Che cos'è la "qualità della vita" per madre Teresa di Calcutta

Per la santa albanese «la qualità della vita proviene dall’amore» e non è il "best interest" nel nome del quale sono stati messi a morte Charlie Gard e Alfie Evans

Sabato in India si sono festeggiati i 108 anni dalla nascita di santa Teresa di Calcutta, che in India continuano a chiamare semplicemente “madre”. Durante la messa, presieduta dall’arcivescovo di Calcutta, monsignor Thomas D’Souza, si è ricordato come la santa abbia «disegnato la sua vita su Gesù», come abbia «vissuto per i più poveri tra i poveri» e come abbia «servito in maniera altruista per dare la vita ai più poveri tra i poveri». Soprattutto, dopo la celebrazione, la nuova superiora generale delle Missionarie della carità, suor Mary Prema, ha toccato due concetti attualissimi, spiegando che cosa fossero per la santa albanese la “dignità della vita” e la “qualità della vita”.
CHARLIE E ALFIE. Nel nome di questi due totem moderni, infatti, sono stati recentemente uccisi due bambini nel Regno Unito: Charlie Gard e Alfie Evans. In entrambi casi i giudici hanno stabilito che fosse necessario porre fine a quelle vite perché «inutili», in quanto improduttive, e non degne di essere vissute, perché gravemente debilitate da malattie che ne avevano eroso in modo irreversibile l’autonomia e l’autodeterminazione.
QUALITÀ DELLA VITA. Se Charlie e Alfie, invece che nelle mani dei giudici e dei medici inglesi, avessero avuto la fortuna di essere accolti e curati da madre Teresa, le cose sarebbero andate diversamente. Perché «mentre per molte persone la qualità della vita si misura nel possesso dei beni materiali», ha detto suor Prema come riportato da AsiaNews, «per la Madre, la qualità della vita proviene dall’amore». È «l’amore che dà dignità alla persona umana. A sua volta, questa dignità dà qualità alla vita».
L’amore non è il “best interest” sbandierato dai tribunali inglesi, non nasce dai codici della legge e speso sfugge anche alle categorie della ragionevolezza umana. Come ha sottolineato monsignor D’Souza, «la Madre ha speso l’intera esistenza a proteggere e promuovere la vita. Per lei, la pienezza di vita era in Gesù, che ci nutre tutti i giorni con l’eucaristia. Questa vita ci arricchisce, ci dona la vita e questa deve essere condivisa con gli altri».
«NOI SERVIAMO GESÙ». Quando il 4 settembre di due anni fa madre Teresa è stata canonizzata, molti importanti media, dal New York Times al Washington Post, dalla Cnn al Daily Mail, hanno scritto lo stesso articolo, ricordando le accuse trite e ritrite nei confronti della missionaria albanese in India. Ai grandi giornali progressisti, pronti a idolatrare chiunque si spenda nel servizio dei poveri e dei malati, non è mai andato giù il motivo per cui la santa primeggiava in questo impegno: «Noi non siamo assistenti sociali, non siamo insegnanti, né infermiere, né dottori: noi siamo suore religiose. Noi serviamo Gesù nei poveri. La nostra vita non ha ragioni o motivazioni diverse da questa. E questo è proprio il punto che tante persone non capiscono».
AMORE IN AZIONE. Che il modo migliore per beneficiare l’uomo sia servire Dio è un paradosso. Ma alla luce di quanto successo nel Regno Unito, dove i giudici hanno ricercato soltanto l’esclusivo interesse dell’uomo, i nodi di questo paradosso sembrano sciogliersi. A Tiziano Terzani, la santa spiegò così che cosa sono concretamente la qualità e la dignità della vita: «Una volta mi capitò di prendere un uomo coperto di vermi. Mi ci vollero delle ore per lavarlo e togliergli uno ad uno tutti i vermi dalla carne. Alla fine disse: “Son vissuto come un animale per le strade, ma ora muoio come un angelo” e morendo mi fece un bellissimo sorriso. Tutto qui. Questo è il nostro lavoro: amore in azione. Semplice».

@LeoneGrotti


Foto Ansa

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