Tutti i lavoratori “devono” sottoporsi all’obbligo vaccinale? Per i giudici no

Le sentenze che hanno confermato l'obbligo di vaccinazione per il Covid-19 per i medici spiegano chiaramente che il loro caso è unico

tratto dal Centro Studi Livano – Considerazioni a margine delle ordinanze del Tribunale di Modena del 19 maggio e 23 luglio 2021.

Hanno suscitato polemiche le questioni affrontate in sede cautelare dal Tribunale di Modena, con ordinanze del 19 maggio e del 23 luglio 2021, sul tema della sospensione senza retribuzione dei lavoratori non vaccinati (cf. Trib. di Modena, sez. III civ. – sub-sez. lav., ord. 19 maggio 2021 – ; e Trib. di Modena, sez. lav., ord. 23 luglio 2021). Se la fonte di informazione fossero solo i media che hanno riportato la notizia, parrebbe essersi affermato un indirizzo dei giudici di merito, secondo cui il datore di lavoro potrebbe ricorrere alla misura della sospensione dal lavoro in via generale (e forse arbitraria), avendo il potere di imporre al lavoratore la vaccinazione contro il Sars-Cov-2, pur nell’assenza di un esplicito obbligo legislativo, non imposto nonostante due recenti decreti legge abbiano finora affrontato il nodo green pass.

Tale interpretazione – esito forse di una lettura parziale dei due provvedimenti, o della speranza in una rapida conclusione dell’emergenza coronavirus – sembra non cogliere pienamente nel segno. Infatti, le due ordinanze, emesse per le stesse parti in causa (una in prima istanza e l’altra in sede di reclamo), non poggiano le loro basi sull’obbligo vaccinale in sé, bensì su alcuni aspetti essenziali riguardanti gli obblighi nascenti da un contratto a prestazioni corrispettive.

La vicenda sottesa ai due provvedimenti trae origine dal rapporto di lavoro intercorrente tra due fisioterapiste ed una Rsa: le due lavoratrici erano inserite nella categoria del personale sanitario per il quale è stato imposto l’obbligo vaccinale, con d.l. 1 aprile 2021 n. 44, convertito con modificazioni dalla legge 28 maggio 2021, n. 76. Tale fatto è stato rilevato dal giudice (già nell’ordinanza del 19 maggio) per porre una distinzione tra quanto accaduto prima dell’intervento legislativo e le situazioni a esso successive. È evidente, infatti, che la questione bisognosa di un chiarimento fosse solo quella del periodo precedente alla legge sull’obbligo vaccinale, in quanto la questione risulta sanata dalla novella per il periodo successivo.

Per quel che concerne il pregresso, invece, il giudice è intervenuto poggiando il suo ragionamento sulla base degli obblighi nascenti da contratto, desumendone il contenuto dalla combinazione del dettato normativo degli art. 20 TUSL e 2087 cod. civ. Dall’analisi delle due disposizioni, infatti, il giudice (ancora) non desume alcun reale obbligo di vaccinazione, bensì ne trae un complesso intreccio di doveri reciproci tra datore di lavoro e lavoratore, i cui risvolti sono parte integrante dell’oggetto del contratto e si riverberano sul suo sinallagma. Il Tribunale di Modena ricostruisce il contenuto della prestazione a cui erano tenute le due fisioterapiste nell’esercizio delle mansioni loro attribuite con il contratto di lavoro.

Nella sostanza, quel che il giudice cautelare afferma è che «la salvaguardia e la salute dell’utenza rientri nell’oggetto della prestazione esigibile», ritenendo ragionevole sostenere che «fin dagli esordi del rapporto, la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni di salute degli ospiti della struttura rientrassero nell’oggetto della prestazione richiesta alle ricorrenti. In altre parole si ritiene che la tutela della salute dell’utenza della Rsa costituisca un elemento penetrante nella struttura del contratto, qualificando la prestazione cui le ricorrenti sono astrette». Non un dovere generale ed astratto per ogni lavoratore, quindi, ma un obbligo derivante dalla specifica mansione (nell’ambito sanitario) assunta dalle due lavoratrici rispetto ad un’utenza fatta di soggetti fragili.

Quanto alla decisione assunta dal datore di lavoro, il giudice ha sottolineato che – oltre all’impossibilità di rimproverare quello che prima del d.l. 44/2021 era un diritto costituzionalmente garantito – la sospensione dal lavoro senza retribuzione è solo l’ultimo dei rimedi esperibili privatamente, dopo aver vagliato la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse. L’indirizzo espresso in prima istanza è stato confermato in sede di reclamo dallo stesso Tribunale con l’ordinanza n. 2467 dello scorso 23 luglio, ove il collegio ha ribadito che «in ragione della tipologia delle mansioni espletate (cura e assistenza a persone anziane e con molteplici patologie) e della specificità del contesto lavorativo e dell’utenza della Rsa, è possibile sostenere che l’assolvimento dell’obbligo vaccinale inerisca alle mansioni del personale sanitario».

Da quanto emerge dal testo dei due provvedimenti, quindi, la giurisprudenza di merito non ha affermato alcun obbligo assoluto alla vaccinazione, né ha mai affermato che esso potesse avere una portata generale. Non si comprende, pertanto, il clamore destato nell’opinione pubblica a seguito di tali pronunce, in quanto nessun giudice ha mai suggerito al mondo dell’impresa di aggirare la riserva di legge prevista all’art. 32 Cost.

Infine, non è da escludere la possibilità di avvalersi delle misure vaccinali per i lavoratori per mezzo della normativa vigente, ai sensi degli art. 18, 25, 39, 41 e 42 Tusl, ma – in attesa di interventi legislativi più idonei – il ricorso a tale disciplina non potrebbe sottrarsi ad un’analisi sull’ambito applicativo del Titolo X del d.lgs. 81/2008, né potrebbe aggirare la normativa protezione dei dati, di cui al Reg. Ue n. 2016/679 (con specifico riguardo al considerando 43). Questo aspetto non potrà essere ignorato in sede applicativa della normativa vigente, soprattutto al fine di stabilire le misure più efficaci ed i soggetti destinatari delle valutazioni di idoneità al lavoro.

Foto Ansa

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