Attenzione, con Bonaccini il Pd forse la pianterà di straparlare di “pericolo fascista”

Il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, candidato alla segreteria del Pd (foto Ansa)

Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «Che si sia in economia di guerra lo comprova l’avvento sempre più fitto di misure di programmazione economica, che proprio nell’Ue hanno costruito le cattedrali dell’erogazione dei finanziamenti di sostegno, sia agli investimenti che ai consumi, prima in guisa antipandemica, poi in guisa di sanzioni pro Ucraina e ora in guisa di sostegno alla transizione plurima, energetica e green sino ad articolarsi nel diffondersi di nuovi accordi interstatali che seguono quello storico post-bellico mondiale franco-tedesco di Aquisgrana e che ora si articolano nei trattati franco-italiani e – recentissimo – franco-spagnolo. Tali accordi si accompagnano ai trattati di fatto tra medie potenze mitteleuropee e baltiche con la loro preclara manifestazione militare di ampliamento della Nato».

Lo sguardo dello storico ci aiuta ad orientarci e a capire come l’attuale crisi provocata prima dalla pandemia e poi dalla guerra russo-ucraina abbia prodotto il progressivo affermarsi di un’economia appunto di guerra, che tra l’altro al momento aiuta a evitare alle economie occidentali guasti eccessivi, ma che ha nel suo cuore la questione cruciale di come e quando finire la guerra. Di fronte al tipo di aggressione di Mosca contro Kiev è evidente come l’unica risposta possibile fosse quella di sostenere gli aggrediti. Credo che per una fase la parola sarà ancora alle armi, ma è necessario subito pensare al momento in cui si aprirà uno spazio per la pace perché l’idea che sia possibile evitare catastrofi tragiche lasciando andare il corso delle cose è quella che ha insanguinato metà del Novecento.

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Su Formiche Emanuele Rossi scrive: «Sicurezza energetica, cooperazione economica e stabilità nel Mediterraneo, soprattutto in Libia, anche per contrastare l’immigrazione irregolare. Sono questi i temi che la Farnesina comunica a proposito dell’incontro del ministro degli Esteri Antonio Tajani con il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi. Ma sono anche i temi con cui l’Italia proietta i suoi interessi nazionali nel Mediterraneo allargato, promuovendo come guida di un’integrazione regionale che è necessità sempre più sentita dai paesi dell’area. Gli stessi che riguardano la visita di Giorgia Meloni in Algeria, altrettanto identici a quelli visti in Tunisia nel viaggio di pochi giorni fa di Tajani e del collega agli Interni, Matteo Piantedosi. Parte degli stessi temi è anche stata discussa in Turchia, dove gli stessi due ministri sono stati nelle ultime due settimane».

Anche gli antimeloniani con la bava alla bocca tipo Repubblica non riescono a nascondere lo spazio che Roma sta conquistando in campo internazionale: i rapporti stretti con Washington, il ruolo crescente nel Mediterraneo e quindi in Africa e Medio Oriente, il nuovo feeling con il Giappone che apre prospettive negli scenari indo-pacifici. L’Italia si sta conquistando un peso che non dipende più da una sola personalità come è successo con Mario Draghi, ma da un governo autonomo legittimato dal voto popolare. La politica estera di solito non condiziona molto gli orientamenti degli elettori, ma dalle nostre parti ormai ci si rende conto che se non siamo forti anche in campo internazionale, lo pagheremo nell’Unione Europea con patrimoniali e tagli alle pensioni. Ecco un motivo che potrebbe spingere a votare anche nelle prossime regionali di Lazio e Lombardia per stabilizzare l’attuale maggioranza, che non ha ancora un’alternativa considerato il peso dell’antipolitica sia tecnocratica sia peronista nel condizionare l’opposizione.

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Su Strisciarossa Marcella Ciarnelli scrive: «La notte del 6 la terra tremò a L’Aquila. L’orrore e la disperazione per quei morti e per una città cancellata diventarono ancora più forti e si trasformarono in rabbia nell’ascoltare la telefonata tra due imprenditori che se la ridevano pensando ai futuri guadagni. Immaginavano un dopo sisma ricco, opulento. Per loro. Erano intercettati nell’ambito dell’inchiesta per corruzione legata agli appalti del G8. Se il ministro Umberto Nordio [sic] riuscisse a condurre a termine il suo progetto di riforma della giustizia e, quindi, innanzitutto limitare – per lui è un punto d’onore – l’uso delle intercettazioni, probabilmente quelle risate offensive non le avremmo mai sentite. Con le prevedibili conseguenze giudiziarie. E già questo meriterebbe una riflessione più approfondita».

Condivido tutto il disprezzo della Ciarnelli per gli imprenditori che ridono perché grazie ai morti di un tragico terremoto possono incrementare i loro affanni. Sono però sconcertato che una persona di sinistra voglia affidare alla magistratura un ruolo di polizia morale. Compito dei pm non è censurare comportamenti per quanto ignobili, ma perseguire i reati. Non organizzare linciaggi contro persone pur orrende, ma mettere in galera chi corrompe o organizza altri crimini. Lo sforzo di Carlo Nordio, in questo senso, di impedire un uso politico delle intercettazioni ma di trovare il modo perché l’accusa si occupi solo dei reati, è sacrosanto.

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Su Huffington Post Italia si scrive: «Oggi c’è un pericolo fascista?, chiede il giornalista. “No. Meloni non è fascista. Semmai il pericolo è un sovranismo amico di paesi che hanno torsioni autoritarie, come l’Ungheria». Della premier Bonaccini pensa che è “una che ha fatto la gavetta. Per lei è stata particolarmente dura, perché è una donna, e la politica italiana è molto maschilista. Se vincerò le primarie, le chiederò un incontro. Per dirle che la considererò sempre un’avversaria, mai una nemica”».

Se Bonaccini vincerà il congresso e manterrà l’impostazione che in queste righe riportate accenna, cioè facendo una seria opposizione ma con una reale disponibilità al dialogo (innanzi tutto costituente), questo sarà un fatto nuovo e importante per l’Italia.

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