Che cosa può fare il governo che verrà per la cultura

Consigli non richiesti a Giorgia Meloni per non ripetere gli errori del passato e non restare impantanata nello scontro tra potere esecutivo di destra e potere culturale di sinistra

La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni (foto Ansa)

Nuovo governo e vecchi consigli. Scriveva qualche commentatore intelligente che il problema del nuovo governo non è il ritorno a un autoritarismo impossibile ma l’incapacità di agire. Com’è noto, ciò è stato anche il grande difetto dei governi Berlusconi, la cui rivoluzione liberale non è mai neanche iniziata. Questo governo nasce con meno ambizioni, probabilmente all’interno di quel “pilota automatico” internazionale a cui ha fatto riferimento Draghi e in un momento così complicato della storia che è difficile immaginare grandi cambiamenti.

Due buoni motivi per occuparsi di cultura

Tuttavia, qualcosa di nuovo potrebbe anche accadere. Per esempio, il governo che nascerà potrebbe fare qualcosa di sorprendente muovendosi per la cultura. “Cultura” è un termine raramente abbinato alla destra. Ma anche senza andare a destra, ci sono molti che al termine cultura non sentono il bisogno di «metter mano alla pistola» come diceva Goebbels (molto citato in questi giorni dalla stampa) ma alla bocca, per sbadigliare.

Eppure ci sono almeno due buoni motivi per cui il nuovo governo dovrebbe occuparsi di cultura.

Evitare lo stallo vissuto durante i governi Berlusconi

Il primo motivo è che una delle ragioni per cui è stato così votato. Certo, non per la cultura nel senso stretto dei libri e dei teatri, ma perché il governo non politico, cioè senza una cultura di base, alla fine agli italiani non piace. Preferiscono sbagliare con un’idea – il riformismo renziano, l’onestà cinquestelle, la sicurezza salviniana – che fare giusto con i governi tecnici. Prima o poi bisognerà farsene una ragione. Il risultato elettorale è abbastanza chiaro: chi ha riproposto la soluzione tecnica, o ha avuto troppo a che fare con essa nella sua ultima versione, ha pagato un prezzo elettorale alto. Occorrerà quindi non sminuire il mondo delle idee, favorevoli o avverse al governo, perché di quel mondo gli italiani non possono e non vogliono fare a meno.

La seconda ragione, invece, riguarda la storia italiana. L’idea dell’egemonia sulla cultura è una brillante intuizione di Gramsci, ora molto seguita anche nel resto dell’Occidente. Non a caso, Gramsci adesso va di moda anche negli US, dove l’agenda liberal impazza nel mondo accademico e culturale. La maggioranza di questo mondo tende a sinistra – nelle molte sue versioni, spesso conflittuali – e, anche se ha pochi finanziamenti, rimane molto influente, in particolare sull’informazione. Così, se questo governo non farà nulla per la cultura, ci si ritroverà nell’eterna situazione che si è vissuta nell’era Berlusconi: il potere esecutivo contro quello culturale e viceversa, con stallo del Paese.

Tre idee per cominciare un dialogo diverso sulla cultura

Si può fare qualcosa di diverso? Sì. Ecco alcune idee concrete, oltre a quella elementare ma non scontata di non sacrificare la spesa per ricerca e istruzione per nessun motivo. La forza di un Paese sta nella capacità di andare avanti: natalità, istruzione, ricerca e innovazione sono primari, qualunque cosa accada.

Ecco tre idee per cominciare un dialogo diverso. Innanzi tutto i giovani. Una buona legge alla francese: musei, teatri, manifestazioni culturali che godono di contributi statali devono essere gratuiti per tutti sotto i 26 anni e tutte le manifestazioni culturali, anche private, devono avere un prezzo per ragazzi ridotto almeno del 50%. Abbiamo un patrimonio culturale troppo grande per permetterci di non trasmetterlo alle generazioni future.

Uscire dalle contrapposizioni ideologiche sterili

A proposito di patrimonio culturale, occorrerebbe costituire un Fondo nazionale per le discipline umanistiche, una fondazione di Stato, a cui si possa donare con sgravi speciali, e che premi linee di progetti e finanzi le iniziative umanistiche ormai quasi totalmente escluse dai temi di finanziamento europeo. Con pochi soldi, perché sono discipline che costano comparativamente poco, l’Italia può tornare a rivestire un ruolo di primo piano in questo senso ed equilibrare le scelte europee.

Infine, una legge per l’università, per renderla davvero più competitiva e meritocratica senza l’ennesima riforma: una legge che impedisca di insegnare dove si è fatto il dottorato. Non costa nulla e sarebbe la fine di molti arbitri locali e l’inizio di una circolazione della ricerca più efficace.

Sono alcune idee e ce ne sono molte altre, ma è l’intento iniziale che è fondamentale: non abbandonare la cultura e la ricerca, con una particolare attenzione all’area umanistica. È l’area più lontana dal governo ma, proprio per questo, è quella in cui un interessamento serio permetterebbe di uscire finalmente dalle contrapposizioni ideologiche sterili e avviarci verso un’epoca nuova.

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