasperata, conduce alla deflagrazione. In poche ore si sfilano Lega e Forza Italia, mentre il Movimento non rientra. Nemmeno il Quirinale, che in questa legislatura è stato più interventista che mai, e ha approntato una tattica consolidata per ricomporre le crisi ed evitare le urne, ha potuto nulla. Ecco, dunque, la crisi di sistema. Un paese che perde il suo scudo internazionale e un Parlamento che non perdona le esondazioni di leadership.

Una legislatura molto costituente

Si chiude una legislatura caotica e caratterizzata da numerose eccezioni: l’intervento del Quirinale sulla composizione del governo populista; la scelta di lasciare Conte alla guida del governo con una maggioranza diversa; la riforma costituzionale dei seggi parlamentari in nome dell’antipolitica; lo stato d’eccezione della pandemia; l’unità nazionale che nasce intorno a Draghi e su impulso del vincolo esterno europeo e della debolezza politica interna; il collasso e lo sbriciolamento del primo partito del Parlamento; la rielezione senza scadenza di Mattarella come capo dello Stato. Raramente si è avuta una legislatura tanto costituente, sul piano materiale, come questa.

Il sistema costituzionale è stato sottoposto a uno stress senza precedenti. Una situazione che conclama una crisi istituzionale forse irreversibile, ma anche l’impossibilità di riformare l’Italia a colpi di commissariamenti e fiducie parlamentari. I programmi di riforma dirigisti calati da Bruxelles, benché possano introdurre delle novità positive, non sono digeribili dal sistema politico italiano. Un’architettura che si sfalda verso l’alto, dipendendo sempre più dall’Unione Europea, e verso il basso, con un parlamento e una burocrazia determinati a salvaguardare il proprio residuo potere.

Servirebbe un nuovo patto costituente, ma non si vedono partiti disposti ad accettare la sfida. Tra scenario economico in netto peggioramento, vincoli internazionali e finanziari pesanti, pressioni europee e interessi corporativi interni il paese sembra intrappolato: incapace di autogovernarsi e quindi incapace di riformarsi. La stabilità non è garantita e una riedizione della legislatura appena conclusasi non appare improbabile. Il sistema politico italiano è sottosopra e nemmeno l’autocommissariamento dell’era Draghi è riuscito a riportare l’ordine.

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