«Non tagliamo 80 milioni alle scuole paritarie. Piuttosto si sfori il patto di stabilità»

«Il decreto che prevede l'accantonamento di 80 milioni è, per ora, congelato». Intervista alla deputata Pd Simonetta Rubinato

Ieri sera a Castelfranco Veneto, all’incontro organizzato dal Msspv è intervenuta anche la deputata del Pd Simonetta Rubinato che, insieme ad alcuni colleghi dell’Aula, ha presentato un’interrogazione al governo per scongiurare il taglio di ulteriori 80 milioni di euro dalla dotazione (di 500 milioni) che lo Stato ogni anno destina alle scuole paritarie, materne comprese. «Occorre fare tutto il possibile perché i soldi pubblici non restino bloccati tra lo Stato e le Regioni ma vengano effettivamente immessi in circolazione», ha detto a tempi.it. «Anche, qualora dovesse essere necessario, sforare il patto di stabilità».

Onorevole, che impressione le hanno fatto i genitori del Movimento salva scuole paritarie?
Ottima direi. Sono una bella realtà, sono autoorganizzati e sono un esempio vero di cittadinanza attiva. È gente semplice che, fuori da schemi politici e ideologici, si è presa la briga di approfondire il complesso quadro normativo e istituzionale in materia scolastica per sensibilizzare gli altri genitori sul tema.

Lei perché difende la scuola paritaria?
Le ragioni sono più d’una. Ad ogni modo, però, si tratta di salvaguardare un patrimonio sociale e culturale che in Italia è radicato da secoli, una storia che dura da molto prima che lo Stato decidesse di occuparsi di istruzione.

Anche in Veneto?
Certamente. Comunità, benefattori e parrocchie è dall’inizio del Novecento che, pur nella povertà diffusa di un terra allora di immigrazione come era il Veneto, si occupano di finanziare l’educazione dei bambini. È l’applicazione del principio di sussidiarietà prima che questo fosse iscritto nella nostra costituzione. Io stessa, quand’ero piccola, sul finire degli anni Sessanta, frequentavo l’asilo parrocchiale; mi portava mia nonna in bicicletta. In quegli anni l’asilo statale da noi nemmeno c’era. E ancora oggi il 68 per cento dei bambini veneti (95 mila circa) è iscritto in asili parrocchiali o paritari non statali.

Cosa succederebbe se le scuole materne paritarie dovessero chiudere?
Sicuramente la collettività dovrebbe sborsare molto di più di quanto oggi già spenda per l’istruzione; per trovare un posto a tutti, infatti, si dovrebbero costruire nuove scuole statali e trovare nuovi insegnanti da stipendiare. E non dimentichiamo che un bambino che frequenta la scuola materna statale costa alla collettività 6.500 euro l’anno, mentre uno che frequenta la paritaria nemmeno 500 euro (425); al resto pensano le famiglie. Per non parlare, poi, dell’indotto e dei posti di lavoro che andrebbero persi. Si stimano fino 9 mila addetti in meno solo sulla scuola dell’infanzia. C’è anche il tema, infine, del diritto alla scelta da parte dei genitori di dove mandare i loro figli a scuola; soprattutto, in quegli anni, l’infanzia appunto, che sono fondamentali per garantire educazione e formazione.

La crisi, però, colpisce nel numero (e nelle tasche) le famiglie che possono permettersi di mandare i figli negli asili paritari. E forse il governo ridurrà di 80 milioni i contributi alle materne paritarie. Crede che lo Stato possa fare ancora qualcosa?
È vero, il decreto numero 174/2012, che stanzia 223 milioni di euro per la scuole materne paritarie, su un totale di 500 milioni destinati alla scuola non statale, prevede un accantonamento di 80 milioni di euro, che però, almeno per ora, è congelato. Io e alcuni miei colleghi abbiamo presentato un’interrogazione al governo per chiedere di scongiurarlo del tutto. Sarebbe, infatti, un ulteriore colpo alla scuola pubblica, insostenibile dopo il taglio di 35 milioni di euro dall’ultimo stanziamento effettuato.

Cosa si rischierebbe, invece, nel caso il taglio dovesse essere confermato?
Si rischierebbe di assistere impotenti all’innalzamento, se non addirittura al raddoppio, delle rette degli asili. Un aumento che sarebbe insostenibile per quelle famiglie che, pur pagando le tasse e quindi l’istruzione ma non usufruendo di fatto di alcun servizio offerto dallo Stato, non potranno permettersi le nuove rette. E nemmeno potranno mandare i figli alle scuole statali, non avendo le statali posti in sufficienza per soddisfare la domanda.

Il governo, però, deve razionalizzare le spese.
È vero, ma fare la spending review significa eliminare gli sprechi, non i soldi che sono indispensabili per garantire servizi pubblici qual è, appunto, la scuola dell’infanzia nel modello integrato statale e paritarie. Partiamo, piuttosto, dalla riduzione dei costi della politica.

Ma la politica è sensibile al tema?
In politica è anni che i contributi alla scuola paritaria vengono tagliati della metà, salvo poi essere reintegrati in extremis quando si tratta di approvare la legge di stabilità. Occorre superare un approccio ideologico all’argomento e per farlo penso che a livello regionale possa essere fatto molto. Anche la Puglia di Nichi Vendola, infatti, che a parole si schiera contro la scuola paritaria, ha una legge sulla parità scolastica e adotta delibere regionali per sbloccare i finanziamenti. Occorre fare tutto il possibile perché i soldi pubblici non restino bloccati tra lo Stato e le Regioni ma vengano effettivamente immessi in circolazione. Anche, qualora dovesse essere necessario, sforare il patto di stabilità.

@rigaz1

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