Cancellieri. Il problema della Giustizia non è la sua telefonata, ma l’abnormità della carcerazione preventiva

Intervista al direttore di Europa. «I veri privilegi della casta da abolire sono quelli della magistratura, requirente e giudicante, a cui purtroppo il Pd finora ha fornito alibi e coperture»

«Più del colloquio telefonico che Annamaria Cancellieri ha tenuto con un’amica che gli chiedeva di verificare le condizioni di una cittadina sottoposta alla detenzione preventiva, dovrebbe interessarci l’emergenza della giustizia italiana e delle carceri da cui la vicenda ha origine». Stefano Menichini, direttore di Europa, difende Cancellieri, che ieri, parlando al Senato, si è difesa dalla accusa di essersi interessata alla sorte di Giulia Ligresti. «Il problema non è il supposto beneficio, la protezione politica della ministra, che ha agito rispettando la legge, ma l’abnormità della carcerazione preventiva, la distrazione – o peggio – di una magistratura che si concede lunghe pause estive mentre i carcerati marciscono in galere disumane e sovraffollate».

«La scarcerazione non è avvenuta a seguito o per effetto di una mia ingerenza», ha detto ieri il ministro. Basta questo a evitare le dimissioni? O al contrario, avrebbe dovuto dimettersi per aver dato adito a sospetti?
La Cancellieri è ritornata, con parole più umili, prive di ruvidezza e di rivendicazioni, a quanto già dichiarato nei giorni scorsi. Superato il momento di irritazione, si è scusata anche per le parole più equivoche della sua telefonata e ha spiegato che tutto è avvenuto nei limiti del suo ruolo.

Non tutti, specialmente a sinistra, si ritengono soddisfatti dall’apologia del ministro.
Sono gli stessi che non ascoltano chi da anni, come don Gino Rigoldi (ma non solo) vive in stretto contatto con i carcerati. Dagli addetti ai lavori non è venuta una difesa acritica della Cancellieri, bensì una difesa dei suoi comportamenti sulla base della realtà carceraria e del fatto che lei sia stata finora uno dei pochissimi ministri della Giustizia, forse l’unico, a prodigarsi per dare una soluzione alla disumanità delle carceri.

Nei suoi ultimi editoriali, lei ha scritto che la vicenda Cancellieri denota, anche nel Pd, «strumentalizzazioni politiche» e «subalternità culturale». A cosa si riferisce?
Qualcuno ha colto l’occasione delle intercettazioni per indebolire il governo Letta. È normale in politica, ma produce l’effetto deleterio di non falsare un giudizio su un ministro che finora si è comportato bene. Con “subalternità culturale” intendo l’incapacità della sinistra, della politica più in generale, di reggere al vento dell’indignazione. In questa occasione abbiamo assistito all’ennesima campagna di stampa denigratoria, che intercetta l’opinione diffusa, la amplifica, e getta tutto in un calderone dove maldicenze e sospetti si mischiano e dove tutto si confonde. Il caso Cancellieri è stato gettato lì, ridotto all’ennesimo episodio che testimonia i privilegi della casta politica, mentre i veri privilegi della casta da abolire sono quelli della magistratura, requirente e giudicante, a cui purtroppo il Pd finora ha fornito alibi e coperture.

È colpa degli italiani, di indole “giustizialista”, soprattutto con i politici, se si assiste a queste approssimazioni?
Diffido dai giudizi generali. A volte si dice che gli italiani sono permissivisti, a volte giustizialisti. Potrebbero anche essere entrambe le cose. Al di là delle generalizzazioni, ritengo che questi episodi siano frutto di una stagione di debolezza politica. Il peso preponderante dell’etica, prima confinata alla morale e poi tracimata nella rilevanza penale dei comportamenti, ha portato all’incapacità di elaborare giudizi politici. Credo che questo risultato sia in gran parte responsabilità di Silvio Berlusconi, che ha messo insieme affari, vita privata e vita pubblica, senza distinzione.

Ritiene che il peso preponderante dell’etica nella vita pubblica del Paese declinerà quando la politica italiana sarà orfana di Berlusconi?
Dipende. In questi anni si è assistito alla proiezione di questo atteggiamento su altri personaggi politici, oltre a Berlusconi, penso anche a Giorgio Napolitano. Ora si colpisce la Cancellieri. E certamente, anche dopo la fine dell’ultimo governo Berlusconi, c’è stato un fenomeno di crescita di un atteggiamento editoriale e politico che rimesta l’indignazione e rende impossibile distinguere fra libertà di informazione, campagna politica e denigrazione. Travaglio e Ingroia sono l’emblema di questa confusione. Il primo è un giornalista che usa la libertà di stampa per fare demolizioni personali e politiche, Ingroia è quello che da magistrato e poi da politico prosegue a combattere gli stessi nemici di sempre.

Come opporsi a questi atteggiamenti?
Non c’è altra soluzione che il superamento della fragilità della politica. Ecco perché guardo con speranza al Pd di Matteo Renzi, che ha dimostrato di essere capace di aprire dossier scomodi come quello di Silvio Scaglia, e che a mio parere, può essere capace di ridare vigore alla politica.

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