Tutti preoccupati per Pannella: giusto. Ma non conta più l’autodeterminazione come per Eluana?

Scrive al Corriere della Sera Eugenia Roccella (Pdl): «Pannella è libero, perfettamente consapevole dei rischi che corre; perché dovremmo sentirci coinvolti?».

«Caro direttore, Pannella forse è in pericolo di vita. C’è chi lo prega di smettere lo sciopero della sete, chi accusa i politici di indifferenza, chi invoca alimentazione e idratazione forzate. Tutti vogliamo che Marco viva, e non per la causa che difende (su cui posso essere d’accordo, ma non è essenziale), non perché lui è un protagonista della nostra storia (se fosse uno sconosciuto non cambierebbe nulla) ma soltanto perché è un uomo, e ogni esistenza umana è unica. La sua battaglia, però, rivela una contraddizione profonda, un estremo paradosso». Scrive così il deputato del Pdl Eugenia Roccella oggi al Corriere della Sera sullo sciopero della sete di Marco Pannella per protestare contro lo stato illegale delle carceri.

NON CONTA L’AUTODETERMINAZIONE? Per Roccella «i radicali sono i portabandiera dell’assoluta autodeterminazione, fino a decidere della propria morte. Ma se così fosse, perché mai dovremmo preoccuparci per Marco? Pannella è libero, perfettamente consapevole dei rischi che corre; perché dovremmo sentirci coinvolti? (…) Se non ci fosse una cultura condivisa della vita a cui appellarsi, se un uomo che si lascia morire non fosse considerato uno scandalo che sollecita un sentimento collettivo di pietà e insieme di ribellione, Pannella potrebbe spegnersi nell’indifferenza generale. Insomma, se il favor vitae diventa secondario rispetto all’autodeterminazione individuale, ne segue che Pannella fa della sua vita quello che vuole».

PER ELUANA SÌ. Continua Roccella: «Eluana Englaro è morta disidratata perché lo ha stabilito un tribunale. In quel caso ha prevalso il criterio dell’autodeterminazione, benché utilizzato in modo ambiguo, visto che Eluana non era più in grado di esprimere la sua volontà, e non aveva mai lasciato nulla di scritto. (…) Forse dobbiamo ammettere che se distruggiamo il principio del favor vitae mettiamo in crisi il laico sentimento di fratellanza umana su cui si fonda una comunità solidale. Saremo magari più autodeterminati, ma indifferenti l’uno al destino dell’altro».

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