Cop26. Basta con le promesse campate in aria, investite in ricerca sull’energia pulita

Scommettere sull’innovazione è la sola via percorribile perché la conferenza di Glasgow non sia l’ennesimo inutile vertice sul clima pieno di impegni che nessuno manterrà

La cancelliera tedesca Angela Merkel si prepara a intervenire alla Cop26, la Conferenza Onu sul clima in corso a Glasgow (foto Ansa)

Nel loro tentativo di esibire capacità di leadership sul tema del clima alla conferenza Onu di Glasgow (Cop26), i capi delle nazioni ricche del mondo stanno discutendo ancora una volta di ambiziosi obiettivi di riduzione della Co2. Il presidente americano Joe Biden, per esempio, ha ribadito il suo intento di creare «un settore energetico a zero inquinamento da Co2 entro il 2035 e un’economia a emissioni zero entro il 2050 al massimo».

Purtroppo questo obiettivo avrà un costo proibitivo. Un nuovo studio pubblicato dalla celebre rivista Nature mostra che il costo di una riduzione delle emissioni del 95 per cento entro il 2050 – quasi le emissioni zero di Biden – costerebbe l’11,9 per cento del Pil, ovvero più di 11.000 dollari attuali ogni anno per ciascun americano.

Sono passati ventiquattro anni dall’adozione del Protocollo di Kyoto, il primo grande accordo globale a promettere un taglio delle emissioni di Co2. Da allora, il mondo ha ospitato centinaia di vertici sul clima e le nazioni ricche hanno parlato in continuazione di impegni green; le emissioni però hanno continuato ad aumentare perché nessun leader intende appioppare ai propri cittadini tale prezzo esorbitante.

In una analisi molto sincera dell’ultimo decennio di politiche per il clima, l’Onu ha definito gli anni Dieci del Duemila un “decennio perso”. Non si vede la differenza tra quello che è accaduto e un mondo ipotetico in cui non fosse stata adottata alcuna misura per il clima dal 2005. Pensateci: dopo tutte queste conferenze e promesse sul clima, se si guarda al reale livello di emissioni non si vede la differenza tra il mondo in cui siamo e un mondo in cui non si fosse mosso un dito per il clima dal 2005.

Questo permette di guardare la sfida della Cop26 in prospettiva. I leader mondiali possono decidere di fare quel che hanno fatto per decenni e contribuire all’ennesimo incontro sul clima in un mondo inondato di vertici e buone intenzioni sul clima. Uno dopo l’altro i paesi sfileranno e faranno promesse altisonanti come la transizione del settore dell’energia elettrica (responsabile di appena il 19 per cento di tutto il consumo di energia nel mondo) verso le rinnovabili. E con ogni probabilità queste promesse alla fine si riveleranno essere vacue esattamente come quelle degli ultimi decenni, perché gli elettori si rifiuteranno di pagare il conto.

Oppure alla fine i leader potrebbero prendere un’altra strada.

La vera sfida nell’attuale approccio alle politiche per il clima è che finché tagliare le emissioni costerà caro, i leader parleranno tanto ma faranno poco. Questo, nel mondo ricco, è per evitare di ripetere l’imbarazzante percorso del presidente francese Emmanuel Macron, che ha dovuto fare marcia indietro davanti al movimento dei gilet gialli dopo aver proposto un modesto aumento dei prezzi del gasolio. Nel mondo più povero, invece, le nazioni hanno priorità ben più importanti, come portare avanti la crescita economica e fare uscire le proprie popolazioni dalla miseria.

Quello di cui c’è bisogno è un’attenzione molto più forte intorno alla ricerca sull’energia pulita. Se il mondo fosse in grado di innovare l’energia pulita in modo da renderla più economica dei combustibili fossili, avremmo risolto il riscaldamento globale. Tutti porterebbero a termine la transizione, non solo i paesi ricchi e benpensanti, ma tutti, comprese Cina e India. Con la collaborazione di 27 tra i più importanti economisti del clima e tre premi Nobel, il mio think tank, il Copenhagen Consensus, ha dimostrato che la misura più efficace e duratura per il clima è investire molte più risorse in ricerca e sviluppo in ambito green.

Durante il vertice di Parigi del 2015, la maggior parte dei paesi del G20 e l’Unione Europea promisero di raddoppiare entro il 2020 la spesa per la ricerca nell’innovazione dell’energia pulita. Peccato che abbiano tradito anche questo impegno.

Invece di fare promesse enormi ed esose che i prossimi governi dovranno rimangiarsi quando i cittadini protesteranno per i rincari in bolletta, i leader dovrebbero impegnarsi immediatamente a spendere molto di più sulla ricerca green. Non solo la maggior parte delle nazioni hanno già fatto questa promessa, ma il suo rispetto può essere verificato nel giro di 12 mesi. E il costo totale per ogni paese sarebbe molto inferiore rispetto alle attuali politiche per il clima. Per il 2030, i nostri economisti premi Nobel invitano il mondo ad aumentare la spesa di altri 70 miliardi di dollari l’anno. Questo a fronte dei 195 miliardi che stiamo sborsando attualmente per sussidi all’energia pulita senza alcuna efficacia.

Alla Cop26 i leader mondiali faranno bene a non ripetere gli errori dell’ultimo decennio, valorizzando invece una strada da percorrere più economica, intelligente e migliore, che contribuirà effettivamente a risolvere il cambiamento climatico: investire decisamente di più in ricerca e sviluppo green per assicurarci l’innovazione tecnologica che potrà aiutare il mondo intero ad abbandonare i combustibili fossili.

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