Storia di Giulia, che ha scoperto i segreti della luce laser e le sue applicazioni in ambito medico. Con l’alto apprendistato

Si sente spesso ripetere che i nostri migliori talenti fuggono all’estero perché l’Italia non è più un paese per giovani. Non è più, insomma, un paese adatto a chi ha ancora voglia di sperimentare, mettersi in gioco e rischiare il proprio bagaglio formativo in ambiti che, mentre qui da noi restano quasi del tutto sconosciuti, oltre confine sono già stati ampiamente esplorati. È il caso dell’apprendistato di alta formazione e ricerca, una particolare tipologia di contratto del lavoro che, almeno idealmente, ha tutte le carte in regola per divenire l’architrave dell’intero impianto della transizione dall’università al mondo del lavoro e, invece, alla prova dei fatti, ancora non lo è. Per lo meno non in Italia. Mentre lo stesso identico istituto è già stato rodato con successo in nazioni come la Gran Bretagna e la Germania. Paesi che sui giovani scommettono per davvero; e lo fanno investendo risorse, sia umane sia finanziarie.

PIONIERI DELL’ALTO APPRENDISTATO. Chi in Italia ha provato a muovere i primi passi in questa direzione è Quanta Spa, un’agenzia di somministrazione che si occupa prevalentemente di contratti di apprendistato professionalizzante. Quelli che, per intendersi, si rivolgono principalmente alla formazione tecnico-professionale. Quanta Spa, però, in questo caso ha avuto l’idea di «stipulare il primo contratto di apprendistato di alta formazione in somministrazione», spiega a tempi.it il vicepresidente Vincenzo Mattina. «Il primo sia per noi sia in Italia», tiene a precisare. E aggiunge: «È stata un’idea della nostra manager Elena Capitini, che era in contatto con un’azienda trevigiana di alta tecnologia, da sempre impegnata nell’evoluzione dei suoi prodotti attraverso collaborazioni con il mondo universitario. L’azienda, prosegue Mattina, «era già in rapporti con una giovane e valida ricercatrice dell’Università di Trieste in forza al Dipartimento di scienze mediche, chirurgiche e della salute e ha favorito l’incontro con noi. Così è iniziato un dialogo con l’azienda, la giovane e lo Sportello del lavoro dell’Università per individuare una soluzione che consentisse poi di proseguire l’attività di ricerca anche dopo la conclusione del dottorato».

L’UNIONE FA LA FORZA. Giulia Ottaviani (nella foto), così si chiama la ricercatrice, dopo il diploma di liceo scientifico, conseguito con il massimo dei voti, aveva deciso di iscriversi all’Università di Trieste, presso la facoltà di Odontoiatria e protesi dentaria, terminando il suo percorso studi nel novembre 2011. Sempre con il massimo dei voti, 110/110 e lode. Come tanti altri studenti, poi, anche Giulia ha subìto il fascino della ricerca post-laurea, occasione unica per approfondire i suoi studi a contatto con chi, fino al giorno prima, quelle tematiche praticamente gliele stava insegnando.
Dopo aver superato l’esame di stato e vinto il concorso per l’ammissione al Dottorato di ricerca in Nanotecnologie presso l’Università degli studi di Trieste, Giulia è rimasta affascinata dal progetto Fixo, un piano nazionale relativo alla promozione dell’apprendistato di alta formazione e ricerca, e ha deciso di parlarne con i suoi docenti e responsabili aziendali. Sia i professori che l’azienda si sono dimostrati disponibili a sperimentare questa soluzione, grazie anche alla professionalità dell’agenzia Quanta che ha messo in campo la sua esperienza nella gestione dell’apprendistato.

RICERCA AD ALTISSIMO LIVELLO. Giulia, così ha potuto cominciare a svolgere la sua ricerca in ambito clinico presso l’ambulatorio di patologia e medicina orale dell’ospedale maggiore di Trieste e quella preclinica presso l’istituto Icgeb di Padriciano (Ts). «Gran parte del mio lavoro», racconta a tempi.it, «consiste nello studio delle potenzialità della luce laser in ambito medico. I risultati ottenuti servono all’azienda per ottimizzare la tecnologia di cui dispone e renderla fruibile e competitiva sul mercato».
Ma come mai Giulia non ha scelto di proseguire nella ricerca attraverso il consueto percorso universitario e accademico? La sua risposta è sorprendente: «Mi soddisfa di più lavorare sia a contatto con i pazienti sia nell’abito della ricerca di base. Da un lato, infatti, i pazienti ci dimostrano ogni giorno la loro gratitudine per l’efficacia che i trattamenti laser hanno sulle loro ferite e sul miglioramento della qualità della loro vita; dall’altro ho l’opportunità di far parte di un istituto, come l’Icegb, dove è possibile fare ricerca ad alto livello». A conferma che la formula della ricerca accademica in una realtà aziendale è una formula vincente, specie in ambiti dove «gli stimoli dati dalla ricerca sono fondamentali per l’ottimizzazione delle tecnologie impiegate» ed «il connubio tra il lavoro prettamente clinico e quello preclinico permette di avere più ampie vedute, indispensabili per ottimizzare al meglio le tecnologie delle quali ad oggi disponiamo, nonché di implementarle, laddove possibile, con il supporto dell’azienda».

UNA POSSIBILITÀ DA PER TUTTI. Giulia, dunque, non ha dubbi che l’apprendistato di alta formazione e ricerca sia un ottimo modello di transizione dall’Università al mondo delle aziende, capace di aumentare tanto l’employability dei giovani, quanto il vasto bagaglio di nozioni tecniche che si possono apprendere. E conclude: «Spero che la tecnologia laser, non ancora studiata ed analizzata in tutte le sue proprietà, possa rappresentare in un futuro prossimo un valido ausilio per molti pazienti i quali potranno godere di una miglior qualità di vita». E se ciò avverrà, in piccola parte, ciò sarò stato merito anche della pionieristica esperienza di Giulia e di chi, come lei, grazie all’aiuto di lungimiranti aziende e atenei avrà saputo cogliere le opportunità offerte, non solo dall‘apprendistato di alta formazione, ma dall’interno mercato del lavoro. Altrimenti, anche altri giovani saranno, forse, costretti a fuggire.

@m_loconsole

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