Com’è schizofrenica la curva pandemica dei giornali

Dall'orrore per il Covid al terrore su AstraZeneca, dal tifo per il lockdown all'allarme recessione, fino all'euforia per Draghi, le giravolte della stampa italiana su virus e vaccini

Avete già deciso se morire di Covid o di AstraZeneca? Da tre giorni il tweet fissato dell’account Twitter di Repubblica recita: «A chi critica il titolo di oggi: la nostra opinione è nell’editoriale in prima pagina di Luca Fraioli, totale fiducia nei vaccini. Ma le opinioni partono dalla cronaca, e cioè cancellerie europee in allarme e 9 paesi che sospendono AstraZeneca. Un anno fa fummo accusati di “infodemia” quando raccontammo i primi morti a Codogno o quando anticipammo il primo dpcm che chiudeva il nord Italia. Allora come ora facciamo il nostro mestiere».

È un po’ poco per giustificare la schizofrenia delle opinioni del giornale di Scalfari e dei giornali in generale da un anno a questa parte. Se è vero che il 26 gennaio 2020 Repubblica titolava, col carattere cubitale che le è consono, in prima pagina “La grande paura cinese. ‘Il virus si espande’”, è anche vero che ai titoli drammatici sulla paralisi del nord sono seguiti quelli enfatici per incitare a riaprire Milano; e che ai titoli, criticatissimi, del 12 marzo su “AstraZeneca, paura in Europa”, sono seguiti quelli lapidari del 13 marzo “Il vaccino AstraZeneca è sicuro”. E ora che l’Aifa l’ha sospeso in tutta Italia?

Rep, dal virus letale al virus fantasia

Di orrore per il virus in terrore per il vaccino, Repubblica non è l’unica a dover rendere conto ai lettori di una sua curva pandemica. Certo, non manca in qualunque edizione di qualunque quotidiano il contorno del virgolettato catastrofista del virologo, la guida a “cosa si può fare e cosa no”, la foto dell’assembramento degli untori di turno, la variazione del numero dei contagi, il grido flebile dell’imprenditore in miseria. Accozzati a capocchia.

Tanto che se l’11 marzo Repubblica dedicava un servizio a tutta pagina a “I dimenticati della pandemia”, il ristoratore costretto a chiudere, la famiglia di lavoratori senza aiuti e con figli a casa, un drammatico appello a riaprire le scuole, il 14 marzo la paginata era dedicata invece a “Il cuoco, l’ostetrica, il burattinaio e l’Italia che torna in lockdown ‘Non va tutto bene ma resistiamo’” che si chiudeva così: «Se virus vuol dire fantasia, non poca ne hanno avuta gli studenti del liceo fiorentino Marco Polo, che nel corso della loro ultima assemblea online hanno invitato Sara Brown, “sex performer” e attivista. Tema dell’incontro: “La pornografia: l’intimità non è un tabù. Parliamone”. Chi l’ha detto che la didattica a distanza non funziona?».

Occhio al vaccino, evviva il vaccino

Come si è passati da miseria e disperazione a resilienza e comicità? Facile, dopo i canonici due giorni di allarmi, panico, con picchi quasi di negazionismo no vax, Draghi parlava e Rep. annunciava in prima pagina “L’immunità a settembre”, con tutti i catenacci d’ordinanza; “Il piano Draghi-Figliuolo: 500 mila vaccinati al giorno da metà aprile, task force nelle zone di maggiore contagio”, “Reclutati 120 mila tra medici e dentisti, la somministrazione delle dosi anche nelle parrocchie e in farmacia”, “Speranza: settimane dure, ma svolta vicina e AstraZeneca è sicuro”. Il 15 marzo, cioè ieri, ampio attacco al governatore Cirio che aveva sospeso AstraZeneca, “L’ira del ministero: ‘Sui vaccini decide l’Aifa, nessun potere alle Regioni’”. Peccato che a metà giornata l’Aifa e il ministero prendessero la stessa decisione della regione incriminata.

Le varianti del Corriere

Per nulla allarmista su AstraZeneca il Corriere dà sempre invece il meglio sui numeri. Dopo un anno di convivenza di editoriali di Luciano Fontana per la ripresa graduale e di articolesse di Paolo Giordano per la chiusura immediata, la narrazione sulle varianti killer e terapie intensive al collasso (in 48 ore “Boom di contagi, il 70 per cento da variante inglese. ‘Le altre ondate erano niente in confronto a questa’”, “In un giorno 255 nuovi ricoveri. Soglia critica superata in 11 regioni”, “Dall’Abruzzo al Piemonte intensive al limite”, “La variante inglese ha moltiplicato i casi in Lombardia”) che ha avuto il suo picco nel “Contagi su da sei settimane” il 13 marzo, decelerava il giorno successivo: “Terza ondata del virus. Così la crescita rallenta”, “Secondo le proiezioni il picco sarà tra sette giorni poi l’epidemia comincerà a ‘sgonfiarsi da sola’”.

Un’ondata di ottimismo anch’essa figlia di quel “Vaccini, 500 mila al giorno” in prima pagina, “Entro settembre l’80 per cento sarà immunizzato” che si estende anche il giorno successivo perfino in tema di varianti con l’intervistona al professore Franco Locatelli, titolata «Lotta alle varianti, con le nuove regole diffusione dei contagi giù dopo le festività».

Ritorno alle icone

E oggi, oggi per dirla con lo stesso titolo che la Stampa ha usato per tre giorni (corredandolo con i “no panico” di Draghi e gli “è sicuro” degli esperti), “AstraZeneca è un caso”. E la curva pandemica dei giornali flette di nuovo: Repubblica affida alla foto in prima pagina della ristoratrice 22enne Camilla Moccia, rannicchiata tra le pentole nel suo bistrot a Ostia, il senso della sconfitta, “La primavera della disperazione”, di più, nel paginone dedicato alla titolare del bistrot, “simbolo dell’atmosfera che stiamo vivendo”, il titolo diventa “La ristoratrice e il coraggio di mostrare la disperazione”: «Sono i giorni della disperazione, gente, si abbia il coraggio di dirlo – scrive Stefano Massini – se non altro per risparmiarci faticose ipocrisie, magari travestite da quello che Vasily Grossman archiviava come l’oppio assurdo dell’ottimismo fine a se stesso». Eh.

Stampa come un anno fa

Da Grossman a Seneca anche il Corriere si rassegna al caffè di Gramellini in prima («Quando, spero il prima possibile, mi toccherà porgere il braccio magari proprio ad AstraZeneca, cercherò di ricordarmi le parole del filosofo e quasi omonimo Anneo Seneca: “Sono meno da temere proprio quelle cose che ci fanno più paura»). Quanto alla Stampa, punta sulla foto di Piazza di Spagna deserta con Trinità dei Monti sorvolata da un uccellaccio e sul reportage “Un anno dopo, tra silenzi, vuoti e solitudine ecco il nuovo lockdown che spaventa l’Italia”, «Di nuovo come un anno fa – scrive Gabriele Romagnoli -. Niente come un anno fa».

“L’Emilia resta regione rossa”: il 26 gennaio 2020 il Resto del Carlino titolava così in prima pagina sulla vittoria alle urne del Pd di Bonaccini. Ma allora “zona rossa” non era sinonimo di lockdown, disperazione, vaccinazione e nemmeno di quella zona tra fatto e lettore, la nuova prateria della narrativa giornalistica e delle sue curve pandemiche.

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