I colloqui Cina-Vaticano e l’intervista di papa Francesco. «Non bisogna sacrificare i diritti della Chiesa»

Papa Francesco spera di fare un passo avanti nei rapporti con il governo comunista. Ma alcuni sacerdoti avvertono: «Il partito è furbo, il Vaticano non ignori i cattolici che soffrono per la loro fede»

La recente intervista rilasciata da papa Francesco ad Asia Times sulla Cina in occasione del Capodanno lunare (entriamo nell’anno della Scimmia), nella quale il Pontefice porge un ramo d’ulivo al governo comunista definendo il paese «una grande nazione» e «una grande cultura con una saggezza inesauribile», va letta all’interno del più ampio e rinnovato dialogo tra Cina e Vaticano.

SEGNALI POSITIVI. Fino ad oggi, la delegazione vaticana e quella governativa si sono incontrate tre volte: la prima nel 2014 a Roma, la seconda nell’ottobre del 2015 a Pechino e la terza di nuovo a Roma il 25 e 26 gennaio 2016. In tutte e tre le occasioni, non sono state rilasciate dichiarazioni ufficiali ma l’atmosfera sembra positiva. Queste sensazioni sono confermate da almeno due fatti avvenuti nell’estate dell’anno scorso: a luglio il partito comunista ha permesso al vescovo Wu Qinjing, ordinato nel 2005 senza l’approvazione di Pechino, arrestato e più volte perseguitato dalle autorità comuniste, di assolvere pubblicamente e ufficialmente alla sua funzione episcopale a Zhouzhi. Ad agosto, invece, per la prima volta in tre anni è stato ordinato un vescovo con la concorrente approvazione di governo e Vaticano: si tratta del vescovo di Anyang, monsignor Zhang Yinlin. Secondo il Corriere della Sera, potrebbe presto esserci la nomina di altri tre vescovi, anche se su questo punto non ci sono conferme.

PUNTI CRITICI. Nonostante queste aperture, i segnali negativi non mancano: nella provincia orientale di Zhejiang, dal 2014 il governo comunista ha demolito decine di chiese e abbattuto almeno 1.700 croci; la libertà religiosa nel paese ha toccato il punto più basso degli ultimi decenni e il presidente Xi Jinping continua a insistere sulla necessità di «sinizzare le religioni»; il vescovo James Su Zhimin è ancora in carcere e nessuno sa se Cosmas Shi Enxiang è tuttora in prigione o è deceduto; il vescovo di Shanghai, Ma Daqin, è agli arresti domiciliari e non può esercitare il suo ministero episcopale; a dicembre un giovane sacerdote della Chiesa sotterranea, padre Pedro Yu Heping della diocesi di Ningxia, è stato ritrovato morto in circostanze misteriose. Per la polizia si tratta di «suicidio», ma non ci crede nessuno.

ORDINAZIONE DEI VESCOVI. Il nodo dei colloqui tra Cina e Vaticano, che hanno deciso di lasciare da parte molti problemi, come ad esempio quello dei prelati incarcerati, è l’ordinazione dei vescovi. La Conferenza episcopale cinese non riconosce l’autorità del Papa e il Vaticano di conseguenza non la considera valida. In Cina, inoltre, esiste un ente legato al partito che offre un surrogato della Chiesa cattolica, l’Associazione patriottica. Questa organizza messe, catechismo, seminari, ordinazioni di vescovi illegali (che spesso vengono scomunicati), come fosse la Santa Sede, e nonostante nel 2007 Benedetto XVI abbia abolito in una lettera la distinzione tra comunità cattolica ufficiale e sotterranea, chiedendo un riavvicinamento e definendo l’Associazione patriottica incompatibile con la Chiesa, il processo non si è ancora concluso. Attraverso questi organi, il partito comunista pretende di avere il diritto di ordinare i vescovi, senza «indebite ingerenze straniere». Come ad esempio quella del Papa. Attualmente, infatti, ci sono in Cina otto vescovi illeciti, di cui tre scomunicati.

L’APPROCCIO DEL PAPA. Papa Francesco ha accettato di rilasciare l’intervista a patto che non si parlasse della politica del governo, né della repressione diffusa a tutti i livelli, né dello stato pessimo della libertà religiosa nel paese, né della situazione sempre più difficile dei cristiani né dei colloqui tra Santa Sede e Cina. L’obiettivo era inviare un unico grande messaggio di apprezzamento e apertura. Molti cinesi hanno apprezzato questo approccio, sentendosi accolti e valorizzati. E non c’è dubbio che il Papa, come dichiarato da un sacerdote cinese intervistato da AsiaNews, più che scontrarsi apertamente con il regime, «cerca un dialogo dal punto di vista religioso. Se ha compiuto questo passo è perché vuole incontrare i leader cinesi». La speranza di tutti è che possa riuscirci e solo i prossimi mesi potranno dire quale sarà l’esito dell’azione papale.

«NON PENSO FUNZIONERÀ». L’intervista ha destato anche molte critiche. Un sacerdote di Xian citato sotto anonimato sempre da AsiaNews precisa: «Sebbene il papa abbia buone intenzioni nell’offrire un ramo di ulivo alla Cina, non penso che funzionerà. (…) Ha elogiato la saggezza della cultura cinese e la sua storia, ma nei fatti la società presente non ha alcuna morale. La generazione di oggi ha perso le radici culturali proprio grazie alla pesante politica di questi anni. Per questo, quelle parole così tenere non aiuteranno la situazione di oggi».

PCC CONTRO LA CULTURA CINESE. Lo stesso concetto è stato ripreso dal docente alla Chinese University di Hong Kong, John Mok Chit Wai, sempre citato dal sito di padre Bernardo Cervellera: «Il Pcc porta avanti la politica più antagonista di sempre nei confronti della cultura cinese, sia della sua storia che a livello mondiale. Durante la “Rivoluzione culturale” il Pcc, guidato da Mao Zedong, ha cercato di sradicare ogni cosa potesse essere definita “reazionaria”: fra queste i templi, il confucianesimo, le religioni tradizionali, il movimento intellettuale. (…) Il famoso storico Yu Ying-shih, vincitore del premio John W. Kluge, una volta ha esclamato: “In quella terra [la Repubblica popolare cinese] non esiste Cina [la cultura cinese]”».

XI JINPING. Secondo molti osservatori, «Pechino cerca solo un dialogo politico e vuole che la Santa Sede avalli il suo potere assoluto». Xi Jinping «è il più potente leader del partito comunista dai tempi di Mao Zedong: tutti i poteri sono stati centralizzati e tutte le libertà sono state ristrette». In tanti si chiedono: «Se in generale non esiste la libertà religiosa, come è possibile che la Chiesa ottenga il diritto esclusivo di agire in maniera autonoma?».
Tentare è doveroso ma il timore di tanti cattolici in Cina è che questo tentativo venga a patto di «compromessi al ribasso che la Santa Sede potrebbe accettare per imbonire Pechino». Come suggerisce il sacerdote di Jilin, «ci sono così tanti cattolici che hanno sofferto a causa della fede in tutti questi decenni. Il Vaticano non dovrebbe ignorare queste situazioni. Non c’è fretta nello stabilire i rapporti diplomatici perché la troppa fretta può spingere a troppi compromessi». Molti temono, ad esempio, che il Vaticano rinunci in qualche modo alle sue prerogative nell’ordinazione dei vescovi o ad ottenere la liberazione dei vescovi incarcerati. Anche se nell’intervista il Papa ha ricordato che dialogare non significa fare compromessi.

L’ESEMPIO STORICO. Il docente dell’Università di Hong Kong ricorda anche come la “Ostpolitik” usata negli anni Sessanta dal cardinale Agostino Casaroli nei confronti degli Stati comunisti del Blocco orientale sia stata «disastrosa». In Ungheria «cercando il dialogo (…) la Conferenza episcopale è finita di fatto sotto il controllo dei comunisti. (…) Abbandonando i principi morali e accettando il compromesso con le autorità politiche, la Chiesa non può più essere Chiesa. Bisognerà aspettare papa Giovanni Paolo II, che cambiò l’approccio nei confronti del sostegno ai diritti umani, per vedere la Chiesa ottenere di nuovo la sua autorità morale». Pochi giorni prima di essere ucciso, padre Yu Heping aveva invitato la Santa Sede proprio a non correre troppo pur di ottenere risultati con la Cina.

IL GIORNALE DEL REGIME. Commentando l’intervista del Papa, il Global Times, giornale semi-ufficiale del regime e vicino al Quotidiano del popolo, ha scritto: «La Cina dà grande importanza alla presente indipendenza delle istituzioni religiose da quelli fuori della Cina. Non ci si può aspettare che Pechino trovi un compromesso su questo punto. (…) Questi ultimi commenti di Papa Francesco sulla Cina sono una dinamica positiva. Ma obiettivamente parlando, per far andare avanti i rapporti bilaterali, avrebbe più senso che il Vaticano accetti i principi di indipendenza dei cattolici cinesi».
Questo è esattamente quello che i cattolici cinesi non vogliono. Conclude il prete di Jilin: «I comunisti cinesi sono molto astuti e sanno come condurre il gioco. Essi non vogliono perdere il controllo sulla Chiesa in Cina. È importante dialogare molto per giungere a stabilire i rapporti diplomatici, ma per arrivare a questo il Vaticano non dovrebbe sacrificare i diritti della Chiesa. Meglio prendere tutto il tempo necessario per lavorare sulle questioni, senza accontentarsi di un risultato che è buono solo in apparenza. Del resto, sebbene la Chiesa soffra di controlli e difficoltà, essa è in continua crescita».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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