La Colombia socialista di Petro piace alla Cina e preoccupa gli Stati Uniti

Il vento di vittoria che soffia da sinistra in America Latina investe anche Bogotà. Nella regione viene meno un contrappeso fondamentale ai disastri della rivoluzione bolivariana

La statua di Simon Bolivar a Bogotà indossa una maglietta della coalizione Pacto Histórico e la bandiera colombiana (Ansa)

[afto]

La Colombia ha deciso che Gustavo Francisco Petro Urrego sarà il suo prossimo presidente fino al 2026. Il 62enne alias “Aureliano”, ma noto tra i suoi detrattori anche con il nomignolo “el Cacas”, perché quando era guerrigliero del M-19, il Movimiento 19 de Abril, sarebbe stato solito defecare nelle fosse in cui poi venivano imprigionati i rapiti, ha vinto con il 50,4 per cento dei voti. Sconfitto l’ingegnere Rodolfo Hernández, fermo al 47,3 per cento dei voti.

Il settimo ex guerrigliero presidente in America Latina

Il leader della coalizione di sinistra Pacto Histórico, che comprende una trentina di partiti, tra cui anche le FARC (acronimo che oggi sta per Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune e non più per Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) ha promesso un cambiamento del modello produttivo colombiano e del regime fiscale, maggiori investimenti sociali, lo smantellamento dell’ESMAD, le Squadre antisommossa mobili della polizia, il rispetto dell’Accordo di pace con le FARC da estendere anche alla guerriglia marxista dell’ELN e la normalizzazione delle relazioni con il Venezuela. Inoltre, come Chávez quando vinse la sua prima elezione, ha giurato che non farà espropri.

Di certo c’è che con la vittoria di Petro all’asse sinistrorso che già comprende il Messico e prosegue a sud con Cuba, Nicaragua, Honduras, Venezuela, Perù, Bolivia, Argentina e Cile, da ieri si è aggiunta la Colombia, sinora contrappeso ai disastri della rivoluzione bolivariana, anche accogliendo circa due milioni di rifugiati in fuga dalla fame del regime di Maduro. Con la vittoria di ieri, Petro diventa il settimo ex guerrigliero di sinistra presidente in America Latina, dopo Dilma Rousseff in Brasile, Fidel Castro e suo fratello minore Raúl a Cuba, José Mujica in Uruguay, Salvador Sánchez in El Salvador e Daniel Ortega in Nicaragua.

Proposte che non piacciono agli Stati Uniti

Le proposte di alias “Aureliano” non sono vantaggiose per gli Stati Uniti sia sulle questioni commerciali che sulla lotta alla droga. Il neopresidente vuole infatti rinegoziare il Trattato di Libero Scambio con Washington firmato a suo tempo da Álvaro Uribe e farla finita con la guerra contro la droga, sinora condotta da Bogotá in perfetta armonia gli Usa, da sempre il principale sostenitore della Colombia nella lotta ai narcos.
Come ovvio, ieri a Caracas il chavismo ha festeggiato con feste e fuochi artificiali la vittoria di Petro, storico amico ed alleato di Hugo Chávez, al pari del Gruppo di Puebla, il consenso che riunisce i leader della sinistra latinoamericana.

È sicuramente un vento di vittoria senza precedenti quello che da sinistra sta soffiando in tutta l’America Latina e, se da domenica sera il fenomeno politico si è esteso alla Colombia a ottobre potrebbe essere la volta del Brasile, il gigante economico e geopolitico dove Lula stando ai sondaggi potrebbe sconfiggere il presidente uscente, Jair Bolsonaro. La sinistra latinoamericana ha vinto proponendo ovunque una rivoluzione sociale che prevede l’aumento dei servizi pubblici, la sicurezza sociale universale e una drastica ridistribuzione della ricchezza. Il contesto rimane complesso e persino ostile per Petro e compagnia, che sono sotto il fuoco incrociato di una realtà economica critica, di bilanci anemici, debiti abissali, di un’inflazione galoppante e di un’opposizione molto aggressiva, con elettori che possono trasformarsi rapidamente in avversari se non manterranno le promesse.

La Cina guarda (e ne approfitta)

In America Latina oggi la povertà è al livello più alto degli ultimi 20 anni, la fame è a livelli record e la sfiducia del pueblo nelle istituzioni pubbliche è senza precedenti. Gran parte dell’elettorato, in Colombia come altrove nel continente, ha votato a sinistra anche perché era l’opposizione del momento. È successo in Messico con Andrés Manuel López Obrador (AMLO) nel 2018, l’anno dopo in Guatemala e Panama e poi in Argentina, Bolivia, Perù, Honduras e, lo scorso novembre, in Cile. Solo Uruguay, Ecuador ed El Salvador, per ora, resistono ai venti sinistrorsi di cambiamento.

Una tale proporzione di maggioranze di sinistra, per lo più populiste e antistatunitensi, è inedita e, in questo contesto, la Cina potrebbe essere il grande vincitore di una tale “rivoluzione sociale”, indebolendo ulteriormente il ruolo geopolitico degli Stati Uniti nella regione. Del resto, mobilitati dalle enormi difficoltà economiche, Petro e tutti gli altri leader della sinistra sono molto aperti alla strategia cinese che offre prestiti e fa investimenti milionari nelle infrastrutture. Si tratta di una sfida geopolitica per gli Stati Uniti che, con Petro al potere in Colombia, avranno anche sempre più difficoltà a fare pressioni sui dittatori di Cuba, Nicaragua e Venezuela.

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