Xi Jinping obbliga anche l’intelligenza artificiale a diventare comunista

Il regime ha imposto paletti ideologici agli sviluppatori: «L'Ai non deve generare contenuti contrari ai valori centrali del socialismo»

L’intelligenza artificiale potrà sbarcare anche in Cina, a patto che sia comunista e segua le direttive del Partito come chiunque altro. È questo il succo delle regole diramate l’11 aprile dall’authority che gestisce internet nel paese.

«L’Ai deve seguire i valori socialisti»

Dopo il lancio globale di ChatGpt, Pechino ha avvertito tutte le imprese del settore di non rendere disponibile in patria il programma che permette agli utenti di conversare con l’intelligenza artificiale, per timore che potesse dare risposte non ortodosse su temi sensibili. Ha piuttosto invitato i giganti del web a sviluppare un’intelligenza artificiale con caratteristiche cinesi.

Per timore, però, che qualcosa andasse storto, l’authority ha specificato che al pari degli 1,4 miliardi di abitanti della Cina, neanche l’intelligenza artificiale può “pensare” in modo troppo indipendente: «I contenuti generati dall’intelligenza artificiale dovrebbero riflettere i valori centrali del socialismo», si legge nelle regole diramate dall’Amministrazione del cyberspazio. «Le chat non devono generare contenuti che incitino alla sovversione del potere statale, al ribaltamento del sistema socialista, al separatismo o che minino l’unità nazionale o promuovano il terrorismo e l’estremismo».

Anche i contenuti che potrebbero «danneggiare l’ordine economico e sociale» devono essere banditi.

La Cina censura l’intelligenza artificiale

Anche l’intelligenza artificiale, insomma, deve essere soggetta a censura in Cina. Il Partito comunista vuole evitare altri casi “Baby Q”, il chatbot sviluppato da Tencent nel 2017. Durante una conversazione, infatti, l’intelligenza artificiale definì il governo cinese «un regime corrotto», ammise di non amare il Partito comunista e disse di volersi trasferire negli Stati Uniti.

I programmatori di Baby Q furono subito convocati alla stazione di polizia, dove furono interrogati e accusati di aver creato un’intelligenza artificiale «sovversiva». La quale fu immediatamente soppressa.

Per prevenire simili problemi, la censura comunista ha fatto sapere che i fornitori di servizi attraverso intelligenza artificiale saranno ritenuti responsabili di quello che faranno e diranno i robot.

«L’approccio del regime uccide l’innovazione»

Anche per questo a metà marzo il lancio di Ernie, la versione cinese di ChatGpt sviluppata da Baidu, ha fortemente deluso le aspettative. In conferenza stampa, infatti, gli ingegneri informatici hanno limitato a poche decine di domande innocue i quesiti ai quali il chatbot è stato autorizzato a rispondere.

«Un regime dittatoriale cercherà sempre di controllare tutto, ma questo approccio è ridicolo», ha dichiarato a Radio Free Asia Zhang Xiaogang, scienziato informatico residente in Australia. «Limitando in questo modo l’intelligenza artificiale si uccide l’innovazione e l’Ai cinese non potrà che restare arretrata rispetto a quella sviluppata nel resto del mondo. La Cina si ritroverà così costretta a rubare la tecnologia degli altri».

Anche i chatbot saranno comunisti in Cina

La Cina si aprirà all’intelligenza artificiale, dunque, ma questa dovrà adattarsi alle regole imposte dall’imperatore Xi Jinping e avrà solo due possibilità: prestare servizio ideologico al Partito comunista o limitarsi a parlare del tempo che fa.

La censura potrebbe rovinare l’intero settore tecnologico dell’Ai, ma al regime questo non interessa: la stabilità in Cina viene prima di tutto. Se vuole sopravvivere nel Dragone, anche l’intelligenza artificiale dovrà diventare comunista.

@LeoneGrotti

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