Una fraternità è come un matrimonio: quello ideale non esiste

Caro padre Aldo, appartengo a un movimento cattolico da 20 anni e sono stanco di ascoltare sempre le stesse parole, gli stessi richiami. Mi sento annegare dalla schematicità che viviamo. Si parla di tutto, si riprende la catechesi ma è come un ripetere sempre le stesse parole. Il nostro ritrovarci è diventato un peso, fino al punto che quando si avvicina il giorno dell’incontro provo un’ansia paragonabile a quella di una donna quando a una certa ora del giorno sa che torna quel rompiscatole di suo marito.
Tutto è scontato e l’entusiasmo del principio è solo un ricordo come nelle favole. Non so che fare. Continuare con questo peso o smettere e cercare un altro posto nel quale esista un respiro differente?
Beppe

Amico, sei tu che devi darti la risposta e questa dipende da quello che cerchi o vuoi dalla tua vita. Credo che non esistano fraternità “ideali” come non esistono matrimoni “ideali” nei quali tutto l’ingranaggio funzioni perfettamente. La fraternità è sempre una grazia ed è il frutto di una drammaticità che una persona vive giocandosi totalmente nella realtà. E in questo lavoro, senza alcun dubbio, trovi sempre qualcuno che vive la stessa posizione. La fraternità è un’esigenza che nasce dalla passione umana per la gloria di Cristo.

È triste perdere la vita frenandoci infantilmente ai limiti coi quali dovremo fare i conti fino alla morte. Il limite, per chi è serio con la propria umanità, mi obbliga ad andare a fondo del perché sto con te. E l’unica ragione è questa: sia io che te abbiamo bisogno di Gesù. È la stessa cosa che avviene in un matrimonio dopo un mese, terminata la luna di miele. La lettera che segue è la risposta più affine al tuo interrogativo.
È stata pubblicata sull’Observador Semanal da una giornalista che, per la prima volta, ha partecipato alla mia fraternità composta da due sacerdoti, tre coppie sposate, una suora (Sonia), una giovane donna (Andrea), un ragazzo di strada e un vecchio di 78 anni che vive con me. La fraternità nasce lì, dove perfino una persona sola vive intensamente la realtà con la coscienza che, come afferma san Paolo, «la realtà è il corpo di Cristo».
paldo.trento@gmail.com

Uno degli aspetti più evidenti della “spiritualità” cristiana è che è fatta di carne e ossa. Questo si impara vivendolo, altrimenti l’incarnazione di Cristo è una specie di bella sinfonia notturna ispirata a lontane e luminose stelle che non riescono a illuminare la nostalgia dell’uomo presente. Che bello, Dio si è fatto carne! Ma in questa notte, in quest’oscurità, chi calma il cuore dell’uomo che anela? Se Dio non si fa presente in ogni giorno, in ogni imbrunire, a ogni fine di giornata, la musica si diluisce in pensieri, in progetti, in pretese che oscurano il cuore.
Una possibilità d’incontro alla fine di un giorno che è carico del proprio peso è la cena. Due preti condividono casa, missione e memorie del passo di Dio in un paese che non li ha visti nascere. Aprono la porta e accendono questa fiamma misteriosa che ispira altri, “tanti altri”, ad aprirsi alla vita raccontando le proprie esperienze. 

Una bambina dorme nel sofà dietro i libri degli ospiti, che proteggono i suoi sonni con pagine strapiene di testimonianze di quello che chiamiamo esperienza umana. Lo imparerà più tardi, la tradizione copre, protegge, senza violentare il suo itinerario. Sua madre protegge, al suo fianco, sul divano, il sonno e il cammino che vuole lasciarle in eredità.
Suo padre sta aiutando a preparare il tavolo e il menù. Alcuni sposi si siedono insieme vicino alla bambina e, mentre aspettano i padroni di casa, condividono con gli altri il loro andare e venire di genitori di quattro figli. Lei cura malati, lui l’accompagna a questo appuntamento, forse come testimone di quello che è già successo prima, e che succederà anche oggi.

La notte è fredda, ma il contatto umano nella casa la rende accogliente. Arriva la consacrata, agile e laboriosa, ornata di notizie dei suoi protetti e di medicine per i suoi amici preti. Conserva, dal silenzio del chiostro di altri tempi, quel delicato contemplare che sa percepire la luce e i suoni di ogni essere. Da anni accompagna e vive in questo posto un’avventura caritatevole ispirata dalla Provvidenza. Non possiamo dire che siamo amici affezionati, quasi niente sappiamo gli uni degli altri. Ci muove, tuttavia, un affetto condiviso.
Nella notte, speriamo di vibrare con la stessa sintonia. Continuano ad arrivare persone di diverse origini. La giornalista europea che approfitta delle sue ferie per visitare i suoi amici di quest’angolo mediterraneo e caldo del mondo. I suoi parenti glielo chiedono: che senso ha passare le ferie lontano dal mare o dalle montagne? Lei sorride, non conoscono la potente attrattiva della gratuità in azione. Forse è venuta a verificare se è ancora possibile vivere così.

L’ingegnere e il prete
L’ingegnere gestionale che spiega e traduce. Quindi commenterà come la nostalgia può trasformarsi in depressione e questo malessere in una grazia. Si avvicina il padre coi suoi occhi azzurri molto aperti. Presenta i suoi amici, scruta i suoi figli. Dietro viene il suo amico prete, scherzando e mettendo a punto i dettagli per la cena. Ritornano a casa a cenare, a prendere le medicine, a riposare dopo un giorno di duro lavoro.
Prima hanno aperto la porta a questa compagnia. Viene anche una coppia e con loro si chiude la porta. Lei ha dubitato prima di accettare l’invito: i figli, la rara malattia che l’aggredisce, la stanchezza, sembrano motivi sufficienti per il rifiuto, ma è arrivata: si accomoda sorridendo. No, non siamo determinati dalle difficoltà.

Prima di tutto la preghiera. Ringraziamo e chiediamo. È il vecchio segreto dei cristiani. Nel lungo tavolo, c’è posto per tutti. Ci serviamo e conversiamo. Il vino è gradevole e la notte continua la sua melodica composizione notturna. Una delle donne racconta che, per aiutare suo marito nel mantenimento della casa, davanti alla sorpresa dell’arrivo di tre gemelli in famiglia, accettò di fare la lavandaia dell’ospedale, malgrado avesse il titolo di infermiera. Oggi dirige la squadra di infermieri della Clinica di pazienti terminali fondata dal padre e ringrazia per l’educazione che le danno, perché non c’è niente di scontato in quello che fa per crescere professionalmente.

Mentre sua figlia minore mangia una empanada, una coppia ricorda come si allontanarono dalla Chiesa e vollero costruire la loro storia da soli. Benché il parroco si fosse arrabbiato perché lui aveva abbandonato l’esperienza vocazionale quando aveva conosciuto la sua futura moglie, alla fine chiese loro di non sposarsi in un’altra parrocchia, come un padre che chiede ai suoi figli di ritornare a casa. Ma l’esperienza non si esaurì con quel gesto di riconciliazione, il matrimonio e il battesimo della sua prima figlia avvennero nello stesso giorno.
Lui lasciò un lavoro meglio rimunerato per un lavoro di autista di ambulanza, di factotum nell’opera. «Non mi pento, sono grato, qui tutti i giorni imparo qualcosa di nuovo», dice. E sua moglie ricorda che anche la sua vita è legata all’opera nella quale suo marito è protagonista. «Vogliamo che le nostre figlie siano educate in questa apertura e gratuità», sospira. «Lo chiediamo a Dio perché qui la priorità è per i poveri».

Accanto ai suoi due amici sacerdoti, la laureata affronta una sfida che la coinvolge più da vicino che è l’accompagnare il dolore di altri; la malattia segna ora la sua propria vicenda personale. Lei l’affronta con suo marito e i suoi quattro figli piccoli. Quando sei tu che hai bisogno di tutto, sorge la domanda sul senso delle cose.
Nella sua vita le è già successo prima: una Presenza che salva una bambina fragile dall’inconsistenza, attraverso l’amicizia dei sacerdoti e di altri amici che come lei riferiscono a Cristo tutto quello che succede loro: studi, musica, fidanzamento… Suo marito ride, ricordano e comprendono, la vita è stata sempre dentro, non fuori dall’esperienza cristiana, è stato sempre il Mistero quello che ha guidato i loro passi.

Dal marketing ai santini
Senza che fosse stato nei suoi piani, dopo vari anni all’estero con un buon lavoro, la specialista in commercio e marketing racconta che è finita a vendere santini nei corridoi di un centro commerciale e a fare l’auditing di una parrocchia. «Ero depressa, triste, molta gente che ha tutto vive con un vuoto dentro»; nell’opera ogni giorno a giocarsi è la propria libertà, sorgono gli inconvenienti, le incomprensioni delle persone che non vivono questa esperienza. Vale la pena? Fino ad ora sì, perché tutto è sorprendente nell’azione di Cristo e nel rapporto con lui attraverso gli amici che ha incontrato.
Col suo lavoro nell’opera ha ritrovato il sorriso, il risveglio della sua persona che non si lascia schiacciare dalle circostanze. La giornalista europea esprime di volta in volta il suo stupore. Ha viaggiato molto, conosce varie realtà, ma questa notte ha per lei un fascino particolare. Ha preso un rosario e lo sgrana senza smettere di ascoltare la sua vicina che traduce. Sembra vagliare tutto alla luce delle sue domande.

È tardi. Andiamo via. Ringraziamo per l’incontro. La notte è effusione di musica e forza. Che interessante! A volte la realtà si respira con aria di festa. È evidente che la contentezza che è sorta non ha nulla a che vedere con nessuna pretesa, nessuno si è inorgoglito della sua capacità di vivere il suo cammino esistenziale. Al contrario, tutti abbiamo riconosciuto che dipendiamo. Tutto ciò diventa più palese davanti alla grotta della Vergine. Cara Madre, prega per noi che siamo peccatori.
Carolina Cuenca

 

36/2013

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