Ti voglio bene lo stesso, ma scriverai il mio nome?

La strana condizione del candidato pazzo che deve far campagna da sé. Amicone racconta queste strane settimane da "santino ambulante"

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Ragazzi, lo sapete che non mi piace vincere facile. Così nel week-end, il “gratta e vinci” delle preferenze l’ho preso alla larga. Cioè, l’ho preso sulla Volvo dell’illustre Gad, con cui mi sono accompagnato fino a Chioggia (Centro culturale Il Fondaco) per mettere sotto torchio l’inventore del talk politico televisivo. Allora – dico a Lerner – dopo otto ore che discuto con lui lungo un viaggio fitto di chiacchiere, baruffa sul palco e neanche mi sono accorto di questa andata e ritorno in notturna trascorsa in un lampo: «Ma ti ho almeno convinto a darmi una preferenza disgiunta?». «Provaci ancora nel 2021. Ti ho detto che ti stimo, non che mi sono convertito al fascio-leghismo».

Addirittura. Sempre esagerato il mio amico gaddino. Ma va bene così, visto che neanch’io riesco a capire com’è che John Waters è finito in via Bellerio, a presentare il programma di Salvini. Naturalmente, fare il santino ambulante per raccattare preferenze comporta una specie di estraniazione. Vedo l’altro e penso: «Ti voglio bene lo stesso. Però è vero, nel mio occhio il tuo “io” brilla nella forma di un voto». Questa è la condizione del candidato che deve farsi campagna da sé. E dipendere dagli amici. La condizione del “non nominato” e del “non paracadutato”.

Tra l’altro, mi succede che a prenderla troppo alla larga finisco nella festa per i sessant’anni del medico e primario Alberto Dragonetti. Io sono pazzo. Ma uno che taglia gole e aggiusta nasi, noleggia un camion e porta duecento amici nella bassa cremonese per intrattenerli con 50 minuti di fila di fuochi d’artificio, di botti ciclopici e sottofondo musicale Genesis, che neanche il Capodanno del Dragone a Hong Kong, vi sembra una persona normale? Anche lì, però qualche voterello ci sarà rimasto attaccato, no? Tipo quello di Resy, tribale di Baggio in quota Lupi? Sì, dinne un’altra di pietosa bugia: ma come fa a votarti la Resy che poi Nello, il marito, la mette in cantina e butta via le chiavi?

E volevi non fare una puntatina a Caravaggio, nel giorno in cui il movimento mariano ha festeggiato la Madonna di Fatima, 13 maggio, giorno del miracolo della pallottola di Ali Agca, che come disse il Santo Papa Giovanni Paolo II «una mano ha premuto il grilletto, un’altra mano materna l’ha deviato?». Posso dire che mi sto facendo giovanpaolinamente “santino a tutti”. Quanti caffè ho preso in zona Tempi prima di capire che avrei dovuto informarmi? «Bravo, ma io sono di Cormano». «Interessante, ma viviamo a Cologno Monzese». «Basta che non sia Pisapia, purtroppo risiedo a Bresso». Ehi, ma c’è un bar qui all’Isola il cui padrone apra la claire a Milano e magari voti pure a Milano?

Vogliamo parlare di Corona?
In Gabrio Rosa, zona Corvetto, per non disturbare il Forte portato dal Bruno e metter giù qualche santino dal tabaccaio, ho dovuto aspettare 25 minuti per un toast farcito e una spremuta. Poi ho scoperto che gli avventori parlano arabo. Mi dicono che, essendo io nato in zona Farini, a Santa Maria alla Fontana incrocerò vecchie conoscenze. Perfetto. Hai beccato giusto la domenica delle comunioni. Meno male che c’è Carletto P., l’unico uomo al mondo che ha rischiato seriamente di morire schiacciato come un salame in un tostapane dentro un letto ribaltabile a muro.

E di Fabrizio Corona, vogliamo parlarne? «Ti metto in viva voce, mi voti vero?». «Voto cosa, scusa? Si vota? E quando si vota? Ah sì, certo, ti ho seguito anche dal carcere, facciamo un incontro». Ok, magari ho un fisico diverso e un diverso stile di vita (io, per esempio, non ho ancora incrociato Belen), però ok, facciamo questo incontro.

Dopo di che, grande Rigaz che mi hai aperto Fb e adesso scopro il like di padre Vincent Nagle! Sul marciapiedi, davanti alla chiesa San Carlo, mi metto in tasca anche il fuoco di una predica sullo Spirito Santo. «Don Jacques compie 146 anni!», ha appena annunciato tra le risate e lo scroscio di applausi un parrocchiano salito all’ambone per donare una talare ambrosiana al parroco. «Grazie fratelli, ma sono piuttosto vicino ai 146 chili». Gigantesco il transalpino missionario in Italia (dite che ho pescato un altro voto?) e bello lo spettacolo di marmocchi che sgambettano per la chiesa, distribuiscono dolci, raccolgono la questua per l’oratorio estivo. Più bello di tutto, però, è sentir dire da un altare: «Siamo un popolo, abbiamo cura dell’educazione dei nostri bambini».

@LuigiAmicone

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