De profundis per Bernardo. Salvini ha confuso Milano con Milano Marittima

Nel capoluogo lombardo si poteva giocare la partita. Invece, anziché vincere a mani basse, si va verso una sconfitta a mani alzate

Il candidato a sindaco di Milano per il centrodestra Luca Bernardo (S) posa per i fotografi con il segretario della Lega Matteo Salvini prima della conferenza stampa organizzata a palazzo Stelline di Milano, 16 Luglio 2021.

Luca Bernardo sarebbe il candidato sindaco del centrodestra a Milano. “Sarebbe”. Condizionale presente. Qualche giorno fa ha perso il capo del suo comitato elettorale. L’altro giorno ha battuto cassa presso i partiti suoi (presunti) sponsor minacciando il ritiro se non arrivano soldi. Domani riuscirà ad accorgersi che dietro di lui ci sono solo fantaccini? E pure male assortiti?

Bernardo non se lo fila nessuno

Forza Italia è l’unico partito della coalizione che ha mantenuto l’impegno a inserire il candidato nel proprio simbolo. Lega e Fratelli d’Italia, il nome “Bernardo” non se lo sono neanche filati di striscio. I loro simboli elettorali a Milano sono quelli di sempre. Con i nomi dei rispettivi leader sparati a caratteri cubitali. E stop. Non si capisce neanche se sono a Milano per la Fiera o se competono sul serio.

Ora è chiaro perché i grandi capi non ci hanno voluto mettere la faccia e dopo 28 anni di eroica militanza lumbard anche il buon Matteo ha evitato di candidarsi nella città che dice di adorare. Glielo aveva forse ordinato il dottore di non abbandonare alla sinistra il motore dell’Italia?

Perdere a mani alzate

Miracolo a Milano. La città che poteva vincere a mani basse, sembra proprio che il centrodestra abbia deciso di perderla a mani alzate. Già adesso. A due settimane dal week end del voto. I sondaggi sono impietosi. Sala può trionfare già al primo turno. E la sua coalizione doppiare l’opposizione.

Se si votasse oggi la lista Bernardo mancherebbe addirittura il seggio. E le previsioni indicano che neppure se incassasse il voto di quel 13-15 per cento di indecisi, Bernardo riuscirebbe a sopravanzare il sindaco uscente. Il quale benché svogliato e per nulla entusiasta di un secondo giro, si è già rassegnato con una certa ostentazione a mantenere la poltrona in cima a Palazzo Marino.

Clima politico maionese

Così è, se vi pare. Grazie alla presunzione dell’uomo solo al comando, la capitolazione del centrodestra a Milano è offerta sul piatto, come a Erode la testa di un profeta. O per lo meno una sonora sconfitta si prospetta al centro del panorama autunnale che si voleva di rinnovata alleanza stile Cdl, poi Pdl, eccetera. E che recentemente assicurava la riunificazione sotto il segno del Capitone. Clima politico impazzito? No, solo maionese.

Giacché mentre Salvini balla coi lupi, Forza Italia continua la sua risalita da formichina risparmiosa (ha guadagnato oltre un punto nell’ultima settimana) e la Meloni non sorprende con l’atteso risultato che sfonderà la doppia cifra. Addirittura a Milano. Città che non ha mai premiato i posfascisti. Tant’è che ancora nel 2016 i Fratelli di Giorgia restarono fuori dal Consiglio comunale. E al netto del mitico, inossidabile ex missino De Corato, il gruppo Fdi formatosi nell’ultimo anno di consiliatura (2020-2021) ha la consistenza dei transfughi che seguono l’aria che tira (c’è perfino il cattolico democratico Enrico Marcora, che fu un attivista molto convinto di Beppe Sala e ha occupato lo scranno di consigliere comunale nella lista del medesimo sindaco fino alla vigilia del Covid).

Una storia cappottata

Ma com’è potuto accadere che a soli tre anni dal pieno fatto alle elezioni politiche, il Matteo garibaldino, eroe del governo giallo-verde, abbia trascinato il centrodestra in una deriva tanto grottesca, senza neppure la resistenza di una Vandea, deriva di ritirata pura, preludio di sconfitta certa, fino al rischio di un cappotto generale alle amministrative?

È come l’automobile che filava via liscia e si è vista cappottata sotto il nubifragio meneghino di fine settimana scorsa. Recuperata da un carro attrezzi attrezzato a “ragno”, ribaltata e rimessa in strada. È successo qualche nubifragio politico che non sappiamo laggiù a Roma, mentre scrivevano i giornali che la destra si stava attrezzando per andare a comandare a Palazzo Chigi tra uno squillar di trombe e un papete di cheerleader?

Milano o Milano Marittima

Miracoli del Capitano. Era il 25 giugno. Dopo 9 mesi di indugi e ammiccamenti nullafacenti, seguitava nel suo brillante social show. «La squadra penso che la presenteremo a brevissimo. Ce l’ho già in testa al 90 per cento. La squadra compreso il sindaco». Il parere degli alleati? E chi sono gli alleati? Lui, il Capitano, forse confondendo Milano per Milano Marittima e gli alleati per i suoi personal training da spiaggia, si diceva sicuro di quello che c’aveva in testa. Del candidato sindaco di Milano aveva fatto questa fotografia: «Mi piacerebbe che fosse del mondo delle professioni, dell’impresa, con legami con il sociale, con esperienza di docenza universitaria, con una bella famiglia». Infatti. Ma forse si è confuso con Milano Marittima.

E adesso corre con tutti gli alleati verso l’abisso. Perché non poteva essere Maurizio Lupi, come modestamente proposto dalle colonne di questo giornale dal sottoscritto? Sottoscritto che per altro, candidato in Forza Italia, non ha mai lesinato critiche al politico Lupi, leader di allegre piroette lettiane e renziane, ma che in definitiva a Milano poteva vincere e riscattarsi, tant’è che oggi ha comperato tutti gli spazi pubblicitari Igp-Decaux per esibire la sua bella faccia, come a fare intendere che lui è il vero candidato sindaco e invece manco si presenta in comune? «Ho scelto di non candidare politici». Il Capitone dixit.

La foglia di fico del civico

Vero. Salvini ha voluto solo “civici”. Ed è stato irremovibile nel suo draconiano “no”. Voglio un candidato come dico io e lo voglio civico. Bravo Matteo. Ma, scusa, tu cosa sei? Un politico no? Dunque l’essenza della purità “civica” secondo te – Capitano oh mio Capitano! – sarebbe questa: il politico che si sceglie il civico. Mica, chessò, elezioni primarie o una chiamata ai gazebo… Insomma, far scegliere il civico al popolo. No. Per non candidare un parlamentare e politico (che gli avrebbe potuto fare ombra da una città che si chiama “Milano” e non vattelapesca?) il politico e parlamentare Salvini si inventa la foglia di fico del “civico”.

Bernardo, appunto. Preso come un appendino su cui infilare la casacca “civica”. Ben si intende, come apparve sui tg nel giorno della sua presentazione al tempio della politica, stando bene attento il Capitano e Capitone ad avere la felpa in prima fila e l’appendino dietro le spalle. Sempre solo lui in primo piano. Lui, il Grande Timoniere. A favore di telecamera e di sudoku social.

Perché insistere?

Così, ai miei occhi da vecchio Miguel Bosè degli anni ’56 e dintorni – i migliori – non solo Matteo non mi  sembra cresciuto per niente da quando lo conobbi nei primi mesi del 2016. Quando come Mussolini cento anni prima, Salvini sedeva come me sui velluti rossi di Palazzo Marino. Mi sembra tornato parecchio indietro. Nel 2016 il ragazzo da capo curva e lingua sciolta da bar, già picchiettava come fa ancora adesso sul suo iPad e postava sui social le sue visioni della giornata. Poi, il mondo che migrava ha fatto la sua fortuna. Ma la fortuna non basta se hai il vento a favore, ma la direzione dove stai andando dietro le spalle.

Dall’amore a prima vista con quell’altro bibitaro dello stadio san Paolo, il nostro ex capo curva a san Siro sembra si sia preso una cotta per le fughe all’americana. E infatti oggi ci rendiamo conto che c’era qualcosa di peggio dell’infilata di candidati improbabili con cui Salvini ha iniziato la ritirata fino alla sconfitta. Uno si chiedeva, ma perché il capo della Lega propone candidati che sembrano usciti dai romanzi di Salgari e Dumas? Ricordate? Pur di non fare lo sforzo di capire cosa c’è in gioco a Milano, dal cilindro salviniano erano usciti personaggi straordinari in tutti i sensi. Raisa del Polo, Oscar de Montigny… Per carità, tutte brave persone. Ma perché insistere?

Come già con Parisi

Così, tra un lockdown e uno sfregio forcaiolo (in Regione la Lega si è rifiutata di usare quattro soldi messi a disposizione dal ministero della Giustizia durante la pandemia al fine di alleviare le condizioni di detenzione nelle carceri) è iniziata una telenovela-melina durata nove mesi.

Piuttosto che la candidatura di un politico a cui quasi certamente Sala avrebbe dovuto cedere il posto, il Capitano ha scelto il “niet” brezneviano. A pensarci bene, cinque anni fa il candidato sindaco a Milano Stefano Parisi venne sconfitto dalla sinistra per un pugno di voti al secondo turno. E non mancò di notare, il “civico” e imprenditore Parisi, che stranamente – e proprio al ballottaggio – la Lega salviniana era sparita dalle strade di Milano.

Il neo Pci e la vecchia Lega

C’è qualcosa di peggio di una campagna elettorale così? Sì, di peggio c’è il modo con cui la Lega per esempio governa Como. Dove associazioni civiche e terzo settore lamentano un potere dirigista non distante dallo stile del vecchio Pci (è un caso che alle politiche del 2018 la Lega di Salvini ha trionfato nei territori degli ex Pci emiliani e romagnoli? È un caso che la Lega di Salvini abbia completamente abbandonato il federalismo, la sua ragione sociale sorgiva?).

È andata così. Esattamente così. A un certo punto della telenovela, cassato definitivamente Lupi, comunicai al capo degli amici di Salvini – Stefano Bolognini, segretario cittadino Lega nonché assessore regionale allo sviluppo metropolitano – che anche al suo capo conveniva farsi due domande. E, “piuttost che nient”, candidare e vincere le amministrative milanesi con il ticket Sardone-Amicone (lei è una fenomenale prendi-voti, lui un giurassico importante).

Ci vorrebbe un Berlusconi

Bolognini sembrò entusiasta dell’idea. Ma poi il suo capo, probabilmente su altri tavoli assorto, come stiamo analizzando in questo nostro amichevole de profundis, battezzò il “civico” Bernardo. E così, per sognare un altro miracolo ribaltonista, adesso bisognerebbe ingaggiare un Silvio Berlusconi di altre epoche. Purtroppo adesso highlander ha la sua bella età. E per giunta è ancora inseguito da quelli che per i peccati di braghetta del politico più votato nella storia italiana hanno messo in scacco un intero popolo (sono dieci anni che abbiamo governi non eletti), affossato la democrazia (leggi Palamara) e impedito al paese di rialzarsi (almeno prima che arrivasse Mario Draghi, che se le procure si fossero opposte avrebbero fatto la fine di Palamara).

Dopo di che penso saranno gli stessi leghisti a chiamare il carro attrezzi, a ribaltare il Capitano, caricarlo sul “ragno” e a rimetterlo in strada.

Foto Ansa

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