Borgna: «Quanta vita e quanta luce ha portato con sé la rinuncia di Benedetto XVI. Come un vero martirio»

Un anno dopo, il grande psichiatra torna per tempi.it sul gesto di Ratzinger, sulla sua «assenza-presenza» e sul rapporto con papa Francesco: «La loro forza è l'integrazione di due diverse forme di debolezza»

Un anno dopo quel discorso con cui, totalmente a sorpresa, Benedetto XVI annunciava che nel giro di poche settimane non sarebbe stato più Pontefice, la Chiesa è cambiata seguendo la “rivoluzione” di papa Francesco. Ma quelle poche parole con cui Ratzinger rinunciava al ministero petrino erano già uno sconvolgimento. Per questo, a dodici mesi di distanza quel gesto sa ancora interrogare: «Benedetto XVI ha saputo sottolineare il senso profondo di una rivelazione che sta al di là dei nostri occhi bruciati solo dal presente», spiega a tempi.it Eugenio Borgna, primario emerito di psichiatria dell’Ospedale maggiore di Novara e libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Milano.

Professore, un anno fa lei stesso sottolineava in un’intervista a Tempi come la rinuncia di papa Benedetto fosse, nel riconoscere la propria debolezza, un atto di forza autentica, nell’abbracciare la sola via che poteva dargli energia. Un anno dopo, come le sembra questo gesto possa avere ancora qualcosa da dire alla Chiesa?
È stata un’azione che già sin dall’inizio guardava al futuro, oltre a cogliere il senso del presente. Sono gesti che rimangono impressi nel cuore e nella memoria di chiunque li abbia visti, poiché non hanno nulla di incomparabile con altri azioni umane. Nel ritiro di Benedetto XVI si accompagnavano la vertiginosa profondità umana e il senso profondo di una rivelazione non comprensibile in prima battuta. Una rivelazione che intende dire che la Chiesa può avere debolezze, ma sa sempre rinascere dalle ceneri di questa apparente debolezza. Un gesto dunque che si inserisce nella storia, ma che continua ancora oggi intensissimo in tutti i cuori. Ora ci immaginiamo la ricchezza interiore di Ratzinger, la sua sterminata cultura che vivono consumate ma trascese nella preghiera e nella contemplazione di verità che oltrepassano la loro apparenza terrestre.

“Rinuncia” e “dimissioni” sono pur sempre parole che conducono all’area semantica del limite e dell’incapacità. Dove sta la grandezza del gesto di un uomo che si tira indietro?
Cancellerei la parola “dimissioni” perché è troppo terrestre e inconfrontabile con l’azione e le intenzioni spirituali che hanno mosso Ratzinger. Anche il termine “rinuncia” mi sembra colga poco di quanto accaduto, soffermandosi solo sul limite. Parlerei invece di trasfigurazione della vita per come appare ai nostri occhi. Forse, solo pensando a questo Papa che trasforma la sua presenza religiosa nel silenzio e nell’abbandono della visibilità riusciamo a capire davvero quanto successo. Un gesto che ha trasformato la sua vita, ma che continua ad essere contemporaneamente sorgente di riflessioni e contemplazione. Aggiungerei anche la definizione di “martire”, perché ha abbandonato l’immagine con cui noi lo vedevamo e lo ascoltavamo: il senso profetico del suo ritiro porta con sé luce e speranza, come in un vero martirologio.

Come giudica il modo discreto, quasi impercettibile, con cui papa Benedetto in questi mesi è rimasto in rapporto con il mondo?
Solo se una persona vive la propria vita interiore radicata dentro alla contemplazione del Mistero, del dolore e della speranza allora è possibile abdicare tutto quello che eravamo prima. E così affondare invece solo verticalmente negli abissi della propria coscienza e della propria interiorità. È scomparso dai nostri occhi Benedetto XVI, ma anche i piccoli frammenti con cui si è fatto vedere in questi mesi, come l’abbraccio che si scambiò con papa Francesco, sono scintille che vivificano questa assenza-presenza. Ecco, queste sono le due parole che mi sembrano essenziali: apparentemente assente, in realtà ancora presente, seppur in modi diversi.

In che senso?
Se crediamo nella realtà della comunione dei santi sappiamo come si possa sembrare deboli, si possa essere assenti, ma invece si continua a vivere in questa corrente fatta di sofferenza. Una assenza apparente è in realtà una presenza che continua invisibile agli occhi, visibile a tutti quelli che vivono invece la sofferenza. Chi è affaticato e soffre nel gesto di Benedetto XVI può cogliere qualcosa che aiuta a sopportare meglio la propria croce. Il suo isolamento monastico lo aiuta, in un certo modo, ad essere intensamente vicino con preghiera e contemplazione a tutte le persone che sono in solitudine.

Prima accennava all’incontro tra i due papi: l’abbraccio e la preghiera assieme sono stati due momenti estremamente significativi, quasi commoventi. Cosa ha colpito la gente di quelle immagini?
Direi l’aspetto umano e quello religioso spirituale. Umanamente tutti siamo stati folgorati dal gesto di queste due persone, che, sia pure diversamente, sanno testimoniare la luce incancellabile della umiltà, della fraternità, della preghiera. Il gesto in qualche modo più debole e sofferente di Benedetto XVI mi è parso come un accompagnarsi ed essere aiutato dalla presenza più forte dell’altro Papa. Abbiamo avuto davanti diverse forme di debolezza: da una parte c’era quella fisica di Ratzinger, dall’altra quella spirituale di papa Francesco. In lui non c’è fatica, ma come per tanti santi c’è un riconoscere la propria debolezza spirituale, che si trasforma in autentica forza. È quanto afferma san Paolo, quando dice che «la debolezza è la nostra forza». Ecco, la cosa che credo abbia colpito di quel momento di preghiera è l’integrazione tra queste due diverse forme di debolezza.

Quanto conta, nella linea di rinnovamento che Bergoglio sta seguendo, la “rivoluzione” fatta da Benedetto XVI attraverso la sua inattesa rinuncia?
Il gesto di Benedetto XVI esprime una abissale rivoluzione umana e spirituale, tanto che anche oggi, se ripensiamo a quanto accaduto, non possiamo non essere colti da stupore. A questo stupore dinanzi al gesto in sé si è accompagnata poi una diversa modalità di vivere il pontificato che papa Francesco ha saputo testimoniare. Parliamo di due pontefici caratteristici a modo loro: Benedetto XVI è dotato di una cultura teologica vertiginosa, associata anche a timidezza e ritrosia; tutt’altro sono la figura e i gesti di Bergoglio, che certo non ha la fragilità e il silenzio del suo predecessore. Il segno dei tempi forse, in una prospettiva profetica, esigeva questa alternanza tra modi di vivere il Vangelo e di essere presenti in una coscienza umana che è cambiata radicalmente in questi anni. Oggi lo spirito del tempo ha voluto che avvenisse questa integrazione e alternanza di modelli spirituali, tutti ugualmente significativi, tutti diversamente espressi.

@LeleMichela

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