«Vedo andare via persone. E tornare bare». L’infinita tragedia della Nigeria

Il documentario di Riccardo Bicicchi racconta le azioni devastanti della setta integralista Boko Haram che attanaglia il nord del Paese. Seminando vittime e tensione tra i cristiani, e non solo.

«Vedo andare via persone. E tornare bare». Le parole di un sacerdote africano provano a raccontare quella strage che mel nord della Nigeria continua silenziosa, trovando poco spazio sui giornali europei. Non basta il sorriso della gente africana a rendere dolce la vita di questa regione, calda e povera, ora piombata sotto una cappa di tensione che rende difficile ogni cosa: qui c’è un vento che soffia odio. È quello della setta Boko Haram, parola che genera paura tra la gente della ragione, cristiani e non.

CONTRO I CRISTIANI, MA NON SOLO. Per raccontare la storia di questo dramma è partito lo scorso gennaio Riccardo Bicicchi, documentarista toscano mosso dall’interesse di scavare sotto quelle poche notizie che arrivano in Italia dall’Africa. (Qui il documentario prodotto per il sito del Corriere della Sera). Due mesi trascorsi risalendo dal delta del fiume Niger fino all’interno più ostico, passando dall’apparente tranquillità delle coste sud ai venti di guerra che attraversano il nord. Perché è una vera guerra quella che sta portando avanti il gruppo integralista islamico: azioni notturne nei villaggi, bombe nelle chiese, biltz di casa in casa cercando i giovani che hanno nomi inglesi, colpire chi possa avere qualcosa di riconducibile al mondo occidentale e, per questo, sia sacrilego.
I primi obbiettivi sono le comunità cristiane, ma non solo: «Anche gli stessi musulmani hanno le loro vittime da piangere: nel progetto degli integralisti chi non si allinea a Boko Haram e rimane moderato è da colpire», spiega Riccardo a tempi.it. «Mi ha colpito vedere che ad Abuja sono costretti a chiudere al venerdì le strade nel raggio di un chilometro attorno alla moschea: temono attacchi al cuore dell’islam moderato».
Così la follia dell’integralismo armato minaccia anche quei passi che le comunità religiose stanno tentando di fare: specie lì ad Abuja, centro geografico del Paese, dove è nato da qualche tempo un movimento, “Women of Faith”. A proporlo l’arcivescovo cattolico, John Onaiyekan, insieme al Sultano del Sokoto, massima autorità sul fronte musulmano: sono donne di diversa confessione religiosa unite dal desiderio di promuovere il dialogo e la pace, attraverso, ad esempio, volantinaggi, incontri e seminari.

NERVI A FIOR DI PELLE. Ma è a nord che la situazione è ancora più difficile. I frutti della violenza di Boko Haram si colgono sulle facce della gente: sono paura e indeterminatezza. «Non ho mai avuto così tanta paura e tensione addosso come quando mi sono trovato lì», racconta Riccardo, che anni fa si è trovato anche a Kabul, in Afghanistan, quando i giornalisti europei erano vittime di rapimenti.
«C’è un episodio che spiega bene lo stato di inquietudine che aleggia tra la gente: stavo facendo delle riprese da una collinetta. Spazi larghi, aperta campagna, la telecamera appoggiata al trepiede. Arriva una moto: i due passeggeri non appena mi vedono saltano giù in corsa, correndo a nascondersi dietro ad un sasso. Temevano che stessi usando un’arma, o qualcosa di simile».

LA CHIESA A MAIDUGURI. La cosa che più ha colpito però Riccardo è che in tutto il clima d’ansia che attanaglia la regione c’è una presenza che colpisce per la sua strenua resistenza, sebbene sia uno degli obbiettivi principali degli integralisti di Boko Haram: è la Chiesa. Specie a Maiduguri, città di un milione d’abitanti non lontana dal confine col Ciad.
Qui le parrocchie sono scese da 52 a 2 soltanto, «ma i preti non se ne vanno. E in tanti ci tengono a dirtelo: i rappresentati religiosi di altri credi sono stati costretti ad andarsene, ma i cattolici no, resistono». C’è una figura in particolare che colpisce, per fedeltà ed eroismo, è il vescovo Oliver Dashe Doeme: «Secondo me è il simbolo di cosa deve essere la Chiesa in queste terre», chiude Bicicchi, spiegando cosa lo ha stupito di quel porporato: esce senza scorta, ha un’assistente che gli fa da autista, gira per la diocesi ben riconosibile nei suoi vestiti. Davanti a lui non ti vengono in mente l’inquietudine e la paura della città: «Come faccio ad andare nelle città – ha spiegato a Riccardo – a dire alla gente di resistere, pregare, aver fiducia nel futuro se mi presento con dieci soldati ed un pick up blindato?»

@LeleMichela

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