Un uomo che visse all’altezza dell’Ideale: Charles Péguy

Breve resoconto d’un frammento di lezione.

Si legge il canto XXVII del Purgatorio: il sole tramonta, perciò Dante e le sue due guide, Virgilio e Stazio, si sdraiano perché di notte lì non si può camminare. Il poeta paragona la scena al riposo del mandriano e delle sue bestie: gli antichi saggi sono i pastori e lui è, più modestamente, la pecora. E che fanno le pecore? Se ne stanno ruminando manse e, sì ruminando, si addormentano.

Qui bisogna spiegare che la ruminatio, masticare e rimasticare lo stesso cibo, è parola che i Padri della Chiesa usavano per descrivere il metodo di appropriazione della Scrittura.

Un esempio moderno di istigazione alla ruminatio? Charles Péguy (gennaio 1973 – settembre 1914).

Attingo a piene mani dalla memoria del prezioso libro di Pigi Colognesi La fede che preferisco è la speranza, Rizzoli editore, prima e, a quanto so, unica biografia italiana dedicata al grande poeta francese. Una delle sue prime opere, scritta mentre frequentava L’École Normale di Parigi (cui accedeva un ristrettissimo numero di studenti, la futura classe dirigente francese, dopo un esame durissimo, che Péguy superò al terzo tentativo) si intitola Giovanna d’Arco (Jeanne d’Arc, drame en trois actes: Domrémy, les Batailles, Rouen, publié sous le pseudonyme de Marcel et Pierre Baudouin, 1897; da non confondere con il successivo Mistero della carità di Giovanna dì’Arco). Essa è scritta in modo da favorire la virtuosa pratica suggerita dai Maestri medievali: si tratta di centinaia e centinaia di fogli in cui trova spazio un dramma, mai rappresentato interamente (ci volevano circa dieci ore per farlo), in cui si alternano pagine completamente bianche, pagine scritte e pagine che riportano una sola battuta, una frase, un verso. Péguy, allora socialista convinto e ateo, la pubblicò a proprie spese, volle che fossero riportati i nomi dei tipografi, correttori di bozze, legatori che lavorarono all’opera come lui che la scrisse, e si arrabbiò perché non riuscì a trovare i nomi degli operai che fabbricarono la carta e l’inchiostro che fu usato. Ne fece stampare 1000 (mille) copie e ne vendette 1 (una). Ma il nostro non si perdette d’animo: per la rivoluzione socialista, che doveva edificare la Città Armoniosa, ci voleva un giornale socialista, meglio, un vero giornale. Così fondò Les Cahiers de la Quinzaine, di cui fu autore, direttore, segretario e finanziatore squattrinato. Spendendo tutti i soldi che riusciva a racimolare, li tenne incredibilmente in vita, senza alcun provento pubblicitario (non voleva fare pubblicità) per 14 (quattordici) anni, dal 1900 al 1914, anno della morte, avvenuta a causa di una pallottola ricevuta durante la prima battaglia della Marna.

Si consideri che Péguy era sposato, aveva figli, e dunque una famiglia da mantenere, ma per l’Ideale si dà tutto, si attraversa tutto, si patisce tutto, anche la dolorosissima esclusione dai Sacramenti sofferta dopo la conversione al cattolicesimo, in quanto sposato solo civilmente (né la moglie avrebbe accettato un matrimonio religioso). Questo, e molto altro, fu Péguy.

L’impressione è che oggi occorrano uomini così, l’impressione è che senza uomini così non si va da nessuna parte. Ha ragione Papa Francesco a dire quello che dice.

Uomini così sorgono come figli dell’Ideale, e d’un Ideale che abbia la forma vissuta d’una visibile, gratuita e vera Amicizia.

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