Buona Pasqua (che è la «sfida che Dio lancia al mondo»)

«Il cristianesimo nasce, nel senso letterale della parola, come movimento», diceva don Giussani durante un viaggio in Terra Santa. Tutto è nato da quei "buchi" in cui l'immaginazione è stata sconfitta da una presenza

L’interno della basilica del Santo Sepolcro (Ansa)

C’è poco da fare. Il cristianesimo non è affare per personcine perbene. O «cetriolini sotto aceto», direbbe Bernanos. Interrogato in quel di Gerusalemme sul fatto che «la testimonianza si pone in contraddizione col potere» (e già a Nazaret ci aveva detto: «Bisogna che viviamo la fede profeticamente. C’è una conseguenza: anche se la persecuzione non è sempre segno della verità, la verità è sempre perseguitata»), Giussani rispose: «La vita della fede non è un’astrazione, ma è qualcosa che usa delle tasche e dei soldi, delle responsabilità che un uomo si assume, delle convinzioni che si hanno, del coraggio e del cuore che ognuno mette in gioco in ogni azione, usa insomma della vita… Perché quando l’esperienza religiosa non è vera si accorda sempre con il potere».

A Giussani rimase impressa la giornata dei “buchi”. «Il cristianesimo nasce, nel senso letterale della parola, come movimento. “Movimento”, vale a dire una compagnia che lentamente si è diffusa. Ma che il cristianesimo sia nato come movimento di amici che si incontravano, vivendo una compagnia tra loro che coinvolgeva le loro famiglie, è ciò che sta alla radice della nostra stessa idea, della nostra immagine di cristianesimo rivitalizzato. Comunque, la cosa più impressionante è che tutto è nato da quei “buchi”, da una povertà assoluta».

Una lotta aperta

Poi citò il contesto urbano che si era sviluppato a prescindere dall’avvenimento cristiano. E dal paganesimo dei resti di Cesarea, Giussani passò a considerazioni sulla visita al Monte Carmelo, «dove il problema religioso è affrontato dalla profezia ebraica. La profezia del popolo ebreo, rappresentata in Elia, esprime l’inevitabile sfida che Dio, quando entra nel mondo, fa al mondo. La grotta di Elia, e la sua lotta con i rappresentanti di Baal, esprimeva la sfida di Dio al mondo, la sfida del Dio vero, del Mistero, alle immaginazioni degli uomini. Vedendo la grotta di Elia e poi quella dell’Annunciazione, o la casa di san Giuseppe, o quella delle nozze di Cana è stato come prendere atto che la sfida di Dio al mondo (che non può non apparire come una lotta aperta e una contraddizione radicale), noi cristiani la sentiamo resa umana… Tutti noi avremmo paura di incontrare Elia, perché dei Baal dentro la nostra testa ce ne sono eccome! Avremmo paura di incontrare un Elia, ma quella ragazza di 15 anni no! E quell’uomo che l’ha sposata, lo stesso, no! E quell’uomo che si siede a mensa con tutti gli altri, no! Ora, il criterio della verità qual è? Per l’uomo il criterio della verità è ciò che corrisponde, valorizzandola, alla propria umanità. Senza aver trovato quella cosa lì, quella cosa vera, un uomo sente di essere meno umano».

Tratto da Luigi Amicone, “Là dove Dio sfida il mondo”, Tempi, 27 maggio 2016

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