Che fine ha fatto la tanto sbandierata “autonomia“? Due referendum – quello lombardo e quello veneto – hanno mostrato che c’è una larga (larghissima in Veneto) fetta di cittadini che la richiede. Un’altra Regione, l’Emilia-Romagna, s’è accodata nella richiesta di maggiore autonomia. Il governo gialloverde, appena insediato, aveva promesso che sarebbe stata fatta entro l’anno. Un ministro, Erika Stefani, è a capo di un dicastero che ne riporta il nome anche nel titolo (“per gli Affari Regionali e le Autonomie”). Eppure, che fine ha fatto l’autonomia?
Ieri è apparsa su Libero un’intervista alla stessa Stefani che, se non era un de profundis, poco ci mancava. Il ministro arrivava quasi a minacciare un ricorso alla Corte Costituzionale. Spiegava Stefani:
«La materia è complessa e di rango costituzionale, visto che va a incidere sull’impianto dello Stato, io però ho chiuso i tavoli tecnici già a settembre, il 2 ottobre ho presentato al governo la bozza d’intesa per il Veneto e il 22 ho depositato quella per la Lombardia».
Il problema, proseguiva il ministro, è che ogni dicastero ha voluto prendere visione del testo prima che fosse consegnato al ministero dell’Economia che ha il compito di quantificare «i soldi che spettano a ogni Regione per ciascuna funzione».
E qui si arriva al punto. Perché se la maggior parte dei ministeri ha inviato le sue valutazioni, alcuni non lo hanno fatto. Quali? «Salute, Ambiente, Giustizia. E poi da Lavoro e Sviluppo Economico, i dicasteri di Di Maio». Cioè tutti i ministeri guidati dai pentastellati: Salute, Giulia Grillo (M5s); Ambiente, Sergio Costa (fortemente voluto da Di Maio); Giustizia, Alfonso Bonafede (M5s).
A parole, il M5s è favorevole all’autonomia. Lo ha ribadito, anche di recente Di Maio: «L’autonomia al Veneto va concessa al più presto, senza se e senza ma. È stato fatto un referendum e quel voto va rispettato»
Questo, però, appunto, a parole perché, stando ai fatti, come ha detto Stefani a Libero, e come raccontano diversi parlamentari della Lega, il M5s gioca sporco e fa di tutto per rimandare alle calende greche il provvedimento.
Di certo, la questione preme più alla Lega che ai grillini che, anzi, avendo il proprio bacino di voti in Meridione, temono un contraccolpo in termini di consenso. Al Nord, il sentimento è agli antipodi. Se il governatore veneto Luca Zaia non perde occasione per parlarne, anche il più morbido Attilio Fontana è tornato ultimamente sulla questione che, come sanno i lettori di Tempi, ha comunque sempre indicato come una sua priorità:
«In fondo è semplice capire cosa andrebbe fatto. Tecnicamente andrebbe approvato in Consiglio dei ministri un accordo che già c’è. Il Movimento 5 stelle ha mostrato un po’ di diffidenza, è vero, anche se ho registrato alcune aperture da parte del ministro Lezzi. Ma ora è tempo di scegliere: la facciamo sì o no?”.
Le resistenze al Sud sono forti, come testimoniato anche dal recente appello di intellettuali che sul Mattino di Napoli hanno firmato un documento per fermarla. Più volte è stato ribadito che l’autonomia non è “contro il Sud”, ma sul quotidiano partenopeo si parla apertamente di una riforma che aprirebbe le porte alla «secessione dei ricchi».
Finché la discussione rimarrà su questi binari e non si baserà invece sui numeri e i dati che ci mostrano gli sprechi del Meridione e l’incapacità dei suoi amministratori di “far funzionare” le Regioni sul modello di quelle del Nord, per l’autonomia non ci sarà mai spazio. D’altronde, i grillini questo lo sanno benissimo: il reddito di cittadinanza serve esattamente a mantenere lo status quo.
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