Saladino: Te Deum laudamus per questi sette anni di fango immeritato

Il ringraziamento per il 2013 di Antonio Saladino, travolto nel 2006 e messo alla gogna mediatica per l'indagine Why not di De Magistris, definitivamente demolita a ottobre di quest'anno dalla Corte di Cassazione

Come da tradizione, anche nel 2013 l’ultimo numero del settimanale Tempi è interamente dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso firmati da diverse personalità del panorama sociale, culturale e civile italiano e non solo. Nella rivista che resterà in edicola per due settimane a partire dal 27 dicembre, troverete, tra gli altri, i contributi di Carlo CaffarraDomenico Dolce e Stefano GabbanaBen Weasel, don Gino RigoldiCostanza Miriano, Luigi Amicone, Marina Corradi, Aldo Trento, Pippo Corigliano, Monica Mondo, Francesco Belletti, Antonio Saladino, Samaan Daoud da Damasco, Claire Ly, Susanna Campus, Antonio Benvenuti, Fred PerriBerlicche.

Pubblichiamo qui il Te Deum di Antonio Saladino, l’imprenditore di Lamezia Terme travolto alla fine del 2006 da “Why not”, la mega indagine sulle presunte ruberie di fondi pubblici in Calabria condotta dall’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris e poi smantellata dai giudici pezzo per pezzo nel corso degli anni, fino all’ottobre scorso, quando l’inchiesta è stata definitivamente smontata dalla Corte di Cassazione per la palese infondatezza delle accuse. Nel frattempo, però, a causa del presunto “scandalo” denunciato dal giustiziere De Magistris (dai cui atti di indagine, ovviamente, le “notizie” filtravano regolarmente chissà come ai giornali), molte vite sono state rovinate, molte opportunità di lavoro sono andate in fumo e un governo è caduto.

Te Deum laudamus per questi sette anni di fango in cui ho capito che non si può vivere di odio perché alla fine ti sentiresti solo, inutilmente stanco e svuotato. E ho sperimentato anche che la vera battaglia nella vita sta nel non cedere sulla propria libertà, specialmente quando gli interessi in gioco sono grandi in termini economici e di potere. Alla tentazione di cedere può far fronte solo una solida esperienza educativa che ti ha reso anche per un frangente un uomo lieto. Ci dobbiamo sempre porre la domanda: “Ma io chi sono?”.

In questo lungo periodo mi ha sostenuto una preghiera che ho cercato di recitare ogni mattina: è la preghiera di padre Léonce de Grandmaison: «Formami un cuore dolce e umile… un cuore grande e indomabile, così che nessuna ingratitudine lo possa chiudere e nessuna indifferenza lo possa stancare». Questo perché dentro le circostanze, anche se drammatiche, bisogna essere capaci di vedere la luce; le circostanze non sono importanti in se stesse ma perché esse evidenziano, in chi crede, l’amore di Gesù.

La consistenza di un uomo non sta nelle situazioni belle o brutte che siano, ma nell’appartenenza a Cristo, senza il quale perdi la tua umanità. Con questa certezza esse smuovono il cuore e la ragione; ecco perché Dio ha bisogno degli uomini e ancor più gli uomini hanno bisogno di Dio.

Questa certezza piena di stupore colpisce gli altri e permette a te di non diventare cinico o sentimentale. La mia vita, nonostante le mie fragilità e i miei difetti, è impastata di Cristo perché il cristianesimo è il legame di Cristo con me, non di me con Cristo.

Da parte mia non c’è nessun odio verso nessuno, neanche verso chi mi ha accusato ingiustamente, ma non posso non constatare una grande amarezza per il modo in cui viene amministrata la giustizia nel nostro paese.

Ho chiesto il rito abbreviato (da non confondere con il patteggiamento) nella certezza della mia innocenza e non ho puntato sulla prescrizione che lascia poi tutto nel dubbio, ma non ci sono riuscito e la prescrizione è puntualmente arrivata. Questa vicenda è il paradigma dello scontro storico tra lo Stato e i cittadini in cui si ha la netta percezione che se parte il circo mediatico-giudiziario (su di me 5 mila articoli di giornale, 30 ore di trasmissioni televisive, tra cui 3 puntate di AnnoZero con Santoro nella veste di pm e uno share di 5 milioni di spettatori) il cittadino è impossibilitato a difendersi. I giornalisti diventano la grancassa dei magistrati e questi difendono i giornalisti dalle denunzie per eventuali calunnie e diffamazioni; e si radica una cultura per cui non è importante cercare la verità ma far diventare certezza condivisa la menzogna.

Quanta saggezza insegnano i Padri della Chiesa che affermano che è più meritorio sopportare il male che fare il bene. E quale male peggiore se non quello della falsità e dell’essere messi alla gogna?

Già nel 1993 don Giussani con la sua lungimiranza diceva: «L’identità di una persona implica che essa sia rispettata nella sua dignità. Mettere alla gogna, vale a dire svergognare senza necessità una persona (…) è l’errore cui dà bene immagine una certa magistratura di questi tempi. E nessuno fiata! Questo silenzio è dovuto al fatto che nessuno ha educato o guidato il popolo a salvaguardare e rispettare l’identità delle persone di cui è composto».

Ringrazio gli amici che mi sono stati vicini e compagni in questa storia kafkiana ma purtroppo tipicamente italiana.

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