Romney o Obama? Il futuro nostro (e dell’euro) dipenderà molto da chi vince

Aspettiamo dunque il 7 novembre: almeno Oltratlantico quel segnetto che il cittadino fa nel suo seggio, vale ancora.

Il crescente sbalestramento di ampi settori della magistratura (da Taranto a Pomigliano, dal caso Sallusti al processo aquilano alla scienza, dalla persecuzione intensiva a Formigoni a quella infinita contro Berlusconi) è segno della crisi del nostro Stato e di una società turbata. Ma pure di un contesto internazionale che preferisce un’Italia disgregata e “malleabile” a una ancora “sovrana”. Quel che resta della politica è in questo quadro impacciato: al di là delle mosse ragionevoli di Alfano e di una Lega che talvolta sembra ricattata, tanti soggetti appaiono al di sotto del ruolo che potrebbero giocare (da Montezemolo a Casini, da Raffaele Bonanni alla Marcegaglia).

SE VINCE OBAMA. Si tratta di comprendere come – con un quadro internazionale più decisivo di quello interno – in molti siano in attesa del voto americano del 6 novembre. Se prevarrà Obama, è a larghi tratti definito il compromesso che si farà con Angela Merkel (dollaro svalutato e più o meno leggera inflazione da far pagare agli stati meridionali dell’Europa): non una scelta esaltante, che aprirà presto contraddizioni ma che potrebbe reggere fino al voto tedesco del 2013.

SE VINCE ROMNEY. Se vinceranno Romney e la sua scommessa di tagliare spesa e tasse, si punterà allo sviluppo e la Merkel verrà messa alla prova di una nuova fase. In particolare in Italia il partito americano che ha al centro la Fiat dovrà riconvertirsi e aprire al Pdl. Aspettiamo dunque il 7 novembre: almeno Oltratlantico quel segnetto che il cittadino fa nel suo seggio, vale ancora.

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