L’ultima cena di Trimalcione. Rilettura non distratta del Satyricon alla ricerca di tracce (pagane) del Vangelo

Nell’opera dissacrante di Petronio c’è forse la prova che già ai tempi dei primi martiri l'annuncio di Cristo aveva cominciato a edificare una nuova civiltà a Roma

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Pochi mesi fa, Mondadori ha pubblicato Satyricon 2.0, una colta, a tratti divertente e spesso dissacrante rilettura di Gian Mario Villalta dell’opera di Petronio. Un romanzo dei nostri giorni che prende le mosse da Trieste e dal suo ambiente universitario e conduce in giro per l’Italia tre ricercatori in cerca di fortuna. Parodia disincantata ma neppure tanto lontana dal vero di una società in decadenza, quella dell’Italia del 2012, come il Satyricon era per il disfacimento degli anni di Nerone. Tra velleità critiche e abbondanti perversioni sessuali il filo del racconto si dipana con avventure erotico-gastronomico-letterarie a Bologna, a Roma e in Sardegna, tra inseguimenti di cinesi, antiquari e sette sataniche.

Chi si diverte a vedere il proprio paese descritto come un coacervo di ambizioni, di vizi e di imbrogli, ha pane per i suoi denti. Chi vuole specchiarsi nel cinismo o nella viltà dei personaggi, pure. Meglio Petronio; in lui almeno la lontananza temporale stempera il grottesco in un divertito sogno della fantasia.

E, rileggendolo, la memoria va alle pagine di Auerbach che lo riguardano, quelle pagine che insegnano a confinare nel comico ogni racconto del quotidiano nell’antica letteratura, dove la vita degli uomini del popolo non ha valore e dunque non è degna di essere scritta, dove i cambiamenti sociali sono solo frutto del destino. È il caso di Fortunata, la moglie di Trimalcione, di cui si parla nei capitoli 37-38, come di una accorta massaia delle enormi ricchezze del marito. La vivace descrizione di Petronio non sfugge ai limiti di una scrittura in cui solo gli uomini grandi hanno diritto di essere ricordati e celebrati: per coloro che non lo sono, la rappresentazione resta confinata al livello più basso della retorica antica.

Fino ai Vangeli. Anche questa novità prorompe da Cristo: da lui in poi la vita di tutti i giorni avrà il suo posto di rilievo nella scrittura, verrà riconosciuto il dramma che la pervade. Nello studio del critico ebreo-tedesco ciò è dimostrato attraverso il paragone tra questo passo di Petronio e l’episodio del rinnegamento di Pietro nel Vangelo di Marco. Una pagina indimenticabile, che strappa il racconto evangelico alla letteratura meramente religiosa e lo situa all’interno della grande produzione artistica, anzi all’inizio di una rivoluzione non solo letteraria: «La nascita d’un movimento spirituale nelle profondità della vita spirituale del popolo, che con ciò acquista un’importanza mai raggiunta nella letteratura antica. Questa storia contemporanea che si svolge entro una cornice quotidiana costituisce un avvenimento rivoluzionario nella storia del mondo, e in seguito diventa tale per ciascuno. Si rivela quale moto e forza storica perché in qualsiasi persona vengono esemplificati gli effetti della dottrina, della persona e del destino di Gesù» (Mimesis, il realismo nella letteratura occidentale, pp.50-51).

Ma Petronio riserva per i suoi lettori un’altra sorpresa, sulla quale da decenni si esercitano i critici, senza poter pervenire sinora, anche nelle più recenti ricerche, a una assoluta certezza: il suo rapporto con il più antico dei vangeli.

«E Gesù si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo» (Mc 14,3). La cosa suscita sconcerto tra i presenti per quello spreco, ma Gesù apprezza il gesto, anzi loda la donna per aver compiuto quell’atto d’amore generoso in previsione della sua sepoltura. L’episodio, secondo l’esegesi di Schlier, è il preludio della Passione.

Vi è in Petronio un altro vasetto di nardo, un’altra unzione, un’altra anticipazione della morte. Il contesto è la pantagruelica cena offerta da Trimalcione, liberto ricchissimo, ai suoi amici. L’ospite si fa portare vesti di purissima lana bianca preparate come suo sudario e ne fa saggiare la qualità ai convitati, dicendo di voler essere portato via in pompa magna, in modo che la gente gli mandi delle benedizioni. «Subito dopo aprì l’ampolla del nardo e ce ne unse tutti, e: “Mi auguro – disse – che da morto mi piaccia come da vivo”. Il vino, poi, lo fece versare nel recipiente apposito e disse: “Fate conto di essere stati invitati al banchetto per il mio funerale”» (Satyricon, 78). Tutti sono sbronzi e l’aria si fa irrespirabile. Ma la scena va avanti, con Trimalcione che si distende sul fondo del letto, simulando la propria morte, non senza aver prima ordinato ai suonatori una marcia funebre.

E il gallo cantò
Il nardo e il suo profumo, a parere di alcuni studiosi, sono la spia che il testo di Marco, circolante a Roma già sotto Nerone, è ben conosciuto da Petronio, tanto da venire parodiato a questo punto della sua opera. Ma non è l’unica citazione. Poco prima si legge: «Mentre diceva queste cose, un gallo domestico cantò. Turbato da quella voce, Trimalcione comandò che fosse versato del vino sotto la tavola e che anche la lucerna ne venisse cosparsa. Poi passò l’anello nella mano destra e disse: “Non senza ragione questo trombettiere ha dato il segnale; infatti o dovrà scoppiare un incendio, o qualcuno dei vicini dovrà morire. Lungi da noi! Per cui, chi mi porterà questo accusatore riceverà un premio”. In men che non si dica venne portato un gallo da una casa vicina, che Trimalcione ordinò venisse cotto in pentola» (Satyricon, 74). Qui il canto del gallo è visto come presagio di sciagura, mentre nel resto della tradizione greco-romana esso è l’araldo del giorno e della vittoria. Nel Vangelo il canto del gallo sottolinea, come Gesù aveva preannunciato, il rinnegamento di Pietro. Petronio denomina il gallo come index, ovvero, nel linguaggio giuridico, come l’accusatore, funzione che il gallo riveste nel racconto di Marco.

Un ulteriore episodio pare contenere richiami evangelici: una matrona di Efeso, avendo perso il marito, seguì il defunto persino nel sepolcro. Nello stesso tempo il governatore della provincia comandò che fossero crocifissi dei ladroni proprio accanto al sepolcro nel quale la matrona piangeva il recente cadavere. La notte seguente, quando il soldato che sorvegliava le croci affinché nessuno togliesse i corpi per seppellirli e notò un lume splendere tra le tombe e udì il gemito di qualcuno che piangeva, volle sapere chi fosse e che cosa facesse. Scese quindi nella tomba, vi trovò la vedova e giacque con lei non solo quella notte, ma anche il seguente ed il terzo giorno, tenendo certamente chiuse le porte del sepolcro. Ma i parenti di un crocifisso, come videro diminuita la sorveglianza, tirarono giù di notte l’appeso e gli resero sepoltura. E quando il giorno successivo il soldato vide una croce senza cadavere, atterrito dal supplizio raccontò alla donna quello che era successo. Ella disse allora di togliere il corpo del proprio marito dall’arca e di attaccarlo a quella croce che era vuota. Il soldato approfittò dell’ingegno della donna e il giorno dopo il popolo si meravigliò di come quel morto avesse potuto risalire sulla croce (Satyricon, 111-112).

La citazione di un governatore provinciale, dei ladroni crocifissi, della guardia sepolcrale e dei tre giorni nel sepolcro, e infine il tema del trafugamento del cadavere, un’accusa rivolta ai cristiani già da tempo, farebbero pensare a una parodia del racconto della morte e risurrezione del Cristo.

Un nuovo modo di scrivere
Un altro passo si presta a simile lettura: la presunta allusione all’eucarestia nelle parole di Eumolpo, alla fine dell’opera, che lascia i suoi averi a chi mangerà pubblicamente le sue carni dopo la morte (Satyricon, 141).

Saremmo dunque di fronte alla prima velata testimonianza non cristiana di Gesù e della sua Chiesa, redatta nel tempo in cui gli apostoli Pietro e Paolo predicavano e subivano il martirio nella capitale dell’impero romano?

La prudenza critica impone l’interrogativo. Ma certo alcune cose sono sorprendenti e, se le ricerche dimostrassero l’autenticità della dipendenza di Petronio da Marco, ciò sarebbe un segno di quanto presto il cristianesimo nascente avesse già pervaso non solo il popolo, ma anche gli strati colti di Roma. Oltre che far riflettere noi, tardi e distratti lettori, sulle pagine che ripropongono il momento culminante della vita di Gesù. Inizio della fede, inizio di un nuovo modo di scrivere.

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