Quei cattolici popolari in difesa della (vera) lotta operaia e contadina

Ritagli del quartino su cui furono pubblicate le relazioni del convegno di Comunione e Liberazione Lavoratori del dicembre 1973 a Riccione

La nascita ufficiale del Movimento Popolare alla fine del 1975 è stata preceduta da un dinamismo di presenza pubblica delle comunità cristiane nelle scuole, nelle università e nelle fabbriche nella prima metà di quel decennio. Una delle realtà che sono all’origine del Movimento Popolare è Comunione e Liberazione Lavoratori (Cll), che nasce all’inizio del 1971 per il desiderio di lavoratori che avevano incontrato quel movimento ecclesiale di vivere in modo integrale e non diviso la loro identità cristiana.

Significative dello spirito e della proposta di Cll sono le relazioni del Convegno nazionale che viene svolto a Riccione fra il 7 e il 9 dicembre 1973. I relatori sono don Luigi Giussani, Roberto Formigoni, Giuseppe Folloni e Carlo Buora.

L’urgenza di una presenza cristiana non inutile

L’intervento di Giussani si intitola “Che cosa è il cristianesimo”, ed è centrato sul concetto che «la comunità cristiana è la liberazione in atto». Nella parte iniziale del suo discorso Giussani sottolinea che

«le fabbriche sono piene di cristiani, battezzati. Il problema è che i cristiani si sono resi vuoti, si sono resi inutili. […] È comunque in questa situazione che noi, consapevolmente, vogliamo collaborare con il nostro tentativo. E mi permetto sottolineare questa parola “tentativo” perché sia chiaro nella coscienza di tutti. Tanto è vero che io stesso non so fino a che punto mi sentirò d’accordo con tanti vostri giudizi, con tante vostre prese di posizione, ma ciò che m’importa è che abbiamo a lavorare, in questo tentativo, sperando nella correzione fraterna degli altri cristiani che come noi sentono l’urgenza di una presenza».

Critica del “compromesso storico”

Le relazioni che seguono la sua sono infatti decisamente effervescenti. Quella intitolata “Movimento operaio e contadino, gestione sindacale, identità cristiana e identità di popolo” è un intervento a due voci da parte di Roberto Formigoni e di Giuseppe Folloni che critica duramente la proposta del “compromesso storico” del segretario del Pci Enrico Berlinguer e che propone una rivalutazione del comunismo non come programma politico ma come esperienza reale del movimento operaio. Vengono inoltre rigettati sia il riformismo che la via violenta al cambiamento dello Stato che dovrebbero sfociare nella sicurezza garantita al lavoratore e nella sua partecipazione alla gestione delle realtà produttive.

La proposta di Berlinguer viene rigettata perché «ricalca la logica del potere attuale» e «esclude totalmente il problema del reale costituirsi di una novità di vita».

«Noi affermiamo che l’unità da far riemergere è l’unità originaria tra movimento operaio e contadino e movimento cattolico, non il matrimonio fra Dc e Pci: anzi l’unità vissuta tra movimento operaio e contadino e movimento cattolico significherebbe la distruzione di quel matrimonio».

Resistere a imperialismo e mercificazione

Segue una critica serrata dell’imperialismo che governa il sistema produttivo mondiale e della mercificazione del lavoro:

«Il benessere promessoci è semplicemente la possibilità di usufruire delle merci a disposizione sul mercato. Parliamo di merci, cioè di prodotti che hanno perso ogni rapporto con il lavoro dell’uomo, con la fatica ed il gusto di cui sarebbe capace chi li ha fatti e con un motivo per chi li usa. Noi oggi crediamo di godere per un possesso di cose e, mai soddisfatti, pensiamo di avere bisogno ancora di altre cose. Il godimento dell’uomo, la felicità dell’uomo è invece legata a gesti che gli fanno vivere un’unità con gli altri; le cose (i cosiddetti beni) o sono strumenti per questa vita di unità o diventano le mura della divisione fra uomo e uomo. Questi giudizi stanno forse a significare che noi siamo degli inguaribili romantici, che sogniamo di tornare alla civiltà pre-industriale? No. Chiariamo subito che noi siamo contro il capitalismo, contro l’industria capitalista, contro il progresso capitalista. Noi invece siamo per l’industria, siamo per la tecnologia, per le matematiche, per i laboratori, eccetera: ma proprio perché crediamo in tutto questo affermiamo che, o tutto è usabile, come il contadino che si faceva il pane in casa usava del suo forno o del suo camino, oppure significa che tutto è diventato “merce”, dove non ritroviamo più alcun valore d’uso, alcun senso dei gesti che si compiono. La promessa fatta dal matrimonio tra Dc, Pci e sindacati (benedetto anche da certi circoli ecclesiastici) è quella di un benessere che si sostiene su di un imperialismo e che distribuisce ai beneficiari beni mercificati. […] Il movimento operaio e contadino non è nato né per spartirsi i frutti dell’imperialismo, né per cooperare a costruire una società di merci».

La promessa della sicurezza e della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle strutture della produzione, da ottenere col riformismo o con la rivoluzione violenta, è in realtà un modo per conservare l’assetto imperialista dei rapporti internazionali:

«Nel funzionamento della struttura imperialista non cambia nulla, perché da una parte prosegue il saccheggio di interi paesi e continenti tramite il mercato delle materie prime e lo scambio ineguale, cioè il mantenimento di elevati scarti salariali tra metropoli e colonie; e dall’altra parte continua la penetrazione di merci capitaliste sui mercati che non hanno bisogno di queste. Questa promessa della partecipazione costituisce quindi un’illusione politica utile al consolidamento della gestione imperialista degli Stati borghesi, con l’aiuto dei sindacati e dei partiti di sinistra».

Per la liberazione del sindacato

Perciò le due linee, quella legale e quella violenta, «non sono due poli dialettici, ma due poli “apparenti”». Tuttavia il sindacato resta un luogo della presenza e della testimonianza della comunità cristiana:

«Tutto questo discorso vuol dire che i sindacati sono un nemico? Sono una malvagità da combattere? Il nemico è la società della divisione: di classe e dell’uomo. Il sindacato, invece, che è nato contro questa società è oggi un tentativo di liberazione castrato, strumento fondamentale, cioè razionalizzante, dello sviluppo capitalista e se chi vi aderisce non si ribella a questa dinamica di castrazione diventeremo noi per primi che siamo dentro al sindacato, e ci vogliamo restare, strumenti dello sviluppo imperialista e capitalista (eventualmente di Stato)».

Il significato autentico del “comunismo”

Estremamente suggestivo è il discorso sul comunismo.

«Noi usiamo il termine “comunismo” secondo un significato che oggi non è usato da nessuno, e tanto meno dai Pc europei, ma il vero originario significato espresso dal movimento operaio e contadino e dalla sua tradizione autentica. Comunismo non è la formula di una società perfetta, ma il desiderio profondo di liberazione, l’anelito a una società non di sfruttati ma di uguali».

Per spiegare a quale comunismo Cll faccia riferimento viene citato nientemeno che un brano dei Manoscritti economico-filosofici di Karl Marx:

«Quando operai comunisti si riuniscono, loro scopo è innanzitutto la dottrina, la propaganda, eccetera. Ma al tempo stesso acquistano con ciò un nuovo bisogno, il bisogno di società, e quello che appare un mezzo diventa scopo. Questo movimento pratico lo si vede nei suoi risultati più splendidi quando si osservano degli operai socialisti francesi riuniti. Fumare, bere, mangiare, eccetera, non sono più tra di loro puri mezzi di unione e associativi: la solidarietà, l’unione, la conversazione che la loro società ha per scopo bastano loro; la fraternità umana non è presso di loro una frase, ma la verità, e la nobiltà dell’umanità ci splende incontro da quelle figure indurite dal lavoro».

Commento:

«Il movimento operaio nella sua origine è perciò lotta organizzata contro il sistema della divisione delle classi. Ma allo stesso tempo condizione per questa lotta è che un’esperienza sia in atto tra chi svolge la lotta stessa».

Segue una considerazione che troverà spazio più tardi nelle tesi per il movimento popolare:

«Da questo possiamo affermare che all’origine della lotta operaia e contadina stanno due fattori: a) il tentativo di vivere subito un comunismo inteso nel senso della tradizione autentica del movimento operaio e contadino (è l’unità non voluta da questa società); b) la difesa di tutte le esperienze di unità che questa società vuole distruggere e perciò la difesa dell’unità e dell’identità dei popoli che il colonialismo ha fin dall’inizio combattuto».

(1. continua)

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