Dite a Letta e agli allarmisti del “fascismo” che la guerra civile è finita da un pezzo

Titolone di Repubblica sull’“endorsement” dei socialisti tedeschi a Enrico Letta

Su Fanpage Tommaso Coluzzi scrive: «Avanti con Draghi. La linea del Terzo polo, di Azione e Italia viva, è sempre la stessa: bisogna proseguire sul solco dell’attuale governo».

Coluzzi così riporta la proposta politica di Luigi Marattin di Italia viva, che si presenta alle elezioni alleata ad Azione di Carlo Calenda. Senza voti e senza il consenso di Mario Draghi, Sergio Mattarella dovrebbe trasformarsi in un dittatore che si sostituisce al voto popolare e impone la soluzione che vuole Marattin. Dopo l’asfittica proposta di un “voto utile” fatta da Enrico Lettino, arriva questa opzione di un renziano per il “voto ridicolo”.

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Su Startmag Francesco Damato scrive: «Francamente, il segretario del Pd avrebbe potuto fare a meno di questo tipo di endorsement, un po’ eccessivo pur considerando le difficoltà nelle quali egli si trova con quella distanza ormai incolmabile fra il suo polo, alquanto striminzito dopo la rottura con Giuseppe Conte a sinistra e con Carlo Calenda e Matteo Renzi al centro, e il centrodestra a trazione, questa volta, meloniana. Con quel tipo di endorsement Enrico Letta ha messo nei guai dopo qualche ora in Italia persino il suo amico – e, credo, anche elettore – Paolo Mieli. Che, ospite del salotto televisivo di Lilli Gruber, ha sorpreso anche la padrona di casa riconoscendo al segretario del Pd il merito di non avere abusato dell’antifascismo – anzi, di non avervi proprio fatto ricorso – per contrastare Giorgia Meloni, sino a rendere questa campagna elettorale “più all’acqua di rosa di tutte”, testualmente».

Enrico Lettino nel chiedere l’aiuto della Spd avrebbe dovuto capire che la sinistra in Germania teme Giorgia Meloni soprattutto per il suo atlantismo e questo spinge i socialdemocratici tedeschi ad assumere posizioni scomposte che non servono al Pd. Però non si può chiedere a un quasi analfabeta politico, cioè il nostro Lettino (non per nulla legato al superpasticcione filocinese Romano Prodi), di tener conto di una realtà troppo complessa, non riducibile a formulette banali.

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Su Strisciarossa Paolo Soldini scrive: «Giorgia Meloni spera che alle prossime elezioni in Spagna vinca Vox. Niente di sorprendente: la simpatia politica della leader della destra-destra italiana per il partito falangista spagnolo è nota ed è stata immortalata in un video che ha esaltato i suoi fan e fatto venire i brividi a chi non la ama: “Yo soy Giorgia” e tutto quel che seguiva. Ma se non deve stupire, la dichiarazione d’amore falangista della candidata alla guida del governo di Roma dovrebbe indurre però a qualche preoccupata riflessione sui possibili sviluppi d’una vittoria della destra in Italia. Proprio mentre Meloni ieri si augurava di far da “apripista” al successo dei suoi camerati (nel senso proprio del termine), a Bruxelles gli uffici del Consiglio europeo rendevano noto che dalla Commissione è arrivata formalmente la richiesta di bloccare i fondi al governo ungherese. Si tratta della prima conseguenza pratica del voto con cui il Parlamento europeo ha condannato a larghissima maggioranza le pratiche illiberali del regime di Viktor Orbán».

Certamente non va dimenticato che cosa è stato il fascismo europeo (con le sue varianti naziste e falangiste), ma mentre è bene ricordare la storia, non sarebbe male anche essere consapevoli che quella guerra civile europea (1914-1991) che ha prodotto comunismo, fascismo e due conflitti mondiali, è finita. Viviamo in un altro mondo nel quale per esempio la formazione di Vox è figlia dell’area atlantista spagnola interpretata da José María Aznar, in contrasto con i merkelliani del partito popolare di Mariano Rajoy. Naturalmente la complessità dell’attuale quadro politico porta con sé detriti di ogni tipo, ma gli osservatori intelligenti dovrebbero aiutare a superarli questi detriti, non a utilizzarli per risparmiarsi il duro lavoro della riflessione razionale.

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Riccardo Bonsignore scrive: «Vale la pena, a supporto di queste affermazioni, ricordare che poco prima dell’estate Iran e Argentina hanno chiesto di entrare nel novero dei Brics, ovvero nel gruppo di paesi alternativo al G7 che comprende Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Nel frattempo, sistemi di pagamento alternativi a quelli di matrice occidentale stanno velocizzando il loro sviluppo e la loro diffusione per garantire alla Russia accesso a capitali che le sanzioni cercano di limitare. Cavalieri senza macchia e senza paura non se ne vedono all’orizzonte da nessuna delle parti in causa. Forse potrebbe valere la pena abbassare un po’ i toni e sedersi ad un tavolo e provare a costruire insieme un mondo che valorizzi i contributi che ogni nazione è in grado di offrire alle altre, riducendo gli arroccamenti su posizioni storiche, forse difficilmente sostenibili, e ricercando pace e giustizia come veri fari per la prosperità di tutti i popoli? Non è forse questo che richiede il Catechismo della Chiesa cattolica quando afferma che anche la legittima difesa con la forza militare sia giustificata solo dopo “che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci” (CCC 2309)? Qualcuno sta lavorando in questa direzione?».

L’Arabia Saudita è una democrazia? E così l’Algeria? L’India, il Brasile e il Sud Africa sono autocrazie? Ahimè, costruire equilibri internazionali che consentano di mantenere non solo la pace ma anche livelli alti di globalizzazione richiede uno sforzo complesso, ancor più dopo l’inammissibile aggressione russa all’Ucraina. E certi economisti che pure hanno dimostrato formidabili capacità tecniche, dovrebbero ricordare che cosa diceva uno dei migliori tra loro, John Maynard Keynes: «Vorrei essere trattato come un dentista», cioè uno che risolve problemi specifici e non pretende di sostituirsi all’altrettanto complesso impegno che è quello di dirigere la politica di nazioni e la ricerca di equilibri globali, che richiedono altrettante e insieme diverse qualità di quelle che servono per gestire il governo della moneta, dell’industria e dei commerci.

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