Scontro a fuoco tra Siria e Israele. «Assad cerca una scusa per richiamare la patria all’unità»

Intervista all'esperto di scenari internazionali Carlo Panella: «Se Obama fosse in grado di agire sulla scena internazionale, la rivoluzione in Siria potrebbe cambiare. Ma il presidente è debole».

Israele e Siria, Siria e Turchia: ieri l’esercito di Tel Aviv ha colpito un obiettivo militare di Damasco, rispondendo a un colpo di mortaio caduto nel Golan israeliano. È da due giorni che si verificano incidenti tra i due paesi del Medio Oriente i cui rapporti sono fermi a un “cessate il fuoco” datato 1973. Il conflitto tra le forze del dittatore Assad e i ribelli siriani continuano a provocare problemi anche alla Turchia, dal momento che a Celaympinar tre turchi, tra cui un militare, sono rimasti feriti per gli effetti dei bombardamenti lealisti al posto di confine di Ras al Ain. «Non so se le offensive a Turchia e Israele siano frutto del caos o di una strategia precisa da parte di Assad» spiega a tempi.it Carlo Panella, scrittore e giornalista esperto di scenari internazionali.

Poniamo che non siano frutto del caos: che cosa ci guadagna Assad a trascinare in guerra Israele o la Turchia?
Se l’azione del Golan è pianificata non serve a provocare un nuovo conflitto, perché non sarebbe gestibile da parte siriana, ma a creare un clima artificiale di emergenza nazionale. Così Assad potrebbe serrare i ranghi del regime chiamando alla difesa del suolo patrio. Questo meccanismo ha la sua logica. Lo stesso vale per la Turchia, con la differenza che ormai solo due o tre posti di frontiera tra Siria e Turchia sono controllati da truppe lealiste. Gli altri sono controllati dai ribelli con l’appoggio delle truppe turche, che rimangono nei confini ma forniscono un aiuto determinante ai ribelli dell’esercito di liberazione siriano.

Intanto ieri a Doha, Qatar, i paesi del Golfo hanno riconosciuto lo sceicco Ahmad Moaz al-Khatib, leader della “Coalizione dell’opposizione e dei rivoluzionari siriani”, organismo in cui è confluito anche il Consiglio nazionale siriano (Cns), come legittimo interlocutore per rappresentare la Siria. Eppure secondo un servizio del New York Times i siriani sono stufi anche dei ribelli.
Faccio solo notare l’assurdità degli inviati americani: è ovvio che i civili siano stufi anche dei ribelli. I siriani sono stufi della rivoluzione, ovviamente. Negli scontri a fuoco hanno perso la vita già 50 mila persone, più delle guerre in Jugoslavia, Assad è peggio di Mladic. A stupire, piuttosto, è la criminale inerzia della comunità internazionale che non fa niente per fermare il massacro. Ma ora parliamo di cose serie, anzi, tristi.

Cioè?
Quanto successo a Doha è una pagina molto triste del conflitto, che deve essere spiegata bene. Dal momento che il regime siriano è stato considerato da Stati Uniti e Unione Europea negli ultimi anni come la chiave di volta per risolvere i conflitti del Medio Oriente, l’Occidente si è disinteressato dell’opposizione in Siria e del suo finanziamento. In Iraq, prima dell’invasione americana, l’opposizione era stato finanziata con milioni di dollari. Quando il disastro in Siria è scoppiato, America e Ue non avevano rapporti con l’opposizione. La rivoluzione è nata dal basso, dai contadini e c’è sempre stato uno iato enorme tra i ribelli che combattono e il Cns. Siccome l’Occidente non perde mai occasione per fare figuracce, il Cns per mesi è stato invitato in tutti i paesi europei fino a quando Petraeus non si è accorto che la scollatura tra questa pseudodirezione politica, finanziata in gran parte dai Fratelli Musulmani, e i siriani era grave e facilitava l’infiltrazione di elementi jihadisti.

A Doha non dovevano quindi riconoscerli come rappresentanti legittimi?
La riunione di Doha è tragicomica: si costruisce una leadership siriana in maniera sbagliata perché i criteri di rappresentanza effettiva della rivolta sono stati piegati a una complicatissima trama di rapporti tra Stati come Qatar, Turchia e Arabia Saudita. Sto dicendo che la reale rappresentanza del Cns è molto dubbia e rischia di contare di più l’equilibrio delle potenze che vogliono intervenire in Siria rispetto alla rappresentanza effettiva del popolo siriano.

Lei ha parlato di «criminale inerzia» della comunità internazionale nei confronti di Assad. Ma il veto di Russia e Cina alle risoluzioni del Comitato di sicurezza delle Nazioni Unite non si può aggirare.
Se ci fosse un presidente degli Stati Uniti in grado di agire sulla scena internazionale, invece, sì. Peccato che non ci sia. Obama sarà anche un buon presidente per gli Stati Uniti ma per il mondo è uno dei peggiori mai eletti. La prova del nove di quello che dico è l’incapacità di Obama di forzare il veto della Russia. Questo è intollerabile. L’America dovrebbe far capire alla Russia che non è più una superpotenza, tanto da permettersi di porre il veto. Un conto è quando c’era l’Unione Sovietica, ma oggi la Russia ha una potenza militare bassa e una economia basata sul petrolio e le materie prime, mentre non produce nulla. Obama dovrebbe costruire attorno alla Russia una pressione che la obblighi a cedere, non solo per la situazione in Siria ma anche perché la Russia deve rispettare la superiorità degli Usa. Che Obama non sia capace di fare questo, francamente, è tragico. Senza contare che gli Stati Uniti, come il resto dell’Occidente, hanno molte responsabilità nello sviluppo di questo conflitto.

Perché?
La cosa che non viene detta mai e che io ripeto sempre è che l’essenza del regime siriano appare ogni giorno più fedele e organica all’ideologia nazista del partito Baath che appoggia Assad. Questo rende sconcertante e incredibile che questo regime sia stato considerato dall’amministrazione Obama, lo dicevo prima, come la chiave di volta per la soluzione dei problemi del Medio Oriente. Ricordo che Hillary Clinton nell’aprile del 2011, quando la guerra civile aveva già fatto 500 morti, ha dichiarato a Lucia Annunziata che quello di Assad è un regime riformista.

La rielezione di Obama come influenzerà gli sviluppi delle tensioni tra Iran e il Medio Oriente, in special modo Israele?
È difficile da valutare. Obama incredibilmente non ha tirato fuori un piano B rispetto al fallimento dei negoziati e delle sanzioni. A me pare impossibile che non l’abbia elaborato e ora che non ha più il problema di essere rieletto il piano B non può essere solo un generico appoggio a Israele ma una vera ridefinizione della posizione degli Stati Uniti.

Come giudica il tentativo dell’Iran (fallito) di abbattere un drone americano nel Golfo?
America e Iran sono in una sitauzione formale di belligeranza, gli iraniani hanno un grosso problema di verifica della loro tecnologia. Hanno dimostrato infatti di essere grnadi combattenti terroristi ma non di sapere usare le nuove tecnologie. Quindi penso che fosse una esercitazione da parte dell’Iran che non cambierà di una virgola l’atteggiamento americano, che si cura solo dell’arricchimento dell’uranio.

@LeoneGrotti

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