Non solo quelle all’Ucraina, da settimane l’Europa è un grande mercato di armi

Sistemi di difesa, missili, cacciabombardieri. Gli affari della (neutrale) Serbia con la Cina e quelli della Turchia con Russia, Polonia e Kiev sotto lo sguardo degli Stati Uniti

Tutti a discutere delle armi che i paesi della Nato inviano al governo ucraino, ma molto interessanti sono altri contratti e altre spedizioni di armamenti in paesi europei che stanno prendendo corpo in queste settimane.

La posizione della Serbia tra Cina, Nato e Russia

È notizia di questi giorni che alla parata militare del 30 aprile scorso presso l’aeroporto militare di Batajnica la Serbia ha fatto sfilare il sistema di difesa antimissilistica FK-3, basato sui missili terra-aria HQ-22, arrivati freschi freschi dalla Cina all’inizio dello stesso mese. La Serbia acquista armamenti sia da paesi occidentali che da russi e cinesi, come dimostra la presenza alla sfilata di missili francesi, elicotteri Airbus, droni cinesi e Mig-29 russi. Ma è noto che Gli Stati Uniti avevano consigliato alla Serbia di non acquistare il sistema di difesa aerea dalla Cina. La consegna del sistema missilistico FK-3 ha spinto diversi paesi occidentali, e in particolare la Germania, ad avvertire Belgrado che si aspettava che il paese balcanico allineasse la sua politica estera con quella dell’Unione Europea se avesse voluto mantenere le aspirazioni di entrare nel blocco un giorno.

La Serbia ha votato all’Onu le varie mozioni di condanna dell’operazione militare russa in Ucraina, ma non ha aderito ai pacchetti di sanzioni economiche. In occasione della parata del 30 aprile il presidente Vucic ha confermato che la Serbia intende rimanere un paese neutrale per quanto riguarda le alleanze militari. Il governo tedesco considera i Balcani come una regione in cima alla lista delle priorità di politica estera di Berlino. Un primo segnale in questa direzione è stata la nomina del deputato del partito dei Verdi Manuel Sarrazin a rappresentante speciale del governo nei Balcani occidentali.

La cooperazione tra Pechino e Belgrado

La Cina è presente in Serbia con attività sia di cooperazione economica che militare, sulla base di un memorandum di partenariato strategico del 2013 (Belt and Road Initiative) e di un protocollo di collaborazione militare del 2019, che prevedeva la fornitura di droni e di sistemi antimissilistici da parte di Pechino a Belgrado. Ora che questi armamenti sono arrivati il debito della Serbia verso la Cina per spese militari è salito dai 118 milioni di euro di dieci anni fa a 1,1 miliardi; il debito per realizzazioni infrastrutturali sarebbe invece pari a 14 miliardi di euro.

Sono stati finanziati i settori dell’energia, delle rinnovabili, dell’acciaio, dell’industria mineraria e delle tecnologie della comunicazione. Huawei ha aperto un centro di sviluppo e innovazione a Belgrado, che le ha permesso di installare nella capitale una rete di telecamere di sicurezza dotate di un sistema di riconoscimento facciale, di costruire una “città intelligente” a Nis e di contribuire alla gestione di un data center a Kragujevac.

Da chi compra le armi la Turchia

Negli stessi giorni è arrivata la notizia che la Turchia potrebbe acquisire una seconda fornitura del sistema di difesa aerea S-400 dalla Russia. Ismail Demir, a capo della Presidenza delle industrie della difesa (SSB), parlando all’emittente pubblica TRT ha affermato che l’acquisto del secondo lotto del sistema di fabbricazione russa era sul tavolo sin dall’inizio. L’acquisto di questo sistema, com’è noto, ho provocato una grave crisi all’interno della Nato, di cui la Turchia fa parte. L’acquisto di sistemi di difesa aerea S-400 da parte di Ankara, la cui prima consegna è stata effettuata nel luglio 2019, è da tempo elemento di contesa tra la Turchia e gli Stati Uniti, che per ritorsione hanno espulso Ankara dal programma di sviluppo di caccia F-35, benché i turchi fossero disposti ad acquistare ben 100 esemplari del costoso cacciabombardiere.

Nel 2002 la Turchia aveva deciso, insieme ad altri paesi della Nato, di acquistare l’F-35 e cinque anni dopo aveva raggiunto un accordo per partecipare alla sua produzione: una manna per le industrie turche. Dopo l’esclusione dal programma, la Turchia aveva protestato e chiesto il rimborso del pagamento di 1,4 miliardi di dollari. La tensione era rapidamente salita: Washington sosteneva che la fornitura degli S-400 sarebbe stata utilizzata dalla Russia per ottenere segretamente dettagli riservati sugli F-35, e che erano incompatibili con i sistemi Nato.

A chi vende le armi la Turchia

La Turchia insisteva sul fatto che gli S-400 non sarebbero stati integrati nei sistemi Nato, che non rappresentavano una minaccia per l’alleanza e che Ankara aveva dovuto acquistarli perché Washington si rifiutava di fornirle missili Patriot. Gli Usa  hanno sanzionato funzionari dell’industria della difesa turca, incluso lo stesso Demir, e minacciato misure ancora più dure. Recentemente però il Dipartimento di Stato ha chiarito che non è contrario alla vendita alla Turchia di cacciabombardieri F-16.

È molto intrigante il fatto che la Turchia che acquista sistemi di difesa antimissilistica dalla Russia sia anche il paese che fornisce droni da combattimento ai nemici giurati di Mosca: dopo aver rifornito l’Ucraina con droni Baraktyar TB2 che stanno creando grandi problemi alle forze corazzate russe, le industrie e le forze armate turche stanno finalizzando la spedizione dello stesso modello di drone da combattimento alla Polonia, che li aveva ordinati nel maggio 2021 (4 lotti di 6 velivoli ciascuno) e che li potrà schierare in assetto di combattimento nell’autunno di quest’anno. Il TB2 può imbarcare fino a 150 chili di armamento distribuiti su 4 punti d’attacco: mini bombe a guida laser MAM-L, missili anticarro UMTAS e razzi Cirit da 70 mm prodotti dalla turca Rocketsan.

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