Uno Stato senza corpi intermedi? Dite a Renzi che il governo non è Amazon

La "disintermediazione" è uno dei mantra del premier, come dimostra la sua riforma della Costituzione. Un motivo per votare No al referendum e fare anche di più

Pubblichiamo la rubrica di Alfredo Mantovano contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Disintermediazione è la parola chiave che individua il filo conduttore culturale della riforma costituzionale: il premier l’ha adoperata almeno in un paio di occasioni. Alla lettera vuol dire fare a meno il più possibile di intermediari.

Il termine trae origine dal mondo delle banche e delle reti commerciali, e indica la progressiva rimozione degli intermediari dalle catene di fornitura dei prodotti. È un trend che ha aspetti certamente positivi: diminuisce i costi per i clienti e consente al produttore di aumentare i margini di profitto, eliminando la necessità del distributore e dei rivenditori. Piattaforme come Amazon o e-bay garantiscono il contatto diretto fra acquirente e venditore. Per i servizi, si pensi a Uber o al car sharing.

Il premier prova a dare declinazione politica a questa tendenza. Non è il primo: chi ha teorizzato e praticato l’uso esclusivo della rete per garantire un contatto diretto fra cittadini e rappresentanti è stato il Movimento 5 stelle. Ma M5s non è a Palazzo Chigi; con Renzi la disintermediazione è diventata asse portante dell’azione di governo e della legislazione che la deve sostenere: in tale ottica perfino la Costituzione prende atto del fenomeno e adegua le proprie disposizioni per assecondarlo.

Non intendo distogliere dall’utilizzare Trivago o E-dreams chi intende costruire per proprio conto una vacanza e spendere meno, e lo stesso vale per l’acquisto di un libro con Amazon. È che la politica e l’articolazione dei corpi sociali sono altra cosa. Non è sostenibile la superfetazione di organismi rappresentativi, la cui scarsa efficienza di sistema ha causato perdita di credibilità e difficoltà operative, ma la soluzione non è passare da un estremo all’altro.

Se il sistema è farraginoso, il punto di arrivo non è un panorama che vede da un lato tanti singoli atomi e dall’altro lo Stato, spesso veicolo di decisioni europee; la soluzione è una difficile opera di razionalizzazione. Il welfare associativo si affianca da tempo a un sistema pubblico in difficoltà: caaf e patronati svolgono funzioni pubbliche, meglio delle gestioni dirette dello Stato. Immaginare al loro posto solo studi privati costa di più per qualsiasi utente.

Se:

• i consigli comunali, come è stato fatto dal governo Monti, sono ridotti ai minimi termini, è sempre più complicato che si riuniscano e discutano di ciò che interessa il territorio del loro municipio;

• si eliminano in modo secco le province, come la riforma sancisce in via definitiva, scompare un livello di trattazione dei problemi di aree omogenee, che rischia di non essere trattato in modo puntuale ed efficiente da enti più lontani e più grossi come le regioni;

• i tavoli di contrattazione sono ritenuti inutili, non è detto che quel che cala dall’alto o suggerito da lobby senza previo confronto con le parti interessate sia proprio ciò che è giusto e necessario;

• le camere di commercio sono indebolite e con esse le associazioni di categoria, e non si prevede qualcosa che svolga in modo più efficace le loro funzioni;

• si depotenzia un ramo del Parlamento e si ristruttura l’altro senza garantire una rappresentanza effettiva, la percezione di trovarsi soli di fronte allo Stato aumenta.

La disintermediazione acquista allora un senso politico preciso, e al suo interno il contrasto sul piano della legislazione e della politica di governo nei confronti della famiglia, che nell’ultimo biennio ha toccato livelli non immaginabili, è il coronamento del percorso, visto che la famiglia è la prima e più elementare realtà intermedia.

Nel bilanciamento fra i pro e i contro per decidere il Sì o il No al referendum non può mancare la considerazione di questo tratto culturale. È evidente che l’attacco ai corpi intermedi merita una risposta che non può limitarsi al No. Le manifestazioni di Roma del 20 giugno 2015 a piazza San Giovanni e del 30 gennaio 2016 al Circo Massimo hanno trasmesso un segnale da un mondo che non si sente rappresentato, ma che intende contare e ha interessi importanti da difendere, coincidenti con quelli di una intera nazione: il matrimonio, i figli, il futuro demografico.

Oltre il No, va costruita una politica che si opponga al depauperamento delle realtà intermedie, che valorizzi quello che è vivo al loro interno, che rivitalizzi ciò che ha costituito finora la rete della sussidiarietà.

Foto Ansa

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