Biffi agli “esercitandi” (tra cui un certo Giovanni Paolo II): «Senza comodità si può vivere, ma senza ideali la vita diventa insipida e insopportabile»

Le ventidue meditazioni che il cardinale Giacomo Biffi propose agli esercizi spirituali tenuti nel 1989 alla curia romana: «Un altro dono da chiedere è quello di restare sempre nella Chiesa»

«Nel 1989, dal 12 al 18 febbraio, sono stato chiamato a predicare gli esercizi spirituali in Vaticano. Avere tra gli “esercitandi”, che ascoltavano con umiltà e pazienza le mie riflessioni, non solo i cardinali e i prelati di curia, ma anche papa Giovanni Paolo II era certo un’esperienza insolita e in sé emozionante, che mi pare di essere riuscito ad affrontare in semplicità». A scrivere queste righe è il cardinale Giacomo Biffi nelle sue Memorie (Cantagalli). Le ventidue meditazioni che compongono gli esercizi spirituali sono oggi raccolte in un preziosissimo volume di Cantagalli, La multiforme sapienza di Dio. Esercizi spirituali con Giovanni Paolo II (231 pagine, 14 euro), che vale la pena leggere e rileggere per l’attualità delle riflessioni che monsignor Biffi propose. Tempi.it vi aveva proposto una brevissima anticipazione che oggi arricchisce dopo aver letto il volume.

IL SILENZIO E LA SOLITUDINE. Quegli esercizi sono stati cinque giorni di intenso lavoro fatti di predicazioni, preghiere, letture, silenzio e solitudine. E proprio dal silenzio delle labbra come segno e premessa del silenzio dell’anima cominciano le lezioni: «Il silenzio (inteso come condizione per l’ascolto) è il primo correlativo della parola. La parola di risposta è solo il secondo. Poiché in principio c’è la parola di Dio, in principio ci deve essere il silenzio al cospetto di Dio. “È difficile saper tacere. È raro che uno taccia, anche se non gli giova affatto parlare”, diceva sant’Ambrogio».
E poi la solitudine: «È ancora sant’Ambrogio a mettere in risalto la ricchezza spirituale che ci può essere procurata dalla solitudine: “Quando siamo soli, allora ci offriamo a Dio, allora gli apriamo il nostro animo, allora ci spogliamo della veste dell’inganno. Era solo Adamo quando fu collocato nel Paradiso, ma non era solo quando fu cacciato. Era solo il Signore quando redense il mondo. Perciò anche noi cerchiamo di essere soli, perché il Signore sia con noi”».

L’OBBEDIENZA. «L’uomo si imbatte in un nodo che è teoricamente irresolubile: la sua unica vera regola di comportamento è a lui inaccessibile. In parole semplici: a dirigerci bene in questo mondo basta fare la volontà del Signore; solo che non si riesce a vedere che cosa egli voglia da noi. Da questa situazione paradossale abbiamo la possibilità di uscire in sede pratica studiando i segni della volontà di Dio, che sono i riverberi a noi accessibili del volere divino. San Tommaso osservava però che non abbiamo la garanzia che quello che vediamo e capiamo dai “segni” coincide sempre con l’autentico volere divino. Ma questo è sufficiente a risolvere il nostro problema morale: se noi con sincerità di cuore leggiamo i segni e poi ne seguiamo le indicazioni con buon senso e generosità, siamo sicuri di agire secondo il dovere fondamentale dell’obbedienza. Vanno ben considerati gli avvenimenti. I fatti, in quanto opera dell’uomo non sempre sono giusti, ma possono e devono essere essi stessi giudicati. Nella nostra storia personale ciò che è avvenuto ci aiuta sempre a capire meglio che cosa si debba fare per l’avvenire».

IL REGNO OSCURO DEL DEMONIO. Il secondo giorno il cardinal Biffi propone meditazioni sul regno oscuro. «Oggi non si prende sul serio il demonio (salvo poi farne oggetto di attenzione aberrante e perfino di culto): la cultura dominante, che si immagina di essere razionale, lo annovera tra le fiabe. A me pare più sensato affidarsi al parere di Gesù, e Gesù non scherza affatto su questo argomento. Prendere sul serio il demonio è premessa indispensabile per prendere sul serio il male del mondo, e per non ritenere che l’uomo possa eliminare da solo i suoi guai e autodeterminarsi. (…) “Il mondo vi odia” (Gv 15,19), ci ha avvertito Gesù. Dimenticarsi che esiste questa resistenza aggressiva all’opera di Dio è pericoloso sia per il credente sia per la comunità cristiana. (…) La cultura oggi dominante pensa di salvarci dalla tristezza, dall’inquietudine, dal rimorso, eliminando l’idea stessa di peccato. Abitua ciascuno a guardare solo ai suoi diritti: i doveri sono sempre degli altri; induce a ritenere che la colpa non è mai dei singoli, ma della società, delle strutture, dello Stato, della Chiesa. Cristo invece ritiene che sia il cuore dell’uomo la vera causa del male nel mondo (Mt 3,20-23) e che perciò dal cuore dell’uomo – cioè dalla sua vita personale e interiore – deve cominciare il rinnovamento».

IL PECCATO E LA PREFERENZA. Ma che cos’è il peccato? «Il peccato è smemoratezza: è non ricordarci abbastanza di Gesù; è occuparci più delle cose di Dio che non di Dio e del suo amore; è perdere di vista la nostra natura, la nostra condizione di redenti, la nostra dignità di figli. Il peccato è disobbedienza: è disconoscere la piena signoria di Cristo sulle nostre idee, sui nostri affetti, sulla nostra vita; è resistere ai disegni di Dio, cercando di sovrapporgli i nostri calcoli; è la serie dei nostri “no”, pigri e capricciosi, alle divine sollecitazioni. E il peccato è avarizia: è incapacità di donare il nostro tempo, la nostra attenzione, il nostro ascolto».
Il cardinale parla poi della positività del peccato come «occasione di una vita spirituale più intensa», del perdono e della forza di Dio, del mistero nuziale e del concetto di preferenza che genera invidia o felicità. «Il gruppo dei Dodici ci offre un bel campionario di umile e diversa umanità: ci sono poveri e ricchi, semplici e capaci di far di conto, riflessivi o impetuosi. Un bel campionario dei difetti umani. (…) È stato notato che probabilmente anche le idee politiche di quegli uomini erano disparate. Tra essi partigiani, come Simone lo zelota, e qualche collaborazionista, come Matteo il pubblicano. Questo vuol dire soltanto che da tutte le estrazioni si può arrivare ad aver parte attiva nella Chiesa. Non significa – come qualcuno ha dedotto contaminando la parola di Dio con l’ideologia – che tutte le scelte sociali e politiche dei cristiani siano legittime e consentite. Il contrario risulta dal Vangelo: questi uomini, in virtù della loro piena adesione a Cristo, sono completamente trasformati e acquistano una nuova originale visione delle cose. Dopo aver incontrato Gesù, né Simone continua a fare lo zelota né Matteo rimane pubblicano, perché “se uno è in Cristo, è una creatura nuova” (2Cor 5,17).

LA SEQUELA. E cosa vuol dire sequela? «Passando per il mare Gesù vide dei pescatori. Tutto sembrava fortuito. In realtà quegli uomini non erano per lui sconosciuti né lui era ignoto a loro. Lo conoscevano già, perciò l’hanno seguito. L’hanno seguito, perciò l’hanno conosciuto davvero. Questa è una legge fondamentale: non si ama se non si conosce, ma anche non si conosce se non amando e impegnando la vita. Dobbiamo dunque riconfermarci nel proposito di voler conoscere il Signore Gesù. Assaporare la sua parola, contemplare i suoi gesti, meditare sul suo mistero luminoso e adorabile. Nessun cristiano può eludere questo programma. Ma perché la conoscenza diventi davvero illuminazione dell’anima e sapore della vita, bisogna amare. Gesù Cristo lo si conosce veramente nell’atto in cui ci si gioca per lui».

NON C’È VITA SENZA IDEALE. E per finire l’ideale. «Il primo elemento di questo racconto che merita la nostra attenzione (la pesca inutile, Gv 21,1-11, ndr) è lo stato d’animo dei discepoli. Non sono uomini in preda alla disperazione: hanno già sperimentato la gioia di incontrare Gesù risorto. Ma sono ecclesiasticamente sbandati, senza direttive e senza progetti. È l’atteggiamento spirituale di quanti hanno sì avuto un tempo un concreto e affascinante ideale di vita, cui si sono donati, ma poi l’hanno lasciato sbiadire nel succedersi delle delusioni e delle stanchezze. Qui c’è un primo argomento d’implorazione. Che il Signore ci mantenga vivo il senso della buona causa per la quale abbiamo un giorno capito che metteva conto di spendere l’esistenza. Piuttosto dia qualche comodità in meno, ma non ci lasci senza ideali. Senza comodità si può vivere, ma senza ideali la vita alla lunga diventa insipida e insopportabile. (…) E un altro dono da chiedere è quello di restare sempre vitalmente inseriti nell’organismo ecclesiale, che ha Cristo come capo, principio di vita e sorgente di energia. Ma non illudiamoci: può venire a tutti la tentazione di mettersi a costruire la Chiesa con le proprie intuizioni e piccole verità».

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