Ancora sull’unità in politica (con arrabbiatura)

Caro direttore, ho seguito, con grande interesse, il dibattito pre e post elettorale che si è svolto su Tempi, con particolare riferimento alle elezioni lombarde.

Mi ha colpito molto quello che si è detto intorno alla questione “dell’unità”, con particolare riferimento a quei candidati che traggono ispirazione dall’esperienza di Comunione e Liberazione e che si sono presentati in diverse liste e diversi schieramenti.

A fronte di ciò, qualcuno ha rimpianto i bei tempi andati, qualcun altro ha invocato una maggiore oculatezza nella strategia delle candidature, il tutto avendo come sottofondo il mito dell’unità.

Che cosa è e cosa vuol dire unità? E poi, siamo sicuri che l’unità nelle scelte politiche (anche con riferimento alle candidature) sia un valore assoluto? Ormai, sono diversi lustri che non c’è più un partito che accolga tutte le nostre istanze e le faccia proprie. In questo senso, credo che sia una ricchezza il fatto che tanti “amici” abbiano deciso di mettersi in gioco portando la propria sensibilità e la propria esperienza in quei partiti che più li rispecchiavano (solo su una cosa sono d’accordo: solo il centro destra può essere la nostra casa, tuttavia il centrodestra ha diverse sfumature).

Ma torniamo alle domande: che cosa è l’unità? L’unità è un valore in sé? Ho letto tra gli interventi, tante belle parole, ma molto, molto astratte. In concreto, infatti, come si vuole attuare questa unità? Nessuno lo sa. Tanto che chi la propone o utilizza verbi impersonali “si dovrebbe, si potrebbe” (chi è il soggetto?) oppure fa riferimento ad una fantomatica “compagnia” la quale arriverebbe addirittura a decidere se “mi candido o non mi candido”. Ok, tutto molto bello, ma concretamente questa compagnia come si declina? È un direttorio? È un raggruppamento? Chi vi è al vertice? Chi decide cosa si fa, che linea si prende, chi appoggiare o chi non appoggiare? Mi sembra tutto molto astratto.

Infine, direttore, mi consenta tre considerazioni:

1) seguendo la campagna, mi sono imbattuto nello spaesamento di tanti elettori, che avrebbero preferito vedere tutti gli “amici” sotto un’unica bandiera. Perché questo? Perché così non dovevano scegliere, non dovevano stare troppo a pensare. Trovare una diversità di vedute li ha costretti a dover scegliere. Li ha costretti a vagliare e giudicare, li ha costretti a non avere il pacchettino pronto;

2) a chi serve in fondo questa unità? A volte si ha quasi l’impressione che sia desiderata da determinati centri di interesse, per poter fare lobbing: un blocco omogeneo di consiglieri è sicuramente più facile da gestire, rispetto a tante teste, sparse in diversi partiti;

3) guardando i numeri di preferenze espressi in assoluto, siamo così sicuri che se anche fossero stati tutti candidati sotto l’egida di un’unica bandiera sarebbero stati eletti, con una grande festa dell’unità? I numeri ci dicono, impietosamente, che sulla scena pubblica contiamo veramente poco (tra l’altro quando c’era “il partito unico” sul collegio di Milano, tra “i nostri amici” ne veniva sempre eletto solo uno).

In conclusione, l’unità, come proposta nel dibattito scaturito sul suo giornale, sembra essere l’espressione di un egocentrismo, più che un metodo di lavoro proponibile a chiunque e dunque capace di stare con tutti. L’unità vera, invece, non è solo formale, non è solo stare tutti nello stesso posto, non è creare un (piccolo) sistema di potere, ma è far fruttare il terreno comune da cui si parte (quel sistema di valori e principi non negoziabili richiamati da Benedetto XVI nel suo discorso al Ppe del 30 giugno 2006), rispettando la storia, l’esperienza e la sensibilità di ciascuno. In questo senso la diversità diventa una ricchezza e paradossalmente diventa il collante di una nuova unità (con radici comuni camminiamo insieme arricchendoci l’un l’altro).

La lascio con una domanda: perché rivendichiamo la libertà per tutto (giustamente), tranne che per le persone di volere fare politica, tanto da considerare alcuni tentativi più degni di altri? Lasciate(ci) liberi di fare politica, senza ingabbiarci in vecchi e stantii schemi che appartengono ad un passato che non esiste più e magari cerchiamo di avere stima di chi decide di fare politica, soprattutto partendo dal basso.

Cordiali saluti.

Giovanni Capizzi

Lei mi fa arrabbiare. Non faccio parte né di centri di interesse, né di lobby quindi non mi viene in tasca nulla da nessun grande (o piccolo) centro di potere. L’unità non è un mito, è un fatto: o c’è o non c’è. Io penso che sia meglio che ci sia “prima”, non “dopo” per ragioni sia ideali sia pratiche, che non sto qui a ripetere per l’ennesima volta.

Ho così stima di chi fa politica che: a) ho permesso a chiunque me lo chiedesse di spiegare su Tempi i motivi per i quali si candidava. Non ho sollecitato nessuno, non ho cambiato una virgola delle lettere arrivate; b) ho  dato la mia disponibilità gratuita e il mio tempo per moderare dibattiti a favore di chiunque me lo chiedesse durante questa campagna elettorale, senza guardare a quale partito appartenesse; c) ho scritto quel che penso prima del voto, ma l’ho pubblicato solo dopo perché volevo che fosse molto chiaro che per me non è una questione di opinioni (nemmeno delle mie, trascurabilissime) o di sequela pedissequa alle indicazioni di un “direttorio” (ma, poi, quale? Ma perché parla con questo disprezzo di chi si confronta con gli altri per capire?), ma di riconoscimento di ciò che davvero conta nella vita, e quindi anche in politica. Questo discorso l’ho fatto personalmente a ognuno dei candidati con cui ho avuto occasione di confrontarmi prima del voto.

Stia tranquillo che io la lascio libero di dire, fare e votare chi vuole lei. Ma l’accusa di egocentrismo gliela ribalto: è più egocentrico Tempi che pone un problema – e nel modo disinteressato in cui l’ha fatto – o lei che fa quel che vuole e poi viene a farci la predica, questa sì, molto astratta? Cordiali saluti.

***

Caro direttore, mi pare che le lettere di Peppino Zola, Raffaele Cattaneo e anche del buon Pippo siano un po’ delle “giustificazioni” ovvero voto così, mi candido così perché ho questi valori e appunto come dice lei «ho la sussidiarietà più lunga». Forse mi domanderei come mai siamo arrivati a 7 candidati in liste diverse (peraltro anche alle precedenti elezioni regionali vi era un poco di dispersione e “tecnicamente” è successo come a queste elezioni, ovvero solo due persone con un bagaglio di valori simili o appartenenti alla stessa storia sono state elette). Poi la bontà di Mr Apollo da Lozza ha fatto sì che allora tal Cattaneo Raffaele diventasse assessore (e per fortuna!).

Mancano dei padri anche in questo campo a mio avviso; perché se qualcuno avesse valorizzato qualche giovinotto precedentemente non si sarebbe arrivati a questa situazione… o debbono sempre abbassare la testa di fronte al capo bastone di turno… Di Capo ne basta uno e si dovrebbe partire da uno… peraltro dopo un po’ anche io mi sono sentito di cambiare voto e ho votato quelli che il buon Peppino si è dimenticato di nominare… ma ci sta! Buon lavoro e frattanto saluti.

Massimiliano Panizza

Grazie. Il “discorso sull’unità” Tempi lo fa da almeno dieci anni. Ma il passato è passato, e noi non facciamo l’esame del sangue a nessuno. Qui si tratta di capire, e confrontarsi, su cosa convenga fare nel presente, altrimenti la prossima volta ci saranno non 7, ma “sette volte sette” candidati.

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