Sigov: «Nella mia Ucraina l’emergenza è militare ed economica, ma innanzitutto spirituale»

Intervista al filosofo dell’Università di Kiev Constantin Sigov: «So che sembra assurdo ma spero che il Papa accetti l’invito a venire nel nostro paese»

Il villaggio Ulica Szkolna, nell’oblast di Kiev, dopo il bombardamento dei russi, 26 marzo 2022 (foto Ansa)

«Ho capito che adesso il mio compito è quello di raccontare», mi dice Constantin Sigov, mentre mi parla dalla sua abitazione distante pochi chilometri dalla capitale ucraina. Lui è filosofo, direttore del Centro europeo dell’Università Petro Mohyla di Kiev. Mentre parliamo, noto che sceglie con cura le parole, quasi a volermele porgere una alla volta; le vedo arrivare, ordinate, piene, tenute insieme da un filo di tristezza che traspare dalla sua voce. Un evidente contrasto rispetto al frastuono dei bombardamenti che ogni giorno raccontano un paese che sembra finito sotto la guida di una bussola sprovvista di ago.

Cos’è successo il 24 febbraio?

In un solo giorno si sono verificate tre catastrofi: la prima riguarda il mio paese. In poche ore siamo tornati a sentire l’artiglieria pesante in azione, le urla dei civili, un frastuono che dopo la Seconda Guerra mondiale avevamo potuto dimenticare. Pochi giorni fa un razzo russo ha colpito l’antenna della televisione nel centro della città; da quel momento i cittadini di Kiev, di tutta l’Ucraina, hanno avuto paura di svegliarsi al mattino e scoprire che, durante la notte, una bomba aveva centrato uno dei luoghi sacri della nostra capitale: la cattedrale di Santa Sofia, il monastero di San Michele, la Lavra. Durante la guerra i sovietici avevano distrutto la cattedrale della Dormizione della Vergine nel Monastero delle grotte di Kiev; già nel 1936 i bolscevichi avevano raso al suolo la cattedrale di San Michele. Dal momento che adesso il putinismo si sta palesando nella propria forma più brutale, quella di un regime che nasce dal neo-stalinismo, non vorrei che l’artiglieria russa, che oggi agisce come ammaliata da un impenitente governo neo-sovietico, arrivasse a colpire ciò che i bolscevichi non hanno avuto il tempo di distruggere.

Constantin Sigov

La seconda catastrofe colpisce tutta l’Europa: quello che sta accadendo ci riguarda tutti. Mi riferisco a una tragedia forse peggiore di Chernobyl: questa volta, infatti, non si tratta di un malfunzionamento tecnico. Per la prima volta dalla Seconda Guerra mondiale, l’Europa si trova a fronteggiare un nemico che vuole distruggerla e lo sta facendo apertamente, dichiarando il proprio obiettivo. La guerra non è soltanto tra Russia e Ucraina, ma tra la nostra cultura e chi la considera come una minaccia da annientare: una dicotomia che non si è generata nel 2022, un’antitesi nata nel corso degli ultimi anni. La Crimea è stata invasa nel 2014 e in tutto questo periodo, possiamo dirlo, tanti hanno avuto paura e non hanno guardato ciò che stava accadendo, la minaccia che si celava dietro un’invasione in corso già da otto anni. Tutti noi abbiamo sottovalutato la portata di un male che oggi è entrato in gioco e ha provocato quella che appare a tutti gli effetti come la peggiore crisi del XXI secolo; un’emergenza non solo militare ed economica ma, innanzitutto, di natura spirituale. Una tragedia che si sta verificando a meno di tre ore di volo da Roma.

La terza catastrofe riguarda la Russia: in un mese è stato reso vano ogni sforzo che da più di trent’anni si è fatto per ripartire dopo la fine del regime bolscevico. Quello che vediamo ora è la peggiore manifestazione del bolscevismo e dello stalinismo: dopo la Rivoluzione del 1917 in Russia c’erano ancora tante persone che testimoniavano la vita, oggi la maggioranza appare succube di un potere distruttivo, di una narrativa e di una cultura totalmente ideologiche. Faccio un solo esempio: centinaia di professori e rettori delle università russe hanno firmato un documento a favore di questa guerra, il segno tangibile di una sconfitta totale della cultura russa.

Cosa sostiene la popolazione ucraina in questa situazione?

Ciò che, innanzitutto, mi colpisce è la solidarietà: vedo con quale attenzione vengono aiutate le donne che in questi giorni partoriscono nella metro di Kiev; loro sono portatrici di una nuova vita e ci ricordano che la nostra resistenza nasce per affermare la vita, l’amore e la nostra umanità. Mi sembra importante questo aspetto, gli ucraini sanno cosa stanno difendendo: proteggono l’umano, le nostre famiglie, la nostra società, la nostra libertà e il nostro unico desiderio, quello di poter vivere in pace. Ripeto, è una guerra che non riguarda solamente gli ucraini e i russi; quello che sta accadendo è un conflitto tra chi ama la propria umanità e chi cerca di annichilirla: per questo ritengo essenziale, quando la nostra terra sarà libera, indagare riguardo alle cause che hanno scatenato questa catastrofe; solo allora ci sarà la possibilità di una pace giusta, e sottolineo questo aggettivo. Sarà necessario che chi ha commesso, e ancora sta perpetrando, crimini contro l’umanità venga processato. Personalità come Nemzov e Dmitriev hanno affermato che le nefandezze del comunismo non sono mai state punite né giudicate. Credo che sarebbe un grave errore continuare questo cammino di amnesia. Adesso più che mai emerge l’urgenza di un giudizio, un passo essenziale per il futuro dell’intera società russa. Non per pianificare una vendetta ma perché possa gemmare e germogliare una nuova vita e l’umanità intera possa attuare quella “purificazione della memoria” di cui già parlava Giovanni Paolo II.

Cosa significa?

È importante che i russi, gli ucraini e tutto il mondo giudichino quanto accade e facciano memoria. Quando questo lavoro viene tradito, l’umanità non sopravvive, si perde. Il 23 febbraio, prima che la guerra scoppiasse, ho scritto una lettera, su richiesta di alcuni cattolici tedeschi, in cui sottolineavo il pericolo che poteva scaturire dopo la decisione russa di mettere fuorilegge Memorial, la più grande associazione per la difesa dei diritti umani del paese, impegnata a salvaguardare quanto accaduto e far riconoscere a livello internazionale i crimini commessi in epoca sovietica. L’Ucraina è stata attaccata per questo: con la propria stessa esistenza, infatti, non permette di cancellare la memoria dei crimini perpetrati dallo stalinismo e dal putinismo.

Papa Francesco, la Chiesa, il mondo intero prega e scende in piazza perché la guerra cessi. Il sostegno dei popoli vi raggiunge?

Vediamo che non siamo soli. L’aiuto che arriva fino a Kiev c’è ed è molto importante: si tratti di giubbotti antiproiettile, vestiti, cibo… anche la parola, il nostro dialogo, ci fa sentire che non siamo isolati dal mondo. Per quanto riguarda la preghiera, questa, invece, è essenziale perché fa cadere il velo, ci fa scoprire che il male porta solo al nichilismo, all’autodistruzione, ed è questo ciò che noi vogliamo combattere. Aggiungo un’ultima considerazione: il grande teologo Bonhoeffer diceva che peggio del male c’è solo la stupidità e temo che dietro la violenza a cui stiamo assistendo si celi quest’altro pericolo. Mentre il male per propria stessa definizione finisce per essere autodistruttivo, la stupidità, invece, nel tempo si fortifica, si potenzia. Questa minaccia può essere superata solo se si agisce sul piano spirituale, non è sufficiente quello unicamente culturale.

Vengono in mente le proteste del Maidan del 2014. Anche allora il mondo ha seguito quello che accadeva in Ucraina; cos’è rimasto oggi di quei momenti?

Questa domanda è profonda perché è strettamente legata a quello che sta accadendo adesso: nel 2014 c’è stata la Rivoluzione della dignità. Ora combattiamo una guerra per difendere la dignità dell’uomo. Nel 2022 non è più solo il Maidan di Kiev a parlare, il paese intero è diventato un’enorme piazza che chiede di rispettare l’individuo, qualunque sia la sua identità etnica: l’uomo, infatti, è infinitamente più importante di qualsiasi potere e nessuna tirannia può sopprimere il diritto di ciascuno alla vita, alla libertà. Appena la guerra è scoppiata, ho parlato con il pianista Valentyn Silvestrov: nella notte tra il 24 e il 25 febbraio, quella in cui per la prima volta i bombardamenti hanno squarciato il cielo ucraino, mi ha mandato alcune registrazioni che aveva fatto nel 2014, mentre tornava a casa dal Maidan. Si sente un canto, è il nostro inno nazionale. La melodia, però, è diversa: sembra quella di un salmo, una preghiera nata per sostenere le proteste di Kiev che adesso è in grado di esprimere quello che sta attraversando il mondo intero. Lui ha 84 anni; in queste settimane compositori del calibro di Arvo Pärt lo hanno invitato a lasciare l’Ucraina e a inizio marzo, finalmente, ha accettato: Silvestrov è partito da Kiev con la figlia, ha viaggiato per tre giorni e tre notti fino ad arrivare al confine. Qui ha oltrepassato la frontiera a piedi; la poetessa moscovita Olga Sedakova lo ha paragonato a Re Lear, il sovrano shakespeariano che cammina sotto il cielo. Il mio amico Silvestrov è arrivato a Berlino dove è stato invitato in una grande chiesa: prima di iniziare a suonare, ha ripetuto il Decalogo, tutti e dieci i comandamenti. Poi ha eseguito un pezzo che ha composto lungo la strada verso occidente: una melodia nostalgica, in grado di oltrepassare tutte barriere linguistiche e di raccontare a tutti la guerra; il viaggio di chi ha lasciato il proprio paese e la speranza di tutto il popolo ucraino.

In cosa spera?

Pochi giorni fa il sindaco di Kiev ha invitato papa Francesco a venire in Ucraina. Già alcuni leader politici europei hanno deciso di recarsi nella nostra capitale; penso, però, che una visita del Papa sarebbe qualcosa di unico, un fatto dai connotati profetici. So che appare assurda questa richiesta ma l’attuale Pontefice ci ha abituati a simili gesti. Spero proprio che Francesco accetti e che non venga fermato. Invito chiunque, a partire dai lettori di questa intervista, a sostenere e a promuovere l’invito, perché si compia un passo decisivo, non solo per il raggiungimento di una pace nel nostro paese, ma per il bene di tutta l’umanità.

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