«Il fronte unico contro il pericolo fascista? Sarebbe un errore molto grave»

«La narrazione della "rottura" tra Calenda e Letta, se confermata, è surreale. La distanza tra i due nasce dallo spostamento a sinistra del Pd. Si va a votare con una legge inadeguata». Intervista ad Alessandro Barbano

Le penne – e le tastiere – di giornalisti e commentatori si stanno trasformando in microscopi raffinati e lenti d’ingrandimento di ultima generazione: tutti entomologi, pronti a scavare nell’infinitamente piccolo dei meccanismi della politica di queste ore dopo il parto anticipatario, e finale, della legislatura più bislacca che si ricordi. Chi va con chi e per cosa, dove come quando non si sa: o forse sì, ma a tratti, sapendo che tutto va come va ma non va, citando di striscio gli ineguagliabili Csi di Giovanni Lindo Ferretti. Abbiamo fatto due chiacchiere con Alessandro Barbano, giornalista, docente, scrittore, già vicedirettore del Messaggero, direttore del Mattino e oggi condirettore del Corriere dello sport.

Ore febbrili, così parrebbe, soprattutto a sinistra, le cui peristalsi da qualche decennio inchiodano l’intero sistema istituzionale. Oggi è il turno del Calenda-Letta. Lei come legge questa faccenda?
Considero surreale questa narrazione della rottura, se sarà confermata in queste ore, tra Calenda e il Pd. Ricordo che ci fu tre anni fa (Calenda è uscito dal Pd il 28 agosto 2019), poi nacque il Conte II ed è lì che sostanzialmente si avvia un’interlocuzione che prelude all’alleanza tra Pd e 5 Stelle. Calenda esce in quanto quella alleanza è ostativa alla sua permanenza nel Pd, partito che ha proseguito in questo approccio anche quando c’è stato l’avvicendamento alla segreteria, da Zingaretti a Letta, sia rispetto alle alleanze e ai programmi. Letta non ha portato alcuna novità, non ha operato uno spostamento riformista rispetto al predecessore. Forse c’è stata un’accentuazione dell’atlantismo ma l’avrebbe fatto anche Zingaretti nel contesto bellico attuale.

D’accordo, ma ora le cose sembrerebbero essere precipitate
Certo, finita l’esperienza con Draghi c’è stato questo divorzio tra Pd e 5S che non è, però, legato a un cambiamento di linea e contenuti ma a un preteso tradimento che induce il Pd a considerare improvvisamente non credibile l’alleato”

La credibilità dell’alleato, come dice lei, a onor del vero era già abbastanza ammaccata, no?
Sicuramente il M5s aveva già dato innumerevoli prove della sua inaffidabilità, ma erano state ignorate, si sono mantenuti gli occhi chiusi fino all’evidenza. Ecco perché dico che parlare di rottura adesso non è corretto perché la distanza tra Azione e Pd nasce dallo spostamento a sinistra di quest’ultimo. Giustamente Calenda ha posto una serie di condizioni programmatiche che se uno ha voglia di leggere – ma sono consapevole che di questi tempi la lettura approfondita non è di moda- li vedrà. Bastano i quattro tweet di Calenda, riassumenti 20 punti programmatici, per capire che nessuno potrà essere sottoscritto, ad esempio, da uno come Orlando, men che meno da Fratoianni, Bonelli e i transfughi del M5S di cui il Pd si sta facendo carico.

E se scattasse, come è possibile, la formula del fronte-unico-di-salvezza-nazionale-contro-il-pericolo-fascista?
Sarebbe un errore molto grave. Credo che lo stesso Calenda sappia che quand’anche si dovesse fare “Brasile contro resto del mondo” (leggi: tutti contro Giorgia Meloni, ndr) e se pure si vincesse, i vincitori farebbero a botte nello spogliatoio, com’è successo con Ulivo e Unione, anche loro due giustapposizioni, per non dire accozzaglie, di sensibilità politiche diverse che in una stagione di globalizzazione e in un contesto storico europeo diverso potevano anche trovare un compromesso, oggi le condizioni non lo consentirebbero più.

Dov’è che proprio non ci sarebbero possibilità di relazione e di mediazione?
Prendiamo le politiche energetiche: spegnere tutte le auto nel 2035, per semplificare, non è una posizione sostenibile riformisticamente. Ancora, per la cessione di Ilva e Alitalia al mercato privato come farebbero a conciliarle a sinistra? E la modifica o l’abolizione del Rdc? E’ il Pd stesso a non volerlo, tant’è vero che nel governo giallorosso (e pure con Draghi) non l’ha fatto perché ne ha sposato le posizioni, al pari del fascicolo personale per il magistrato così come la riforma dell’accesso nella scuola con la formazione non obbligatoria, tutti punti non graditi al Pd e men che meno ai 5 stelle.

I famosi “punti divisivi”…
Non sono semplici punti divisivi ma molto di più, sono cose che rendono virtuale una collaborazione. Aggiungo che queste divisioni sono visibili nel resto del mondo. Io faccio fatica a pensare che quelli che la vedono come Fratoianni possano votare Gelmini e Carfagna e viceversa. Faccio fatica pure a pensare che quel centrodestra liberale e moderato, che ora si vede tradito dalle scelte del Cav, possa votare Calenda se è alleato con Fratoianni.

Come finirà?
Non lo so, il coraggio non è la costante della nostra stagione politica. Andiamo a votare con una legge inadeguata a rappresentare la configurazione del quadro politico, le domande sono mutate. L’esperienza di Draghi ha ridato voce e protagonismo a quella borghesia che sente la responsabilità di assumere le sorti del paese con risposte non ideologiche. Questa area, ancorché non rappresentata, c’è ed è presente, la volontà di non stare in mezzo alle bandierine degli uni e degli altri (dalla legge Zan alla transizione energetica alle fesserie di Salvini sulle pensioni o sulla flat-tax) rimane forte.

Torniamo sempre al punto di partenza, dunque, della legge elettorale raffazzonata?
Sì, se ci fosse il proporzionale né Calenda né Fi né nessun altro si porrebbe questo problema e al centro ci sarebbe un terzo polo, che oggi è prigioniero anche della paura dei partiti di rompere la camicia di forza di questo bipolarismo bastardo. Quindi è evidente che occorra il coraggio della politica per accelerare questo processo, questa legge non aiuta. Credo che l’unica molla che possa far cambiare le cose nel Paese sia la capacità di questo terzo polo di rappresentare un’alternativa non per vincere le elezioni ma per impedire agli altri di vincerle: se la destra non vince per governare con i numeri e se il Pd non precipita, a quel punto bisogna interrogarsi su cosa sarà il nuovo quadro politico. Aggiungo che nella stagione del post-berlusconismo l’abiura reciproca e la demonizzazione debbano finire una volta per tutte”

Ma chi è in particolare che dovrebbe avere più coraggio come lei dice?
Penso, ad esempio, che la stessa Emma Bonino dovrebbe averne di più, perché non si tratta di piazzare 4/5 collaboratori, lei che è una liberale autentica deve interrogarsi se il suo spirito si realizza più facendo un accordo con i massimalisti o costruendo un polo che queste posizioni non le subisce”

A proposito di enfasi e coraggio, ieri Bruno Tabacci con tono quasi millenaristico ha paragonato sul Corsera il 25 settembre prossimo al giugno del 1946? Anche i moderati hanno le visioni oppure è fondata l’analisi della levatrice elettorale di Di Maio?
No di certo, però se immaginiamo come sarà raccontata tra 100 anni la storia della seconda repubblica diremmo che la II repubblica è una fase di incompiuta e fallita modernizzazione che succede alla crisi della I e che fallisce completamente il suo compito condannandola ad un’impasse totale, una contrapposizione violenta e bipolare che non porta a nulla e che la fa declinare sul piano economico, sociale e civile per 30 anni. Ogni fatto storico è certo diverso ma se il voto del 25 settembre archiviasse l’equilibrio instabile della II repubblica sarebbe una cosa buona in termine valoriali: questo Paese è ancorato in un braccio di ferro che lo tiene immobile ma questa contrapposizione è svuotata di contenuti perché c’è contiguità tra le politiche di ambo le parti, hanno un segno comune nel loro essere specchio di uno stato e di una politica neo corporativa che utilizza la spesa pubblica per il consenso della categorie di riferimento (i percettori di Rdc per Pd e 5 s, per Salvini sono tassisti e balneari, eccetera). Il tratto comune di questa politica è l’essere ostaggio delle pressioni dei propri gruppi di interesse che rappresentano il bacino potenziale elettorale nei confronti del quale la spesa pubblica in deficit serve per ancorare tutte le scelte. L’alternativa coincide con il disancoraggio del Welfare dalla ricerca del consenso e questo può avvenire solo per mano di una forza politica che non abbia categorie di riferimento ma un rapporto con l’opinione pubblica e col suo bacino elettorale che non abbia al fondo l’idea del “io ti do e in cambio io ti chiedo”. Partiti come +Europa, Azione o Iv potrebbero farlo perché non sono schiavi dei propri elettorati, da qui può venire il cambiamento.

Vaste programme diceva qualcuno
I sistemi umani spesso si posizionano in equilibri che diventano statici, quando cambiano ti rendi conto che è una piccola leva che l’ha fatti cambiare

Scegliamo due ambiti strutturali forti e vediamo se a suo giudizio questi potrebbero essere elementi centrali della contesa elettorale: giustizia e diritti (e il loro abuso) saranno centrali o riprenderemo la solita via crucis?
Non lo so, perché sulla giustizia c’è un problema, cioè l’idea che essa consista solo nel rapporto che ha con la politica, ma non è affatto così. Il problema della giustizia è il rapporto tra la macchina del dolore umano e il cittadino, questa violenza statale è sotterranea e non sempre visibile. Faccio un altro esempio: l’apparato giudiziario, prefettizio, amministrativo e clientelare della cosiddetta “Antimafia” è qualcosa di cui nessuno parla. Oggi è la più grande holding del Paese, gestisce un patrimonio di interessi che neanche una multinazionale, è uno stato nello stato. Allora è chiaro che il problema della giustizia è diventato lo slittamento del diritto penale dal reato al reo, dal diritto alla morale, dalla prova al sospetto. Sono questi i diritti conculcati, l’elezione del Csm è la punta dell’iceberg, qualcuno pensa che fatta la riforma il problema sia risolto”

Anche questa è una vecchia storia, sembra irriformabile
Ma quand’è che ci si renderà conto di ciò? La politica ha perso il rapporto col corpo sociale e ha scoperto questo problema quando un trojan ha sfiorato le stanze dei vertici istituzionali. Occorre una semina trentennale perché tale è stata la semina di segno diverso che ci ha indotti a pensare che, ad esempio, conoscere il contenuto delle intercettazioni penalmente irrilevanti sia utile per lumeggiare il lato oscuro della politica. Questa è barbarie. Per 30 anni c’è stato uno slittamento che noi vediamo a monte e non a valle. Altro esempio, l’impatto delle confische o delle interdittive sono dotati di un’afflittività molto superiore alle stesse pene. Il tema richiede un’opera di rieducazione civile”

A partire dai giornalisti?
Non direi, il giornalismo è subalterno a questo sistema, servirebbero scuole giuridiche e di pensiero rinnovate e profonde. Quanto all’abuso dei diritti cui faceva riferimento il fenomeno è uguale e contrario perché si fonda sull’illusione che i diritti non abbiano un prezzo: invece tutti i diritti ce l’hanno, tutti si pagano, c’è sempre qualcuno che li paga. Questo è stato il grande limite della cultura “progressista” e anche di una certa destra liberale individualista, entrambe non hanno tenuto conto del prezzo da pagare”.

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