“L’ultima cena” di Jeffrey Spector, recatosi a Zurigo con moglie, figlie e amici per suicidarsi

I timori di una eventuale paralisi e di perdere l'indipendenza hanno convinto l'amministratore d'azienda inglese ad andare in Svizzera, dove il suicidio assistito è legale

L’ultima cena con la famiglia e gli amici, una foto nel ristorante che ritrae tutti sorridenti la sera del 21 maggio, poi Jeffrey Spector, 16 ore dopo, si è suicidato. Una tragedia che non è arrivata come un fulmine a ciel sereno, perché tutti intorno a quel tavolo erano a conoscenza delle intenzioni dell’uomo inglese di 54 anni, sposato con Elaine (53) e padre di tre figlie. Spector per uccidersi si è recato con la famiglia a Zurigo il 20 maggio, dove in una clinica della Dignitas si è tolto la vita con l’eutanasia passiva, chiamata anche suicidio assistito.

«DOLORE DIVORANTE». La moglie e le tre figlie, nonostante abbiano cercato di dissuadere l’uomo, hanno fatto sapere di essere «in uno stato di dolore divorante ma come famiglia abbiamo sostenuto Jeffrey e rispettato la sua scelta al 100 per cento. Jeffrey ha terminato la sua vita con dignità, controllandola. Questo era il suo più grande desiderio». Jeffrey Spector, amministratore di una azienda pubblicitaria, ha cominciato a sentire un dolore alla schiena nel 2008. Dopo molte analisi ha scoperto di avere un tumore al midollo spinale. Una condizione non terminale, che però nel futuro rischiava di lasciarlo paralizzato. Piuttosto che vivere con il timore che questa eventualità potesse realizzarsi, Spector ha preferito il suicidio.

«CONTROLLARE LA MIA VITA». Prima di morire, ha rilasciato un’intervista a un giornale locale di Zurigo, riportata a stralci da Daily Mirror e Daily Mail, che ieri gli hanno dedicato la copertina. «Volevo controllare le ultime fasi della mia vita – ha detto – stavo bene ma la mia vita è stata ribaltata. La mia famiglia mi ha chiesto di ripensarci ma io ho insistito, pensando che fosse l’opzione meno peggiore, e di conseguenza la migliore per la mia famiglia nel lungo periodo». Spector sapeva che il tumore avrebbe potuto anche «stabilizzarsi, ma non voglio rischiare».

INDIPENDENZA. L’uomo ha contattato Dignitas nel 2010, quando ha iniziato a pensare al suicidio assistito, che in Gran Bretagna è illegale, così come è illegale aiutare qualcuno a suicidarsi, pena 14 anni al massimo di carcere. Spector dal 2008 aveva cominciato a perdere in parte il controllo delle mani e delle gambe, nonostante avesse cercato di limitare la crescita del tumore, che per la particolare posizione non era possibile operare. Il timore di una possibile paralisi lo ha spinto verso il suicidio: «Voglio essere in grado di bere una tazza di the e tenere il telefono in mano. Voglio poterlo fare da solo. Io sono una persona indipendente e credo nel diritto umano alla dignità».

FAMIGLIA CONTRARIA. Spector sa che molti «mi criticheranno ma nessuno dovrebbe giudicare un altro fino a quando non si trova nei suoi panni». La moglie e le tre figlie hanno cercato di dissuaderlo, invano: «Loro non erano d’accordo, ovviamente. Ma poi hanno accettato che avessi la mia opinione. Voglio che la mia famiglia viva bene. Voglio che vadano avanti. Se le loro cure avessero potuto farmi stare meglio, ok. Ma non sarebbe andata così».

«TROPPO PRESTO». L’immagine dell’ultima cena della famiglia viene da un filmato che un regista professionista ha realizzato, riprendendo la vita di tutti i giorni di Spector nelle sue ultime due settimane. Il video è stato fatto per le tre figlie dell’uomo (Keleigh, Courtney e Camryn), rispettivamente di 21, 19 e 15 anni. Una delle tre ragazze sembra non si sia recata a Zurigo con il resto della famiglia. Come dichiarato dall’uomo prima di uccidersi, «so che me ne sto andando troppo presto». Non è chiaro se la polizia di Lancashire, dove viveva l’uomo con la famiglia, aprirà un’inchiesta o se considererà tutto regolare.

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