Benvenuti rifugiati siriani. Ma è ora di fermare i tagliagole dell’Isis

Dopo i grandiosi e non scontati gesti della Merkel e del Papa occorre tirare qualche riga. La verità l'ha detta un ragazzino siriano rifugiato a Budapest

Non si può non riconoscere ad Angela Merkel coraggio e leadership. Di fronte ai profughi siriani bloccati in Ungheria, la Cancelliera tedesca ha compiuto un atto storico. Dire «benvenuti», «vi accogliamo» non era scontato, qualsiasi ragionamento o analisi si possa poi fare. È un atto di generosità grandioso che, crediamo, inciderà negli animi di quelle migliaia di persone che si sono messe in marcia da Budapest. Certo, vedremo di qui a poco i problemi che potrà creare ma – grattata via la crosta retorica sulla “nascita dell’Europa” (chissà) – non si può non riconoscere nel gesto della Merkel la grandezza d’animo di chi sceglie di porgere la mano al bisognoso anziché ritirarla.

LE AUTO E IL PAPA. È la stessa cosa che hanno fatto tutti coloro che si sono recati in automobile sulle autostrade per dare un passaggio ai profughi. Può essere stato anche un solo gesto istintivo e ora ci sarà da discutere su come sistemarli, come assisterli, come aiutarli coordinando gli interventi. Ma resta il fatto che si tratta di un atto di ospitalità, carità, accoglienza. Quella cui ha invitato papa Francesco nell’Angelus, andando subito alle conseguenze pratiche: ogni parrocchia accolga le famiglie dei rifugiati (già oggi la Chiesa s’adopera per 10 mila migranti in tutta Italia).

LAMPEDUSA. Detto questo, c’è da osservare che noi italiani – con tutto il male che si può dire di noi italiani – siamo su questo fronte da anni. Basti pensare a Lampedusa, dove da tempo lo Stato, pur in mezzo a mille errori e contraddizioni, risponde all’incessante fenomeno dei disperati sui barconi. E vi rispondono in primis gli italiani, spesso nell’indifferenza totale degli altri Stati (a proposito di nuova Europa). Lo fanno quotidianamente i pescatori lampedusani, che non si voltano dall’altra parte quando vedono la mano del migrante affondare nel Mediterraneo.

L’AFRICA. Come ha spiegato il demografo Giancarlo Blangiardo a Tempi, «se è vero che i venti di guerra che spingono le 70 mila richieste d’asilo dei siriani registrate nel complesso dell’Unione Europea nei primi sei mesi del 2015 – così come le 38 mila degli afghani o le 21 mila degli iracheni – prima o poi smetteranno di soffiare (ci si augura), non sarà la stessa cosa per il profondo Sud del Mondo».
Secondo previsioni attendibili, tra vent’anni la popolazione dell’Africa subsahariana passerà da 962 milioni di persone a 1,2 miliardi tra dieci anni e 1,6 tra altri dieci. Dobbiamo realisticamente pensare che molte di queste persone cercheranno di attraversare il Mediterraneo. Cosa vogliamo fare? Come intendiamo intervenire? Non si tratta di uno o due paesi, ma di un continente.
Secondo i dati aggiornati a fine agosto, le prime quattro nazionalità dichiarate dalle persone che sbarcano in Italia sono africane: eritrei (30.493), nigeriani (14.489), somali (8.747), sudanesi (6.901). I siriani sono stati 6.546.

FERMARE LA GUERRA. Dopo che ci siamo entusiasmati per le automobili in colonna sulle autostrade europee, abbiamo pubblicato sui social network l’immagine del piccolo Aylan, abbiamo cantato l’Inno alla gioia ai siriani in arrivo nella stazione di Monaco, è ora che tiriamo qualche riga. Perché i profughi mediorientali non sono sbucati dal nulla: arrivano dai paesi dove imperversano i tagliagole dell’Isis.
La verità che pochi vogliono sentirsi dire l’ha pronunciata davanti alle telecamere un ragazzino siriano di tredici anni, Kinan Masalmeh, rifugiato nella stazione di Budapest: «Fermate la guerra in Siria, per favore. Fermatela adesso e noi non verremo in Europa». È ciò che ripete ormai da qualche anno qualsiasi vescovo o prete di parrocchia siriano o iracheno. Sono tutti guerrafondai? No, ma hanno a che fare con l’Isis tutti giorni. E quel che chiedono è un aiuto vero e intelligente, diverso da quello messo in campo dall’Occidente con le sanzioni o da Barack Obama che col suo sostegno ai “ribelli moderati” (ipocrita eufemismo) ha finito per aggravare la situazione.
Come ha detto il patriarca cattolico greco-melkita Gregorio III Laham: «Ai governi occidentali dico che il punto centrale non è accogliere e ospitare i profughi, ma fermare il conflitto alle radici. Tutti devono essere coinvolti, dall’occidente alle nazioni arabe, dalla Russia agli Stati Uniti. Questo è ciò che aspettiamo, la pace. Non parole sui migranti e discorsi sull’accoglienza».

Foto Ansa

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